Una storia così, a un primo sguardo, può sembrare una tragedia scritta da un dio malvagio. Eppure...
Ci sono storie di eroi. E poi storie di persone normali, con i piedi ben piantati a terra ma lo sguardo sempre rivolto verso il cielo. Persone come me, come te. Persone che si incontrano per la strada, dentro l’ascensore, al supermercato… ma che sanno rendere tremendamente straordinaria la propria ordinarietà: la propria vita, e la propria morte.
"All’inizio volevo dirgliene quattro… poi ho capito che Lui "carica" la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno)… quindi gli ho affidato tutto: me, il piccolo e Anna". Filippo, trentenne ingegnere di Intra (Verbania), era ricoverato in ospedale da dieci giorni quando, il 26 agosto dello scorso anno, inviava questo sms all’amico don Fabrizio, coadiutore dell’oratorio in cui da anni era educatore. Non conosceva ancora il nome che solo due giorni dopo la sua morte i medici avrebbero saputo dare a quella croce: tumore rabdoide extrarenale, aggressiva e rarissima forma di tumore pediatrico che solitamente colpisce i bambini con meno di tre anni. Cominciava però già allora a intuire che non avrebbe potuto vedere il volto di quel piccolo che assieme ad Anna – sua giovane sposa da un anno – avrebbe dovuto attendere ancora per un solo mese.
Una storia così, a un primo sguardo, non può che sembrare una tragedia senza senso scritta da un dio malvagio che si diverte a intrecciare trame di disperazione proprio nelle vite di coloro che si sentono a lui più vicini. Anche Filippo, nei primi giorni, davanti al Santissimo, "voleva dirgliene quattro". Ricorda Anna: "Abbiamo pianto tanto, ci siamo arrabbiati con il Signore e sono partite un milione di domande: perché a noi e perché adesso, nel momento più felice della nostra vita?"
Poi una mail, che lei stampa e condivide subito in ospedale con "Fil":"Chiedervi il perché di quello che vi sta succedendo il più delle volte vi farà impazzire. Non avrete una risposta ai vostri perché, almeno finchè siete su questa terra. Alcune cose sono più grandi di noi. Quello che vi consiglio di fare è chiedere a Dio di accettare e accogliere nella vostra vita questo cammino che avete davanti, ovunque vi porterà, e io pregherò per voi perché riusciate a compiere questo passo". Anna non riesce ancora oggi a ricordare chi fosse il mittente di quella mail. Non ha più ritrovato il foglio su cui l’aveva stampata né è mai riuscita a rintracciarne il testo cercando nella sua casella di posta elettronica. Ma quell’invito: accettare e accogliere, segna l’inizio di una nuova tappa nel cammino umano e spirituale che da sempre la giovane coppia condivide con tanti amici in oratorio.
Filippo, in quel letto, continua ad essere per tutti l’amico sempre attento a ciascuno, fino all’ultimo. Man mano che "la porta si fa sempre più stretta",offre la propria malattia per Anna, Luca, e per i "suoi" ragazzi". Si abbandona a Dio, confortato da un canto in particolare: "Il Signore è la mia salvezza e io spero in Lui; il Signore è il Salvatore, in Lui confido, non ho timore". Il Vangelo e i Salmi lo accompagnano giorno dopo giorno attraverso il breviario e il libretto di preghiera della diocesi, e spesso sembrano rivolgersi in modo sorprendente proprio a lui, a loro: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo".
Centinaia sono le persone che dopo l’11 settembre passano dall’oratorio per dare un ultimo saluto a "Pippo". "Al funerale – ricorda Carlo, amico dell’università – sono rimasto senza parole: vedere quella comunità stretta intorno a lui mi ha fatto venire la pelle d’oca".