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Ritornare all’essenza della scuola di Barbiana

Don Lorenzo Milani e alunni

© Fondazione Don Lorenzo Milani

Gariwo - pubblicato il 10/10/14

Don Milani aveva un metodo: l'incontro con la totalità della persona dei ragazzi a cui insegnava

di Analisi di Nadia Neri, psicologa analista

Ognuno di noi conosce insegnanti molto bravi che affrontano situazioni difficili o di frontiera nelle periferie delle nostre città, insegnanti che riescono ad avere quella passione, lievito necessario per raggiungere gli studenti di qualsiasi età e rendere lo studio un piacere e non solo un peso senza senso. Ma purtroppo diventano sempre più una minoranza. Sicuramente è molto pesante svolgere un lavoro sottopagato e molto svalutato a livello collettivo, in più negli ultimi vent’anni gli insegnanti sono appesantiti da compiti burocratici e riunioni infinite, poche quelle necessarie e utili! Anche la collaborazione tra insegnanti e genitori è pressoché inesistente, ognuno vede nell’altro una controparte o spesso addirittura un nemico da cui difendersi.

L’unica alleanza si trova purtroppo in un fenomeno molto grave e sempre più in crescita: non riuscire più a vedere lo studente, bambino o adolescente che sia, nella sua interezza. Si tende infatti a spezzettare la sua personalità in tante separate prestazioni che vanno misurate dallo psicologo con test che devono certificare – o meglio etichettare – un deficit. Gli insegnanti si sentono così alleggeriti dal problema del recupero, e anche i genitori incanalano tutte le eventuali angosce o la fatica emotiva di porsi delle domande perché è stato sancito “scientificamente” e quindi “oggettivamente” qualcosa che non va.

Così è un fiorire di definizioni o di sindromi – disgrafico, iperattivo e così via. I bambini vengono discriminati e quindi non considerati normali, affidati a logopedisti o altri tecnici, e lo psicologo che lavora nei centri pubblici è costretto a certificare ciò che insegnanti e genitori chiedono. Non si vede più lo studente nella sua totalità, come in medicina esistono solo specialisti, sempre più parcellizzati – solo il medico omeopatico, ai nostri giorni, visita guardando il paziente nella sua unità psicofisica, come facevano i medici generici di una volta. Dimenticate tutte le lotte degli anni ’70 contro la scientificità dei test che misuravano il Q.I., oggi la verifica è il verbo dominante, dalle prove Invalsi alla misurazione del merito degli insegnanti, auspicato per la riforma della scuola. Ma chi, e soprattutto come, decide quale sia il merito? Un maestro come Mario Lodi sarebbe riconosciuto meritevole di premio oggi? Molto probabilmente no, o comunque sarebbe sottoposto a innumerevoli misurazioni!

Indirettamente abbiamo iniziato a parlare del ruolo dello psicologo in questo contesto. Storicamente gli psicologi intervenivano nella scuola con un atteggiamento sbagliato, senza riuscire a stabilire un buon rapporto con gli insegnanti – che si sentivano solo giudicati e non aiutati. Molto più proficuo è infatti stabilire insieme una collaborazione e uno spirito di ricerca, con lo sforzo comune di mettere in luce quali sono i veri problemi e come si possono dipanare. Qui verrebbe voglia di fare tanti esempi positivi, li rimando ad altre riflessioni.

Come si insegna oggi? Faccio un esempio emblematico: a giugno una ragazza di 15 anni mi chiede con molta angoscia: "Ho 5,75 in latino, secondo te avrò il debito?". Rispondo scandalizzata dai numeri, e lei mi spiega con precisione i criteri di valutazione, astrattamente matematici. Per la correzione di un compito si parte dal 10 e a ogni errore si toglie un punto, senza discriminare tra gravità o meno di un errore, con una fiscalità estrema, vuota e formale. Mi colpisce e addolora anche la rassegnazione che sento nelle parole di questa ragazza, che non immagina nemmeno che l’insegnamento possa essere molto diverso. Le difficoltà enormi che hanno oggi gli adolescenti, dall’apatia all’indifferenza, alla disperazione, alla necessità di stordirsi con l’aiuto di sostanze stupefacenti non trovano una risposta adeguata né nelle famiglie, né nella scuola.

Qui mi viene in mente don Milani e la scuola di Barbiana, una scuola a tempo pieno nella quale innanzitutto si insegnava ai ragazzi ad esprimersi, perché, sosteneva con forza don Milani, la padronanza della lingua è il primo ed essenziale strumento per esprimersi e quindi saper difendere i propri diritti. Le prese di posizione pubbliche di don Milani – come la famosa lettera ai giudici, “L’obbedienza non è una virtù” – contro l’esistenza dei cappellani militari e a favore di una scelta non violenta, erano fatte sempre per i suoi studenti, per dare un esempio. Così come i Giusti, esempio coraggioso di disobbedienza.

Le esperienze di scrittura creativa e collettiva che tanti maestri anche oggi continuano nel suo spirito, l’insegnamento della storia come inchiesta sul campo, le lezioni che spingono ad andare a intervistare i nonni per farsi raccontare gli anni della guerra, sono alcuni tra i tanti esempi di una scuola viva e calata nella realtà. Non solo un tragico e monotono susseguirsi di interrogazioni, verifiche, compiti in classe…

La psicoanalista Melanie Klein postulò un concetto fondamentale, purtroppo poco conosciuto: l’esistenza nel bambino di un istinto epistemofilico, cioè il desiderio, l’amore per la conoscenza. Se esso non appare, è segno di una sofferenza psichica. Questa consapevolezza potrebbe aiutare gli insegnanti a stimolare o a rafforzare tale istinto negli studenti. All’opposto delle verifiche, dei test, delle discriminazioni, del tecnicismo imperante, a me viene spesso in mente un libro uscito in italiano nel lontano 1987, scritto da vari psicoanalisti della nota clinica Tavistock di Londra. Molto chiaro il titolo, “L’esperienza emotiva nel processo di insegnamento e di apprendimento”. Un modello serio e alternativo di vedere sia il processo di insegnamento che quello dell’apprendimento, e di offrire la ricchezza di un approccio psicoanalitico al di fuori dell’ambito specificamente psicoterapeutico di cura.

Queste prime riflessioni non vanno considerate assolutamente come utopia solo perché vanno contro il pensiero dominante, ma vogliono indicare una via, una speranza, una possibilità di cambiamento, per la costruzione di una scuola che non sia di classe e discriminatoria e formi le coscienze per una società migliore.

Qui l’originale

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