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In memoria del Cardinale Van Thuan

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El cardenal Nguyen van thuan

Osservatorio Cardinale Van Thuân - pubblicato il 18/09/14

Un uomo dalla fede adamantina che ha saputo rispondere col sorriso alla persecuzione

di Omar Ebrahime

La Chiesa del XX secolo è stata – parola di San Giovanni Paolo II – in gran parte una Chiesa di martiri: dai regimi nazionalisti al nazismo al comunismo mai come nel Novecento il sangue dei cristiani è stato sparso in modo così massiccio sugli altari dei nuovi idoli pagani. Questo dato di fatto tanto incontrovertibile quanto politicamente scorretto – fino a ieri noto ai soli storici di professione – comincia finalmente a essere diffuso a livello popolare. Nei giorni in cui di martiri si torna a parlare anche sui grandi mezzi di comunicazione laici per la barbarie islamista, si corre però il rischio di dimenticare che sono esistiti anche dei ‘martiri viventi’, dei cristiani – cioè – che sono stati a un passo dalla morte più atroce, fin quasi a guardarla in faccia, e ciononostante sono riusciti miracolosamente a salvarsi, uscendo dall’esperienza terrificante della più dura delle persecuzioni, con una fede adamantina.

Tra questi, il Cardinale vietnamita François Xavier Nguyen Van Thuân (1928-2002), di cui attualmente è in corso il processo di beatificazione, merita senz’altro una menzione speciale: pastore instancabile, autentico missionario della gioia evangelica, amico e collaboratore di due Pontefici, il porporato che passò tredici anni della sua vita in carcere (di cui nove in completo isolamento) colpevole di professare senza compromessi la sua fede, vittima del regime comunista, vanta un primato piuttosto raro. Si tratta infatti di uno dei rarissimi casi di persone non canonizzate che vengono indicate al popolo di Dio quali modelli di fede in discorsi o scritti pubblici di più Pontefici (così Giovanni Paolo II in Alzatevi, andiamo! – mentre Van Thuân era ancora in vita – e ugualmente Benedetto XVI in Spe Salvi). Il 16 settembre ricorre il dodicesimo anniversario della sua morte. Ne parliamo con l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, che è stato suo collaboratore in Vaticano, presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, per diversi anni.

La prima cosa che colpisce, quando si guarda dall’esterno alla vita sofferta di questo Servo di Dio, è la sua incredibile serenità. Nelle foto e nei filmati lo vediamo sempre sereno, continuamente allegro, comunicatore di una gioia contagiosa. A nessuno verrebbe mai in mente di pensare che quella stessa persona ha dovuto sopportare il dolore straziante di vedere assassinati i parenti più stretti della sua famiglia, come lo zio Ngo Dinh Diem (presidente del Vietnam del Sud tra il 1955 e il 1963), o passare una parte consistente della propria vita in carcere. Come è stato possibile?     
Il Cardinale era un uomo di Dio e un Vangelo vivente. Ma, naturalmente, non è nato così: lo è diventato con il tempo. Innanzitutto perché aveva avuto degli esempi di autentica vita cristiana a casa. Quando si parla di ‘Chiesa domestica’ a volte si pensa a cose un po’ strane. Ecco, possiamo dire invece che la casa dei genitori di Van Thuân era una vera Chiesa domestica: si pregava insieme la sera, si leggeva la Bibbia, si affidava la propria giornata a Dio cercando di comprendere e realizzare la sua volontà. Per questo fin da piccolo il Cardinale imparò a leggere la presenza di Dio negli avvenimenti ordinari del quotidiano. Poi c’è anche da dire che ebbe delle figure di sacerdoti e di consacrati, sia in famiglia che in seminario, di notevole livello. Il resto, però, come accade nei Santi, è stata corrispondenza volontaria all’operato della Grazia divina e questo non è mai senza sofferenze.

Nelle nostre comunità si parla spesso della misericordia, a volte giustamente, altre volte un po’ a sproposito, dimenticando che più che una teoria astratta la misericordia cristiana è un atteggiamento da vivere quotidianamente e da trasmettere. A tal proposito viene in mente che il Cardinale poco prima di morire – divorato da un cancro fulminante, ultima tappa della sua Via Crucis terrena – con il sorriso sulle labbra disse “non ho mai cessato di amare tuttiNella mia vitanon ho escluso nessuno dal mio cuore”. Che cosa ci può dire di questo aspetto toccante del Servo di Dio? 

Il Cardinale sapeva bene, come insegna il Vangelo, che Dio ha già vinto il mondo. A noi, Suo popolo in cammino nelle vicende della storia, non resta che prendere parte alla vittoria facendo la nostra parte, cioè osservando la sua legge e amando. Ma la battaglia è già vinta. L’esito è già segnato. Questa convinzione il Cardinale l’aveva profondissima nel suo cuore e con questa visse fino al termine dei suoi giorni. Come diceva San Giovanni della Croce meditando i Novissimi, “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”. E’ essenzialmente per questo che era un uomo sereno, lieto, sempre allegro. Dio non ci abbandona mai e ci è accanto sempre, soleva dire, chi ama non teme nulla. Di che cosa dovremmo avere paura? 

Il Cardinale aveva un amore straordinario per il Sacrificio Eucaristico al punto che nemmeno in carcere se ne privò, facendosi mandare di nascosto dai parenti delle ostie e del vino per la celebrazione quotidiana della Santa Messa. E’ corretto dire che fu anzitutto questa passione divorante per la Messa a farne un (futuro) Santo?  
Ogni cristiano che viene elevato alla gloria degli altari, si ‘costruisce’ concretamente davanti al Tabernacolo. E’ qui che impara che cos’è la sequela di Cristo. Da san Tommaso d’Aquino al santo Curato d’Ars la grande storia della santità cristiana è ricolma di figure fondamentalmente eucaristiche. Potremmo dire che la scienza dei Santi altro non è che lo ‘stare’ adorante sotto la Croce di Cristo – la Madonna ci è Maestra anche in questo – e la Croce di Cristo si perpetua nella Messa quotidiana. Senza Eucaristia non c’è Cristianesimo, il resto sono chiacchiere fintamente illuminate da salotti.

Un aspetto solitamente trascurato della sua biografia è quello relativo alla pastorale dei laici e al capitolo della Dottrina sociale della Chiesa in generale. Sappiamo che la redazione del Compendio della DSC – pubblicato poco dopo la sua morte – fu una delle sue grandi fatiche negli ultimi anni. Perché il Cardinale si spese così tanto per la diffusione della Dottrina sociale?
Vuole una battuta? Perché il Cardinale credeva molto nella libertà e nella responsabilità dei laici. Negli anni Sessanta in Vietnam aveva capito che una Chiesa senza un laicato attivo e cosciente del suo impegno missionario non sarebbe sopravvissuta davanti a una dittatura feroce come quella che poi s’instaurò. Per questo fino alla sera prima del suo arresto passò giorni e notti intere a catechizzare, educare, istruire, formare famiglie e maestri di dottrina cristiana. Se fosse morto, di lì a poco, la Chiesa, se era una Chiesa ‘di popolo’, sarebbe comunque sopravvissuta. Il Magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, anni dopo, gli avrebbe dato ragione.

In occasione del suo funerale Giovanni Paolo II lo definì “un eroico araldo del Vangelo di Cristo” sottolineando quindi in modo particolare il grado eroico della sua testimonianza e lo zelo missionario. Questo tipo di linguaggio, tuttavia, non gode di molta stima oggi, forse tra gli stessi cristiani. Il termine ‘araldo’ in effetti ci riporta a una visione epica della vita, quasi come milizia, verrebbe da dire, dunque come lotta e combattim
ento. Ma il combattimento presuppone di per sé l’esistenza di uno o più nemici: fisici, spirituali o simbolici che siano. Il Cardinale ha avuto forse dei nemici? Contro chi ha combattuto?

Il cristiano non ha nemici, se non quelli di sempre: la carne, il mondo, il demonio, come insegnavano i Padri del deserto. Contro di questi la battaglia c’è eccome. Le stesse tentazioni del Diavolo a Nostro Signore sono una battaglia. Ma la Parola di Dio ci dice anche come superarle e sconfiggerle: con la preghiera e il digiuno. Preghiera e digiuno ci insegnano una disciplina e la disciplina ci prepara alla battaglia. E prima o poi la battaglia arriva per tutti. Per il Cardinale sono stati i 13 anni di carcere in condizioni durissime e inenarrabili, per noi può essere molto meno, ma la battaglia c’è, per tutti. 

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