Sulla lebbra della maldicenzadi Antonella Anghinoni
Myriam, Aronne e Mosè erano come “un sol uomo”. Si sostenevano a vicenda e guidavano il popolo d’Israele con virtù e saggezza. Ma anche la famiglia più unita può conoscere la discordia, infatti arrivò il giorno in cui il male con le sue tentazioni spinse la sorella e i due fratelli l’uno contro l’altro.
Myriam prese in disparte Aronne e sibilò parole velenose contro Mosè: “Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?”. Siamo al capitolo 12 del libro dei Numeri, al versetto 2, che termina con le parole: “Il Signore udì”. Myriam era una profetessa, ma capita anche ai grandi di sbagliare. Il pretesto del litigio era la moglie etiope di Mosè. E chissà qual era il motivo del contendere. La Bibbia non lo dice. Possiamo immaginare una tipica rivalità femminile? Oppure Myriam gli rimproverava di aver abbandonato Zippora, la moglie da cui ebbe i due figli Ghersom ed Eliezer, per sposare questa donna? E l’etiope era davvero una seconda moglie, o Myriam con quelle parole intendeva riferirsi alla stessa Zippora, visto che era madianita e quindi più scura di pelle? Non lo sappiamo, ma di certo sappiamo che il Signore udì. La Bibbia prosegue dicendo che Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra. Non meritava di essere giudicato male. Il Signore intervenne, scese in una colonna di nube e parlò chiaro a Myriam e Aronne. E quando si ritirò, Myriam era bianca come la neve. La lebbra aveva colpito la sua pelle, mentre ad Aronne non era successo niente. Perché? Il testo ebraico dice: “Ella parlò”, al singolare, quindi Aronne non pronuncia sentenze. O rimase ad ascoltare in silenzio, oppure contribuì allo scambio di idee in un momento successivo.
La lebbra è una malattia contagiosa e a quel tempo chi ne era affetto veniva isolato dall’accampamento e non poteva avere contatti. Myriam dunque abbandonò la comunità e restò lontana dai suoi per il tempo stabilito. Una curiosità: lebbra in ebraico si dice tzara’ath, è l’unione di due parole: “stretto” e “cattivo”. Rende l’idea di stare rinchiusi in un posto infestato da animali cattivi. È come essere imprigionati in un tana di serpenti e isolati.
Myriam si era macchiata di maldicenza, una colpa che annienta tre persone: chi la diffonde (Myriam), chi la ascolta (Aronne) e chi ne viene colpito (Mosè).
Questo fatto insegnò molte cose a Myriam, facili da immaginare se si ha un briciolo di immedesimazione. Ma una, e non la meno importante, è inaspettata: il popolo decise di fermarsi per attendere la sua guarigione. Piantò le tende e interruppe la marcia nel deserto, senza mormorare, finché la sua pelle non ritornò pura e integra. Tutti pregarono per lei.
Anche Dio amava Myriam a tal punto che si fermò e rimase presente nella nube sopra la tenda, ad attendere la sua purificazione. Del corpo e dell’anima.