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Dare un’anima all’Expo

Oltre la frontiera del cibo (reload)

© Godong

Il digiuno non è solo un sacrificio alimentare. Il Papa ci spiega nel Messaggio che è una vera purificazione dalle scorie che accompagnano nella nostra quotidianità.

Popoli - pubblicato il 08/10/14

Nel grande evento dedicato all'alimentazione cosa c'è oltre l'aspetto economico?

di Francesco Pistocchini

Un «grande pretesto»: sintesi ingenerosa per una iniziativa che metterà Milano e l’Italia a un crocevia della globalizzazione? A pochi mesi dall’inaugurazione di Expo (1º maggio – 31 ottobre 2015), se ci si sofferma sulle cronache giudiziarie che toccano l’evento, sulle ambiziose promesse di infrastrutture connesse, o anche solo sui ritardi dei lavori, parrebbe di no. Ma se si pensa al tema, «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», non si può negare che la prossima Esposizione universale racchiude una potente carica di novità. E l’evento milanese promette di essere un «grande pretesto» anche per mettere al centro della riflessione mondiale temi cruciali di giustizia e lotta alla povertà.
«La prospettiva che il tema schiude riguarda tutta l’umanità e va a toccare temi profondi – osserva Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas ambrosiana che, con Caritas Internationalis, è partner di Expo -. Coinvolge scienza, tecnica, ma anche una dimensione antropologica. La domanda è come la Terra possa nutrire tutti coloro che ospita e hanno diritto a vivere con dignità».

La vittoria milanese nella gara per organizzare l’Esposizione arrivò nel 2008, in un momento di esplosione dei prezzi di molti generi alimentari. L’impatto su milioni di persone ha significato impoverimento e aumento dei sottonutriti. Un pianeta con 7 miliardi di abitanti, in grado di produrre cibo per un numero molto maggiore, ha circa 850 milioni di persone affamate o sottonutrite (dati Fao), a fronte di circa 500 milioni che soffrono di obesità (ancora più numerose sono le persone sovrappeso, ricorda l’Oms).

Sei mesi di Expo diventano allora un’occasione irripetibile per accendere i riflettori su una situazione paradossale. «È l’occasione per spingere tutti a domandarsi che cosa abbiamo costruito fino a oggi – continua Gualzetti -, se abbiamo messo a disposizione le risorse della Terra per una vita dignitosa». Domanda imprescindibile per un pianeta che tra vent’anni avrà 9 miliardi di abitanti e reagisce troppo lentamente ai cambiamenti climatici. Per questo le 164 Caritas di tutto il mondo hanno deciso di aderire, «per ricordare a tutti quelli che partecipano che viviamo in un momento storico in cui il divario tra ricchi e poveri sta crescendo e che l’alimentazione è un diritto umano fondamentale», come ricordava il cardinale Maradiaga dell’Honduras, presidente di Caritas Internationalis. La Campagna globale contro la fame, «Una sola famiglia umana, cibo per tutti», lanciata nel 2013, è un esempio delle dinamiche che l’Expo sta mettendo in moto. Il 19 maggio 2015 delegati da tutto il mondo si ritroveranno per presentarne gli esiti: un contributo che parte dal basso, perché membri di Chiese locali e missioni, volontari che vivono a contatto con i problemi, racconteranno il loro percorso. Lo scopo è di invitare tutti i Paesi del mondo ad adottare una legislazione quadro sulla sicurezza alimentare, cioè sulla garanzia di un’alimentazione adeguata per tutti.

Sud del mondo, la prima volta
La presenza estesa dei Paesi del Sud del mondo è una delle novità della prossima edizione. Il tema aveva convinto Stati poveri e in via di sviluppo ad affidare agli italiani l’organizzazione dell’evento. La candidatura milanese era accompagnata da promesse di aiuti e stimoli allo sviluppo tali da risultare la più convincente. Nel «paniere» degli impegni presi si è inserito di tutto, mettendo a frutto anche progetti ed esperienze che già esistevano del mondo accademico milanese, delle Ong, del volontariato. Da allora grandi visioni hanno accompagnato i progetti di realizzazione del sito espositivo. Mentre la cronaca registrava ogni giorno scontri di interessi politici ed economici (i terreni per il sito espositivo sono stati comprati solo nel 2013), la riflessione su quale modello di proposta avanzare non si è fermata. L’idea originaria di un grande orto botanico non ha trovato sviluppi. Un compromesso si è raggiunto intorno alla riproposizione di padiglioni nazionali che, come da tradizione, sono lo strumento per attirare milioni di visitatori. Ma le novità non mancano.

A differenza di edizioni del passato, in cui l’Esposizione universale rappresentava una vetrina per le potenze industriali e le avanguardie tecnologiche, l’appuntamento milanese apre spazi a decine di Paesi del Sud del mondo. La maggior parte di essi è confluita in 9 cluster, dove l’impegno economico è più limitato, ma alcuni stanno già affrontando la costruzione di un proprio padiglione nazionale.

Uno di questi è l’Angola. La rampante economia petrolifera ha spinto gli angolani a impegnarsi su duemila metri quadrati con una struttura dedicata ad «Alimentazione e cultura: educare per innovare». La commissaria Albina Assis Africano ha sottolineato che l’obiettivo è di sensibilizzare su ciò che il Paese sta costruendo e far conoscere la diversità culturale della cucina angolana. «Educare ai temi dell’alimentazione sostenibile, con campagne nelle scuole, sviluppare nuove regolamentazioni sui prodotti locali e introdurre norme sulla salute nei nostri mercati alimentari». Oltre, naturalmente, a mettere in circolazione le buone pratiche. Sono alcuni temi che toccano le problematiche di molti Paesi, specialmente africani.

«Ridurre le malattie da alimenti, che nell’Africa subsahariana causano la morte di 700mila persone all’anno, è un esempio concreto di lavoro – spiega Pier Sandro Cocconcelli, microbiologo degli alimenti dell’Università Cattolica -. Molte di queste malattie possono essere contenute con semplici pratiche di igiene, ma serve trasferire conoscenze». Oltre che sui temi della food safety, con la sua Università il professor Cocconcelli è impegnato da tre anni in un lavoro di coordinamento interdisciplinare, che riguarda la dimensione culturale e religiosa dell’alimentazione e la cooperazione internazionale. La natura stessa di un evento così complesso e trasversale spinge docenti e ricercatori di svariate discipline a collaborare. Vale per la Cattolica come per le altre istituzioni coinvolte.

Cocconcelli è anche il responsabile di uno dei cluster, quello del cacao. «È un prodotto che nasce in Centroamerica, diffuso come bevanda, oggi cresce soprattutto in Africa ed è consumato come cioccolato nel Nord del mondo – spiega -. Offre grandi potenzialità di sviluppo per i Paesi produttori, ha effetti benefici sulla salute sempre più riconosciuti, si coltiva con impatto ambientale contenuto. E il consumo globale cresce con la spinta cinese». 



Dietro il fascino irresistibile del prodotto c’è anche business. La prossima riunione dell’Icco (l’Opec del cacao) coinvolgerà il nostro ministero degli Esteri e diverse Ong, per parlare di cooperazione, buone pratiche e prospettive nei Paesi del Sud del mondo. Un esempio tra i tanti delle dinamiche che si mettono in moto. Il cluster ospiterà una grande mostra sul tema, avrà una spinta da Eurochocolate, coinvolgerà Fairtrade: sponsor, ricerca, cooperazione si intrecciano. È la «contaminazione» che scaturisce dalla manifestazione.

Ma si tratta solo di un evento che offre mille attrattive a un pubblico del Nord del mondo o esistono ricadute concrete? La rete di quasi 200 università cattoliche del mondo, un altro esempio di network, è in grado di coinvolgere atenei che sono tra i più blasonati, accanto a università che stanno emergendo nei Paesi più poveri. «È importante, anche se difficile, coinvolgere le università dei Paesi interessati. Esistono buone prassi che hanno funzionato: anche se ci sono pochi fondi e poco tempo per svilupparne di nuove, portiamo quelle esistenti e discutiamone», conclude Cocconcelli.

Questione di fondi

Molto spesso le ambizioni e le buone intenzioni ispirate dal tema si sono fermate davanti alle scarse risorse economiche. Dai bilanci di Expo2015 S.p.A, si nota subito che la grande macchina sta accelerando. I ricavi della società sono passati dai 13,6 milioni del 2011, ai 28,7 del 2012 ai 67,1 dello scorso anno, con una forte crescita delle sponsorizzazioni. I costi, di poco superiori, vanno di pari passo. Cifre contenute se si confrontano con i fondi spesi per autostrade o metropolitane che con Expo hanno un rapporto solo indiretto. A enti e istituzioni impegnate nella ricerca scientifica e culturale sui temi al cuore dell’Expo, sono stati assegnati 2,7 milioni.

In prima fila c’è la Fondazione Feltrinelli, che ha avuto finanziamenti per l’unico progetto di ricerca direttamente promosso dalla società Expo e suddiviso in quattro filoni. Con la collaborazione delle università, perlopiù milanesi, sta sviluppando percorsi di ricerca in agricoltura e alimentazione, antropologia, sociologia urbana e sviluppo sostenibile.Progetti specifici e concreti, come, ad esempio, uno studio sull’elettrificazione rurale in Etiopia o la cultura del vino. «L’output finale dovrebbe essere la definizione di una “Carta delle raccomandazioni” – spiega Bianca Dendena, agronoma che per la Fondazione si occupa di una ricerca sulle biodiversità -. In essa sono destinati a convergere tutti i percorsi di ricerca, dopo avere individuato alcune domande centrali». Sulla formulazione di queste domande sta già lavorando una rete di esperti, non solo accademici, a livello internazionale. Formulate all’inizio dell’Expo, potrebbero costituire un invito alla riflessione.

Formazione e informazione

Dibattiti, seminari, conferenze sono già in corso. Anche la Fondazione Feltrinelli sente forte il mandato a lavorare per l’informazione sui contenuti, cercando di raggiungere il più vasto pubblico possibile. «C’è ancora molta disinformazione – osserva Dendena -, anche se la tematica del cibo avvicina più dell’energia in senso stretto o di certi temi economici. L’occasione è ottima per un lavoro di sensibilizzazione. Si tratta di vedere come sarà realizzato». Questioni cruciali come il prezzo delle 
commodities, gli Ogm, il 
landgrabbing, la sovranità alimentare faticano ancora a raggiungere il grande pubblico. «Potrebbe essere utile che queste “raccomandazioni” venissero formulate in modo semplice e distribuite ai visitatori – continua la ricercatrice -, orientandoli in un percorso di approfondimento. Inoltre, si era pensato di creare una serie di output per le scuole su agricoltura e alimentazione, che per il momento sono ancora sulla carta».

Un problema centrale, ma che deve farsi ancora strada nella consapevolezza dei consumatori è lo spreco alimentare. Il tema sta a cuore trasversalmente a molti soggetti impegnati per dare un’anima all’Expo. Ogni europeo spreca in un anno 150 chilogrammi di alimenti, considerando tutte le fasi, dal processo di semina al consumo. Il sistema non è efficiente, oltre che iniquo e, alla lunga, autodistruttivo.

Società civile attiva

Come raggiungere in poco tempo e in modo attraente, attraverso temi complessi, famiglie, turisti italiani e stranieri, persone attirate da interessi architettonici o gastronomici? È una questione che hanno ben presente le organizzazioni del Terzo settore. Il loro protagonismo è un’altra delle grandi novità dell’edizione milanese. «La nostra sfida è far crescere l’attenzione dei cittadini. Sono processi lunghissimi, come per l’ambiente: sono occorsi trent’anni per diffondere una consapevolezza. Questo evento può veramente dare un contributo perché aumenti l’attenzione di tante persone verso i temi della nutrizione e dell’energia». Ne è convinta Sabina Siniscalchi, vicepresidente della Fondazione Triulza. Per la prima volta in un’Expo un padiglione, il terzo per dimensioni, è dedicato alle organizzazioni della società civile. Si tratta di un edificio storico (Cascina Triulza) già esistente e destinato a restare attivo dopo l’Expo. «Abbiamo creato la Fondazione Triulza, con una sessantina di realtà italiane e internazionali – spiega -. Si trovano fianco a fianco soggetti diversi, come le organizzazioni della cooperazione sociale e le Ong attive nel Sud del mondo, è un’occasione promettente».

Alcune tra le più grandi partecipano con i propri spazi, come ActionAid, Oxfam, Save the Children, e poi Caritas, Wwf, Slowfood. Altre sono presenti nella Fondazione. Un obiettivo è di avere una presenza diffusa. Le organizzazioni intendono fare da tramite con le rispettive reti internazionali di appartenenza. «Banca Etica, ad esempio, che conosco da vicino – aggiunge Siniscalchi -, si è rivolta alle reti europea e mondiale delle banche etiche, trovando una risposta un po’ tiepida. Non nascondiamoci che l’Expo suscita anche critiche, rivolte soprattutto al Paese, legate ai ritardi, ai timori di corruzione. Si sconta una certa fama dell’Italia a livello internazionale. Ma questo non ci fa tornare indietro nella scelta».

La Fondazione Triulza ha già lanciato due chiamate di idee, aperte a tutti, e un centinaio di proposte sono già state avanzate, con grande varietà di temi. L’offerta di esperienze e conoscenze, dai padiglioni nazionali ai cluster, dalla società civile al mondo culturale è potenzialmente immensa. Bisogna saper avvicinare, anche se in modo veloce, persone, cittadini comuni, da ogni parte del mondo, con la capacità di trasmettere contenuti e visioni.

È ciò che ha spinto lo Stato del Vaticano a partecipare anche questa volta. «Il padiglione dal titolo “Non solo pane. Alla tavola di Dio con gli uomini” – spiega Gualzetti, che del padiglione è vicecommissario -, sviluppa un discorso di condivisione, solidarietà e rispetto per l’ambiente, come dono di Dio messo al servizio dell’uomo». Anche il padiglione del Vaticano è alla fine della fase progettuale, ma come per gli altri i tempi stringono, dato che tutto deve essere edificato entro il 28 febbraio, per avere il tempo di allestire e collaudare la struttura.

Troppe proposte?

«Ci può essere un rischio che il risultato sia “bulimico”», mette in guardia Paolo Corvo, sociologo dell’Università delle Scienze gastronomiche di Bra (Cn) e membro del Comitato scientifico delle Università, istituito dal Comune di Milano per l’Expo. Come rappresentante del mondo di Slowfood nell’evento esprime la preoccupazione che la dimensione scientifica e culturale resti schiacciata. «È stato lanciato un bando per la presentazione a livello mondiale di buone pratiche di sviluppo sostenibile – aggiunge Corvo -, anche se non ci sono grandi fondi. È impossibile prevedere che cosa emergerà da questo grande confronto di persone, ma ci sarà una dinamica positiva, anche in modo informale». 



Il Terzo settore sa che anche le grandi imprese dell’agroalimentare, antagoniste di tante campagne per i diritti e l’ambiente, sono attente alla loro reputazione. «Denuncia e interlocuzione – sostiene Sabina Siniscalchi – sono le strade che occorrerà percorrere. Di dichiarazioni sui grandi problemi, credo, ne abbiamo a sufficienza». Un punto debole sono, ancora una volta, i fondi limitati perché le organizzazioni della società civile vivaci e organizzate del Sud del mondo siano facilitate nella loro presenza durante l’Expo. 



Tra le promesse fatte nel 2008 in fase di candidatura c’era quella di istituire un Centro internazionale sulla sicurezza alimentare e ambientale, come eredità dell’Expo a Milano. Non è chiaro se si realizzerà, ma sarebbe molto utile per costruire una continuità con tutto ciò che animerà Milano per sei mesi. Anche dalla qualità del «lascito» (non soltanto misurato in termini economici) si capirà il senso di tanto impegno e se dell’anima dell’Expo rimarrà un’impronta.

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