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E dopo la contrapposizione?

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Roberto Beretta - Vinonuovo.it - pubblicato il 09/10/14

Qualunque sarà l'esito temo che il Sinodo scontenterà molti, allontanando alcuni e avvicinando (ma strumentalmente, in fondo) altri

Ho già avuto modo di scrivere qui che non sono particolarmente interessato al dibattito intorno a cui, tra «religionisti» e no, si è strutturata la mediazione giornalistica del Sinodo: ovvero la possibile comunione ai divorziati. Tuttavia – visto che solo di questo si parla – mi è venuto alla mente un parallelo inquietante. Quello dell’«Humanae vitae».

«Chiedevamo un pane, e il Santo Padre ci ha dato pietre»… Quando uscì l’enciclica di Paolo VI, nell’estate 1968, i commenti furono durissimi, anche in casa cattolica (e clericale). L’attesa era infatti per un documento che avrebbe detto «sì» al controllo artificiale della nascite, addirittura si sapeva che la Commissione di esperti – nominata dal Pontefice stesso – si era pronunciata in maggioranza per questa soluzione; invece il Papa avocò a sé la decisione e stabilì il contrario , provocando con ciò (suo malgrado) una spaccatura che possiamo dire non si sia più sanata.

Dov’è l’analogia col Sinodo odierno? Io la vedo nel clima di contrapposizione insanabile tra i due «schieramenti». Mi chiedo cioè: cosa avverrà se vincono gli uni? E se invece prevalgono gli altri? La risposta è semplice ma insieme drammatica: se prevarrà la visione «misericordista» (o lassista, come preferiscono alcuni), infatti, per il fronte tradizionalista si tratterà di una ferita difficilmente guaribile; se invece perdessero i progressisti, l’attesa frustrata di tanti creerebbe una pesante presa di distanza nei confronti della Chiesa (senza contare – ahimé – la "sfiducia" implicita dichiarata al Papa dall’assemblea stessa…).

Insomma, non se ne esce in modo indolore: l’una o l’altra scelta avrebbero conseguenze incalcolabili, perché – volenti o nolenti – questo è il punto di contrapposizione cui siamo arrivati. Paradossalmente, per evitare una frattura bisognerebbe augurarsi un «papocchio», un compromesso, uno di quei «dire e non dire» di cui la Chiesa (e i gesuiti in particolare) nella storia si sono dimostrati molte volte esperti; un misto tra una concessione al nuovo e una replica della dottrina tradizionale, qualcosa che potrebbe sembrare un po’ la linea politica del governo Renzi quando strizza l’occhio a Berlusconi…

Ecco, non volevo ricadere nell’interpretazione «politico-sociologica» del Sinodo, che giustamente è stata in questo stesso blog deprecata da illustri colleghi; eppure è quello che ho fatto. Certo: il Sinodo non è questo, non vuol essere solo un sì o un no sulla comunione ai divorziati; però – comunque vada – alla fine qualcosa sul tema dovrà pur dirlo. E – comunque vada, compreso se dovesse scegliere il «papocchio» tiepido, insipido – scontenterà molti, allontanando alcuni e avvicinando (ma strumentalmente, in fondo) altri.

Nel 1968 Paolo VI ebbe il coraggio di scegliere da solo, portandone la croce per il resto del pontificato; ma era comunque il Papa e si prese la responsabilità facendo da parafulmine agli strali dei contrari. Oggi che invece decideranno in tanti – Francesco ha chiesto infatti il voto all’assemblea finale – la spaccatura si vedrà indubbiamente di più. E temo che sarà comunque un male.

Qui l’originale

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