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Papa Francesco nella periferia che cercò di cancellare Dio

Pope Francis & Albanian Flag – it

Public Domain / Mazur/catholicnews.org.uk

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Maria Laura Conte - Fondazione Oasis - pubblicato il 18/09/14

Il direttore della Caritas albanese descrive l’attesa per questa visita inaspettata

«Se il peccato è l’allontanamento da Dio, allora l’Albania era il Paese in cui il peccato era sancito dalla Costituzione. E la vita dei credenti era diventata impossibile qui, in questa periferia del mondo. Una periferia che oggi si sente guardata, preferita, da Francesco». Così Albert Nikolla, 45 anni, sposato e padre di due figli, direttore della Caritas di Albania, e coordinatore della visita del Papa del prossimo 21 settembre, presenta il suo Paese. Dopo gli studi di teologia e un dottorato in antropologia in Italia, con l’incarico alla Caritas ricevuto un paio di anni fa, è potuto passare – come racconta lui stesso – dall’etica dei libri (era docente all’Università Cattolica di Tirana) all’etica concreta. Dirige una struttura che conta 200 dipendenti, 1000 volontari e sostiene in varie forme ogni anno più di 80.000 persone.

L’Albania è un Paese a maggioranza musulmana per il 60%. Chi e come sta aspettando Papa Francesco?

«L’Albania tutta attende Francesco: non solo la comunità cattolica, ma il Paese nel suo insieme è in grande attesa, perché quando Papa Bergoglio ha annunciato che sarebbe venuto qui ha presentato due motivazioni. La prima, per rinforzare e confermare la Chiesa nella fede, la seconda per incoraggiare e dire tutta la sua vicinanza a questo popolo che ha sofferto enormemente. Tutto il popolo albanese si è dunque sentito abbracciato da un Papa percepito come un amico della porta accanto, che suscita simpatia immediata, un pastore che si mescola alle sue pecore e cammina accanto a loro. Quando in un’importante intervista alla Civiltà Cattolica il Papa si è presentato come “un peccatore”, noi che siamo un popolo di peccatori, ci siamo subito sentiti accolti da lui ».

Venticinque anni dopo la caduta del comunismo, l’Albania ha chiuso i conti con il suo passato?

«No, venticinque anni non sono ancora bastati a sanare le ferite aperte nel Paese. In particolare l’Albania soffre per l’ingiustizia sociale diffusa: la corruzione, il mercato dilagante della droga, la miseria… Dicevo che siamo “peccatori”. Ma, come dice San Paolo, “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia”. Se lo stesso Papa Bergoglio si definisce un peccatore al quale il Signore ha guardato, anche l’Albania si può definire per analogia un Paese al quale il Signore, ora, attraverso il Papa, sta guardando. E questo sguardo può portare un bene a tutti».

Da direttore della Caritas, da quali questioni si sente più interpellato?

«Sono quotidianamente provocato dalla mancanza di giustizia sociale. Il Paese ha problemi più forti in alcune aree rispetto ad altre, ma in generale soffre per la massiccia migrazione interna. Sempre più persone si trasferiscono dai villaggi più poveri alle città, dove sperano di trovare un vita migliore, spesso senza riuscirci. Anzi. I governi postcomunisti si sono trovati completamente spaesati di fronte a esodi biblici. Mancano strutture in grado di aiutare le intere famiglie che migrano. Troppi bambini restano senza accesso alla scuola, troppi disabili non trovano alcun aiuto e sono costretti a rimanere chiusi in casa. C’è anche un grande bisogno di cura per i malati terminali. La Caritas è oggi l’unico ente in tutto il Paese che si occupa, grazie ad alcuni hospice, di somministrare le cure palliative a malati che si preparano a morire».

Di fronte a ferite così profonde, cosa può significare una visita di un giorno?

«Mia moglie dice che questa visita sarà un elettroshock spirituale per il Paese. Un grande catalizzatore. Un’occasione per rivedere ciò di cui il Paese ha bisogno realmente, dopo il comunismo e dopo l’onda di un capitalismo che presenta dei conti molto salati. La società albanese tutta non potrà restare indifferente a un Papa che ha sulla pelle l’esperienza diretta di cosa vuol dire essere e vivere da periferia. Lui ha toccato con mano la povertà. Anche l’Albania è periferia, ma come dice il vangelo, è stata “scelta” ».

Eppure l’Albania ne ha compiuti di passi: i barconi carichi di migliaia di albanesi in fuga negli anni ‘90 sono quasi ormai un ricordo del passato. Ci sono segni positivi di crescita…

«Oggi c’è un grande desiderio di apertura verso l’Europa, verso la prosperità economica e culturale. Abbiamo compiuto notevoli passi: il Paese è uscito dalla disgrazia del comunismo e dal periodo caotico che ha seguito la fine del regime. L’economia dà segnali di speranza. Ma insieme all’economia, vanno recuperati gli uomini e le donne. Il comunismo qui ha esercitato una violenza radicale quando ha sancito l’ateismo di Stato, chiuso i luoghi di culto di tutte le religioni e indebolito le istituzioni religiose, quando è entrato nella parte più intima della persona, come la sfera della coscienza. Ma il comunismo ha compiuto un grave errore di valutazione quando ha ritenuto che si potesse sradicare Dio dal cuore dell’uomo. Questo è un errore antropologico: Dio abita nel cuore dell’uomo e là è rimasto durante gli anni dell’ateismo di Stato. Non appena c’è stata la possibilità, questo afflato religioso è sbocciato di nuovo. La vita religiosa è rinata. La politica della paura e della violenza non ha ucciso la vita religiosa di cristiani, musulmani, bektashi. Perciò il papa mette l’accento sull’importanza del dialogo interreligioso come una condizione intrinseca alla fede stessa».

Di questo tentativo di sradicamento della fede dal cuore degli uomini, ha qualche ricordo particolare?

«Molti, ma ne cito uno in particolare. I miei genitori e nonni erano persone di fede, ma non potevano incontrarsi per celebrare l’eucarestia, era proibito. Potevano incontrarsi al massimo per dire un rosario. Ma questa religiosità era semplice e resistente. Nell’89 ero studente all’università di Tirana. Tornai a casa un fine settimana con il compito di scrivere un breve saggio sulla tesi marxista della falsità della fede cristiana. Quando lo dissi a mia mamma, lei si fece il segno della croce e mi rispose con un tono che ricordo ancora come fosse accaduto ieri: “Dio ti perdoni”. Gesù nel vangelo dice “Ti ringrazio Dio che nascondi le cose ai grandi e le riveli ai piccoli”. Ecco la fede di mia mamma era così, una fede dei piccoli. Solida e tenace».

Un’eredità imponente, anche per i figli dell’epoca comunista.

«Questa fede dei miei genitori è una grande ricchezza, che non deve morire con loro. Le generazioni nate negli anni ’80 non hanno la minima idea di cosa possa voler dire vivere un’esperienza religiosa, appartenere a una comunità religiosa, non hanno avuto alcuna educazione ai fondamentali della fede. Mentre, al contrario, sono state fin da subito investite dalla proposta invadente del consumismo occidentale, di impatto straordinario. Da zero: oggi la Chiesa cattolica deve partire da zero con i giovani. E in questo per certi versi cammina con la comunità islamica. Su questo rifiorire della fede ci incontriamo cristiani e musulmani, i nostri rapporti sono molto buoni. Forse anche per questo la comunità musulmana attende con gioia l’arrivo di Papa Francesco».

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