La tradizione musulmana vede nella conversione di Roma all'Islam il segno della fine dei tempi
La promessa di Abu Muhammed Al Adnani, portavoce dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria guidato dal Califfo Ibrahim, noto anche come Abu Bakr al-Baghdadi, in un documento diffuso dai media di tutto il mondo, è di quelle che fanno paura: «Conquisteremo la vostra Roma, faremo a pezzi le vostre croci, ridurremo in schiavitù le vostre donne». Si registrano tante reazioni di politici, alcune serie e altre che assomigliano un po’ alle farneticazioni di crociati della domenica, convinti che più si urla più ci si rende graditi agli elettori.
Calma: come abbiamo già spiegato su queste colonne – e come, più autorevolmente di noi, va spiegando Papa Francesco – certe reazioni fanno solo il gioco del Califfo. Ibrahim e i suoi complici urlano e provocano sperando proprio di trovare in Occidente reazioni scomposte che finiranno prontamente sulle pubblicazioni dell’Isis. E che permetteranno al Califfo di sostenere che sì, è in corso una guerra fra il Califfato e gli «occidentali», i «crociati», i «cristiani», ed è dunque dovere di tutti i buoni musulmani accorrere in soccorso di Ibrahim e arruolarsi sotto le sue bandiere. Quella che qualcuno ha chiamato «strategia Francesco» – dal nome del Papa, che per primo l’ha proposta – appare invece come l’unica risposta politicamente e culturalmente adeguata alle provocazioni dell’Isis. Si tratta di insistere sul fatto che il Califfo non massacra solo cristiani, ma anche fedeli di altre religioni – chiedere per informazioni ai poveri yezidi, seguaci di un antico culto gnostico iracheno –, musulmani sciiti, e anche sunniti che non sono d’accordo con la sua interpretazione estrema e ultra-fondamentalista del Corano.
La guerra non è tra il Califfato e i cristiani, è tra il Califfato e il mondo, e il modo di disinnescare la propaganda di Ibrahim è schierare contro di lui una coalizione politica e militare che comprenda anche non cristiani, anche musulmani, anche sunniti e che dunque la sua retorica non possa facilmente etichettare come «cristiana» o «crociata». Posto dunque che contro il Califfo è indispensabile – per quanto, per molte ragioni, non facile – sollecitare e ottenere la collaborazione di altri musulmani, possiamo chiederci se quanto le sue pubblicazioni, e da ultimo il suo portavoce, vanno dicendo della conquista di Roma abbia qualche fondamento nella tradizione musulmana. Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, e perfino il truculento portavoce del Califfo ha ragione quando prende in giro il segretario di Stato americano Kerry e il presidente Obama, i quali hanno affermato – quasi fossero dei dottori della legge islamica – che le dottrine dell’Isis «non sono musulmane». Chi giudica che cosa è islamico e chi no? L’islam sunnita non ha autorità riconosciute: si dice che giudicano i «dotti» o «la comunità», che è come dire che non giudica nessuno.
Ma l’islam che cosa afferma di Roma e di una sua eventuale conquista? Anzitutto, che Roma sia divenuta terra islamica – e, se una terra diventa islamica, lo rimane per sempre – perché nell’846 una flotta musulmana risalì il Tevere e saccheggiò la città, basilica di San Pietro compresa, portandosi via le famose decorazioni d’oro e d’argento che risalivano al secolo precedente, è una tesi sostenuta solo da fondamentalisti radicali a partire dal secolo XX. Gli storici hanno dimostrato che di quel saccheggio, per quanto clamoroso, non giunse neppure notizia ai grandi centri medio-orientali dell’islam, così che non ne rimane nessuna traccia nei testi dell’epoca.
Nei primi secoli i musulmani s’interessavano molto di Roma come città-simbolo