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Nullità matrimoniale: il processo più rapido è un atto di misericordia

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 24/09/14

Resi pubblici dalla Santa Sede i nomi della Commissione che lavorerà per semplificare il processo matrimoniale

Oramai ci siamo. A pochi giorni dall’apertura del Sinodo della Famiglia, prevista per il 5 ottobre, la Santa Sede mostra di voler dare un’accelerata a quella riforma della giustizia canonica in tema di matrimoni che si trova sul tavolo della priorità da molto tempo. Papa Francesco ha istituto alla fine dell’agosto scorso una Commissione speciale di studio per la riforma del diritto matrimoniale canonico, organismo che si occuperà di semplificare l’iter dei processi per le coppie che si rivolgono ai tribunali ecclesiastici richiedendo la valutazione di una possibile nullità del loro matrimonio. Il tema è delicato, perché la macchinosità e l’eccessiva lunghezza dei procedimenti si annodano ai tanti problemi che nascono negli anni in seno alla vita delle coppie, a cominciare dalle tematiche dei divorziati risposati: tema questo su cui già Benedetto XVI aveva chiesto una profonda riflessione, e che sarà al centro del prossimo Sinodo. Per comprendere meglio la portata dei possibili cambiamenti in vista, Aleteia si è rivolta a padre Hector Franceschi, docente di diritto matrimoniale canonico presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Cosa significa questa decisione di papa Francesco?

Franceschi: Il papa vuole concretizzare una cosa che ha detto più volte. C’è bisogno di dare risposte a un problema che è molto diffuso, e cioè la durata delle cause di nullità. A questo proposito mi ricordo di un documento pubblicato a luglio dal Consiglio delle conferenze episcopali europee nel quale emergeva come questo problema non riguardasse solo l’Europa ma tutto il mondo. Anzi, va detto che in Italia e negli altri Paesi europei i tribunali funzionano, anche se alle volte le cause durano un po’ troppo, ma ci sono tanti Paesi, e molti sono in America Latina, che in anni non hanno emanato una sentenza, oppure l’hanno emanata dopo tantissimo tempo. Succede anche che la causa si fermi al secondo grado di giudizio perché il tribunale è costituito sulla carta, ma in realtà funziona ad intermittenza. Se noi ai fedeli che ci interrogano per sapere se ci sono le condizioni per la nullità diciamo che c’è un’autorità costituita per accertare il loro caso, ma poi di fatto questo non lo assicuriamo, finiamo per lasciare moltissimi fedeli in tutto il mondo senza qualcuno a chi rivolgersi o senza risposte nei tempi giusti. Il Codice di diritto canonico dice che le cause di prima istanza non dovrebbero durare più di un anno, e quelle di seconda istanza non più di sei mesi. Ma la realtà, tranne alcuni Paesi, non è questa. L’idea dunque è di stabilire che cosa si può fare per snellire alcuni processi di nullità del matrimonio sempre, come scrive lo stesso pontefice, “nel rispetto dell’indissolubilità del matrimonio”.

Più snello non vuol dire allora che sarà più facile vedere accertata la nullità del matrimonio?

Franceschi: Non si tratta di togliere il processo e far sì che sia solo una specie di accertamento amministrativo o pastorale del fallimento del matrimonio, ma si tratta solo di rendere il processo più snello, nell’accertamento della verità. Bisogna trovare un equilibrio tra la durata dei processi e il rispetto della verità. Non sappiamo cosa succederà, ma quello che si vuole ottenere è che si riducano i passi dell’iter, oppure che alcuni requisiti del processo attuale vengano modificati per rendere più agevole il funzionamento dei tribunali. Penso soprattutto a quei Paesi nei quali tante volte mancano dei canonisti. Ad esempio, c’è un requisito nel processo attuale per il quale in linea di principio i tribunali sono collegiali, cioè formati da tre giudici. Uno dei possibili cambiamenti è rendere i tribunali “personali”: stabilire cioè che in prima istanza ci sia un unico giudice, mentre in seconda istanza ne rimangano tre. Questo vorrebbe dire dare più lavoro alle persone singole, senza avere tre giudici impegnati in ogni causa.

Tra le ipotesi c’è anche quella di annullare l’obbligatorietà del secondo grado, giusto?

Franceschi: Questa è una possibilità di cui hanno parlato in molti: nel caso ci fosse una sentenza affermativa, ed entrambe le parti sono d’accordo, potrebbe non esserci la necessità di andare in seconda istanza per avere una conferma, tramite un decreto o tramite un’altra sentenza. Questo sempre salvando il diritto di una delle parti a ricorrere in appello. Ma finora sono tutte ipotesi.

Sta cambiando qualcosa nella concezione del matrimonio da parte della Chiesa, secondo lei?

Franceschi: Non penso. In questo senso quella frase finale è importante, “fatta salva l’indissolubilità del matrimonio”. Se non è approvata la nullità, non può essere data una sentenza affermativa. È vero però che la Chiesa tiene conto del grave problema del divorzio, che ormai esiste in tutti i Paesi del mondo tranne in uno, le Filippine. Ci sono molti cattolici che purtroppo si trovano in questa situazione. Divorziati, magari risposati civilmente. Nell’esortazione Sacramentum Caritatis di Papa Benedetto XVI, al capitolo 29 si dice che “là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza”. Questo perché se il matrimonio viene considerato nullo, i due potrebbero risposarsi anche in Chiesa. Ma allo stesso tempo c’è il problema di coloro che vorrebbero ricorrere al tribunale per sapere se il loro matrimonio era nullo, ma che si trovano di fronte un tribunale che ci può mettere anni solo per ammettere la causa, ancor prima di prendere la decisione. Questo è un problema di giustizia, ma anche di misericordia. Non possiamo dire ad un fedele: “decidi tu”. È un problema che riguarda tutta la Chiesa.

Intravede dei rischi nell’esito del lavoro della Commissione?

Franceschi: In ogni cosa c’è il rischio, ma bisogna lasciar lavorare la Commissione e sapere che lo Spirito Santo aiuta la Chiesa. In questo momento nell’ambiente ci sono molte tensioni, anche scontri, ma alla fine sono sicuro che le cose andranno per il meglio. Il rischio peggiore lo vedo nella possibilità di perdere il bene più grande del matrimonio, quello che la Chiesa ha sempre difeso, il bene dell’indissolubilità, il “per sempre” del matrimonio. Ricordiamo che il divorzio è entrato nel diritto dapprima come un’eccezione, poi si è diffuso. È stato così anche per gli ortodossi: il divorzio era ammesso solo per l’adulterio, ma una volta ammesso si sono allargate le fattispecie e adesso qualsiasi motivo lo giustifica. Penso che l’indissolubilità sia un bene esigente, molto esigente, ma se i coniugi hanno chiaro ciò che questo bene significa per i figli, allora troveranno il bene vero. Bisogna sempre tener conto dei figli, questo preoccupa molto il papa: ad esempio, il caso dei figli delle seconde unioni. Bisogna capire come accogliere i loro genitori e accompagnarli in un cammino di conversione. Penso che la missione del papa non riguardi solo il processo, ma sia a tutto campo: si tratta di far conoscere il ricchissimo magistero della Chiesa sulla famiglia. Molto di quello che anche Giovanni Paolo II ha detto sulla famiglia, ad esempio, è sconosciuto non solo ai laici, ma anche a molti religiosi.

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