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I matrimoni vaticani rivisitati

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FILIPPO MONTEFORTE

Catherine Ruth Pakaluk - pubblicato il 03/10/14

Papa Francesco ha provocato scandalo?

Un gentile lettore ha scritto la scorsa settimana dicendo che è stato molto bello che la cerimonia matrimoniale alla presenza del papa – con alcune coppie conviventi – non sia stata problematica come sembrava all’inizio, ma mi ha chiesto se io non avessi evitato la questione reale, ovvero che una cerimonia matrimoniale pubblica presieduta dal Santo Padre, anche se canonicamente difendibile, non abbia probabilmente generato confusione e provocato scandalo. Guardate solo come l’hanno trattata i media principali: “Il papa più inclusivo”… “Il papa rende la Chiesa più accogliente verso i peccatori”… “Il papa, che ha detto ‘Chi sono io per giudicare?’, rifiuta di giudicare le coppie conviventi”. Il mio amico terminava la sua lettera chiedendomi di “affrontare… quale sarebbe l’obiettivo di agire in modo tale da poter provocare scandalo o confusione”. Sono buone domande, per cui ecco qualcosa che non avevo detto.

1. Il papa non ha dato scandalo. Per dare scandalo, bisogna fare qualcosa di malvagio o di sbagliato che faccia sì che un’altra persona pecchi (Summa Theologiae, II-II: 43,1) In genere lo scandalo implica anche attirare o indurre il peccato altrui – come bere eccessivamente e trascinare direttamente un amico nello stesso comportamento. Ma il papa non ha fatto nulla di sbagliato. Anzi, ha fatto una cosa del tutto coerente con le norme canoniche sul matrimonio. Oltre a questo, come ho affermato la volta scorsa, in base a come si leggono i dati sociologici, il papa può aver fatto qualcosa che ricorderemo come lodevole e altamente importante per la Chiesa oggi. Lo dirà il tempo, ma per definizione non si tratta di uno scandalo.

2. Il papa non ha suscitato confusione. Per suscitare confusione bisogna fare qualcosa che offusca, sovverte o mina in modo specifico l’insegnamento di una verità di fede, ma il papa non ha fatto nulla di tutto ciò. Per quelli che vogliono capire, il papa ha chiarito una serie di cose. Per fare solo un esempio: scommetto che un buon numero di fedeli non sapesse prima che ci si può sposare validamente quando non si è in stato di grazia. Ora possiamo discutere sul fatto che sia una cosa positiva o meno – o se invece questo comporti una sorta di pericolo morale –, ma resta il fatto che chiarire le cose suona come l’opposto di provocare confusione.

E quelli che non vogliono capire? Chi ha scritto quegli articoli dai titoli altisonanti sul fatto che la Chiesa assume un atteggiamento “soft” e cambia il suo insegnamento? Posso dire questo: il Papa non ha provocato la loro confusione. È quella che definiremmo ignoranza vincibile o intenzionale – perché chiunque voglia sapere cosa insegna la Chiesa sul matrimonio, sulla convivenza o su qualsiasi altra cosa può avere accesso gratuitamente a un’ampia serie di catechesi chiare. I giornalisti e altri intellettuali non hanno scuse per dire che gli insegnamenti della Chiesa stanno cambiando in qualche modo particolare – e nessuna ragione per farlo se non il loro pio desiderio. Le loro opinioni e le loro idee, inoltre, hanno poco a che fare con la salute e la vitalità della Chiesa.

3. Il papa non è un politico. Non è compito del papa assicurare che ogni azione o ogni dichiarazione sia resa impermeabile nei confronti di qualcuno che le dà un significato che invece non ha. I media principali rigirano intenzionalmente ciò che fa la Chiesa. È così ovvio che non vale nemmeno la pena di notarlo, ma accade comunque. Il papa dovrebbe essere biasiamto perché ci sono persone che vogliono minare gli insegnamenti della Chiesa sulla sessualità e sfruttano ogni occasione per farlo?

4. Il papa cerca la pecorella perdutaNe abbiamo già parlato, ma mi ripeterò. Papa Francesco pensa che il suo ministero si rivolga al figliol prodigo. Chiede un profondo cambiamento pastorale nella Chiesa. La Evangelii Gaudium è estremamente chiara al riguardo. E malgrado questa chiarezza, a volte la nostra prima reazione è pensare che il pontefice sia troppo indulgente verso il figliol prodigo, il che ci rende – ne sono abbastanza convinta – esattamente come il figlio maggiore della parabola. Non è solo un bel pensiero per la riflessione personale, ma una decisa asserzione sull’intera condizione della Chiesa. Papa Francesco sembra credere che tutta la Chiesa abbia agito come il figlio maggiore. 

5. Il papa crede che la chiave per il cambiamento sociale sia la grazia. Non è un’idea nuova, né è scioccante, ma ad alcuni di noi, soprattutto quelli che amano i libri e le idee e l’uso della ragione, va ricordato. Prendiamo l’aborto legale. Combattiamo il mostro in questo Paese [gli Stati Uniti, ndt.] da più di quattro decenni. Pensavamo di poterlo combattere con l’uso di argomentazioni secolari e corrette – argomentazioni che speravamo sarebbero state unificanti perché non dipendevano dalla Chiesa o dal credo. Ma non ha funzionato molto bene.

Pensiamo invece a come Giovanni Paolo II ha combattuto il comunismo. Nel 1979 in Piazza della Vittoria a Varsavia ha gridato: “E grido, io, figlio di terra polacca e insieme io, Giovanni Paolo Il Papa, grido da tutto il profondo di questo millennio, grido alla vigilia di Pentecoste: Scenda il tuo Spirito! Scenda il tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa Terra” Dieci anni dopo il regime sovietico è crollato. E noi non riusciamo ancora ad annullare il male della Roe vs. Wade [la sentenza che ha sancito il diritto all’aborto negli Stati Uniti nel 1973, ndt].

Ecco, credo, un modo per capire cosa ha in mente papa Francesco con la sua agenda pastorale. Vuole spazzar via i modi burocratici di dare la grazia alle persone – come se fossero metodi di combattimento non adatti a una guerriglia – e concentrarsi invece sull’offrire la grazia alle persone. Trovare lo stretto indispensabile. Nutrire le persone. Perché non possiamo trasformare la società se nessuno è cristiano, e non possiamo ottenere più cristiani se non li facciamo raggiungere dalla grazia. È un’idea strana, lo ammetto, provocare un revival sacramentale per smontare le strutture di potere della cultura della morte, ma per quanto possa sembrare strano, è esattamente quello che ha funzionato per i primi cristiani. E potrebbe funzionare anche oggi.

Catherine Ruth Pakaluk è assistente di Economia presso l’Ave Maria University, Faculty Research Fellow presso lo Stein Center for Social Research e Senior Fellow in Economia presso l’Austin Institute for the Study of Family and Culture. La sua ricerca si concentra sui settori della demografia, del genere, degli studi sulla famiglia e dell’economia dell’educazione e della religione. Lavora anche sull’interpretazione e la storia del pensiero sociale cattolico. Ha conseguito un dottorato in Economia presso l’Università di Harvard (2010). Vive ad Ave Maria, in Florida, con il marito Michael e i loro sette figli.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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