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Perché un disabile non può diventare sacerdote?

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Toscana Oggi - pubblicato il 02/10/14

Perché sacerdote paraplegico può celebrare la messa o dare i sacramenti?

Parlando con il mio sacerdote (molto giovane e con gravi problemi di salute) ho scoperto che non esistono sacerdoti che esercitano il loro servizio pur essendo paraplegici.  Mi è stato spiegato che i sacerdoti devono essere al servizio delle persone loro affidate e non viceversa,  ma non condivido per niente: il mio sacerdote è importante per tutto quello che riesce a trasmettermi indipendentemente dalle gambe! Sono belle le passeggiate e le gite, ma sono importanti per quello che portiamo a casa come esperienza di fede, come arricchimento interiore e incontro con Dio e queste cose non ce lo trasmettono le gambe, ma la fede e l’entusiasmo di chi ci guida. Credo anzi che sia importante vedere anche la sofferenza e in questo il grande Giovanni Paolo II  ci ha insegnato tanto, quand’era all’ospedale per operarsi alle gambe disse: «quante peroccupazioni per le mie gambe, non sono Papa per le mia gabe, ma per la mia testa», ha continuato a esercitare il suo servizio fino alla fine… forse voleva insegnarci qualcosa? Le sarei grata se mi spiegasse perchè un sacerdote paraplegico non può celebrare la messa, (cosa di importanza quasi vitale per lui) o dare i sacramenti.
Lettera firmata

Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia Sacramentaria
Questa lettera mostra un attaccamento profondo alla figura del sacerdote e al suo ministero, una visione dalla parte del credente che ricerca nel prete un aiuto chiaro a vivere fino in fondo il suo rapporto con Dio. Da questo punto di vista, certamente sorgono dubbi legittimi in merito a supposti limiti che la Chiesa metterebbe nella scelta dei suoi ministri.
Possiamo dire subito che, in realtà, limiti assoluti non ve ne sono; esistono solo delle indicazioni che il nuovo Codice di diritto canonico ha sfumato rispetto alla normativa precedente.

Il Codice promulgato nel 1917 da papa Benedetto XV descriveva una serie di condizioni che impedivano di essere scelti per ricevere il sacramento dell’ordine (canoni 983-991). Si tratta di un’ampia gamma dei cosiddetti «impedimenti», che riguardano la fede, la morale e la condizione di vita dei possibili ministri. L’intenzione del legislatore è tesa a proteggere la figura del ministero sacerdotale da ogni possibile denigrazione. In questa prospettiva dobbiamo leggere il canone 984, dove si trova l’indicazione di valutare la situazione fisica della persona, per evitare che l’esercizio del servizio all’altare sia compiuto in modo non adeguato alla dignità del mistero celebrato.

Come appare chiaro da queste poche parole, il sacerdote è visto secondo la teologia dell’epoca. Ormai da secoli nella visione cattolica il sacerdote è l’uomo dell’Eucaristia, da questo sacramento centrale dipende quasi del tutto la sua figura. Il sacerdote deve poter celebrare in modo conveniente la Messa e da questa esigenza deriva l’attenzione che il Codice del 1917 riserva ad una salute e integrità fisiche convenienti alla liturgia da celebrare. Possiamo ricordare come questa relazione così stretta, e soprattutto univoca, del sacerdote con la Messa abbia origini antiche, potendo farla risalire all’alto medio evo. Certamente ha contribuito a questa legislazione l’accostamento fatto nella visione teologica del ministero cristiano con il sacerdozio levitico. Così le indicazioni precise che il libro del Levitico prescrive per la scelta dei sacerdoti degni di presentarsi per offrire «il pane del suo Dio» vennero trasferite direttamente per la scelta dei sacerdoti cristiani. Nel popolo ebraico si nasceva di stirpe sacerdotale, facendo parte della tribù di Levi, ma chi avesse un difetto fisico non poteva accostarsi per offrire il pane del suo Dio (cf Lv 21, 16-23). 

La teologia cattolica si è ormai e da tempo distanziata da quella prospettiva. Gesù Cristo con il suo Vangelo sono la novità definitiva sulla quale devono configurarsi la vita dei cristiani, compresi i loro preti. Le norme o le indicazioni della Scrittura ebraica sono una profezia autentica, che trova il loro compimento nella pienezza dell’evento Cristo. Abbiamo così scoperto il legame fra l’annuncio del Vangelo e il ministero. Lo stesso Concilio di Trento riafferma come la predicazione sia il compito principale dei vescovi. La figura del ministro, poi, appare come il segno di Cristo pastore in mezzo al suo popolo. Non possiamo, quindi, legare la figura del prete alla sola celebrazione dell’eucaristia e la lettera del lettore ci spinge a nuove considerazioni.

L’attuale Codice di diritto canonico, promulgato da papa Giovanni Paolo II, sfuma parecchio le restrizioni del Codice precedente e, di fatto, rilascia il discernimento finale sull’ammissione al vescovo o al superiore competente. Il canone 1029 dell’attuale codice indica brevemente una serie di requisiti necessari per esercitare in modo congruo il dono ricevuto: fra questi vi sono delle generiche «qualità fisiche e psichiche». La decisione finale, tuttavia, è sempre rilasciata al vescovo, che esercita in questo modo una dimensione importante e delicata del suo ministero apostolico.

Non vi sono, quindi, preclusioni giuridiche assolute per l’ordinazione di uomini che non godano di una piena integrità fisica. Resta, però, vero che nessuno ha diritto ad essere ordinato ministro nella Chiesa. Il fatto che sia la Chiesa a scegliere i suoi ministri, secondo norme che lei stessa pone in obbediente ascolto del Vangelo di Cristo, getta una luce particolare su questo sacramento. Probabilmente ognuno di noi chiede e ricerca nei sacerdoti ciò di cui sente il bisogno. Oggi la dimensione relazionale dell’ascolto, della parola che consola e aiuta nel cammino della vita è un valore molto importante. Il prete, però, è chiamato ad essere uomo per tutti e in tutti gli aspetti del suo ministero, che non è lui a determinare, ma lo riceve come un dono che non è a sua disposizione né può limitare.

In linea di principio, il donarsi «a tutti e in tutto» richiede anche una certa e adeguata capacità fisica. Molto più delicato è il caso che riguarda il possesso della necessaria piena armonia affettiva e della matura stabilità psicologica. In ogni caso, come detto sopra, la decisione finale spetta al vescovo, che, secondo il suo giudizio, potrebbe anche valutare la presenza di circostanze eccezionali che permettano di andare oltre certe limitazioni fisiche.

Vorrei aggiungere, alla fine, come ogni situazione può e andrebbe letta alla luce di una fede piena nelle parole di Gesù. La piena comunione con Dio è nell’amore, vissuto secondo le esigenze del Vangelo. Il Vangelo illumina la nostra storia, dicendo che esistono situazioni esistenziali offerte come una croce da portare in libertà d’amore e in comunione con Cristo. Vi è un compito sacerdotale proprio ad ogni cristiano, che si realizza nella vita condivisa con il prossimo. Chi è segnato nella propria carne dalla sofferenza, e per grazia di Dio riesce a viverla con un cuore pacificato, spesso ci offre parole di consolazione e di speranza che sono realmente una guida al nostro cammino, perché nascono da un’esperienza di fede vissuta. Tutto questo al di là di un ministero ecclesiale ordinato, ma certamente espressione autentica dell’unico sacerdozio di Cristo.

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