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L’omicidio-suicidio di Milano, gesto da serial killer

Pietro di Paola

© Public Domain

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 17/09/14

Quale malessere dietro questo dramma?

"Scrivo queste parole non per essere ricordato, soprattutto perché dopo questa sera i ricordi sarebbero tutti negativi credo"… In queste tre pagine scritte in stampatello… intitolate "Lettera ai cari", c’è un piano criminale lucido e affilato, una confessione preventiva, scritta poche ore prima che Pietro Maxymilian Di Paola, 20 anni, si lancerà dal settimo piano di un palazzo trascinando con sé l’ex fidanzata, la diciannovenne Alessandra Pelizzi, che lo aveva lasciato tre settimane fa (La Repubblica, 17 settembre).

ODIO PER ALESSANDRA
E dunque ecco, nella sua crudezza, il movente. Pagina tre. "Un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza". L’abbandono, la fine della storia, nella mente di Pietro Di Paola è l’innesco per la vendetta. Spietata. Di più: tortura. "Non mi sono lanciato con lei subito ma anzi le ho prima fatto provare il terrore di perdere tutto amici, famiglia e futuro"… "Se la reincontrassi dall’altra parte la odierei ancora? No, il mio sfogo è finito nel momento in cui ho saltato"…

IL CONSIGLIO FINALE
Il prima, le altre due pagine, sono i saluti alle persone care… Alla madre, alla sorella, al padre che se ne era andato da tempo, alla nonna, agli amici…
Nelle ultime righe un epitaffio che lascia senza fiato, qui riportato con l’ortografia originale: "Lascio un piccolo consiglio finale, si lo so che fa impressione, ma pensò sara utile sia alle future vittime che ai forse futuri carnefici, dubitate di quelli che ridono sempre a volte non possono semplicemente fare altrimenti e nel frattempo, perderanno l’anima".

GESTO DI UN PARANOICO FEROCE
«Questo fatto di cronaca sembra tratto da un brutto racconto di fantascienza. La lettera del ragazzo è un documento sconvolgente», commenta il professore Alessandro Meluzzi, psichiatra e psicoterapeuta.
«Mi vengono in mente tre considerazioni: la prima è che questa persona era affetta da tragico disturbo della personalità. Siamo di fronte ad un gesto compiuto da un paranoico feroce, che forse non aveva mai curato, mai affrontato la patologia di cui soffriva».

LE DIFFICOLTA’ DEL BAMBINO ADOTTATO
«Al di là del politicamente corretto, al di là di 35 anni di esperienza», Meluzzi sottolinea che c’è un dato incontrovertibile, e cioè che in molti casi le adozioni internazionali, danno vita a situazioni difficili. Tanto più se la famiglia si sfarina come nel caso di Pietro Maxymilian. In casi come questo nell’infanzia non si sperimentano relazioni affettive solide e di fronte allo sfaldamento della famiglia adottiva, si avverte ancor più una profonda difficoltà, un senso di solitudine e «si diventa più facilmente depressi, angosciati, fino alla follia».

AGGRESSIVITA’ NEL TOGLIERSI LA VITA
«La seconda considerazione è che il suicidio è sempre un atto violento, un atto contro la vita, è l’omicidio di sé. Rimane in ogni caso qualcosa di profondamente diverso dall’aura di dolce malinconia come lo si vuole rivestire in questa situazione. Peraltro si è manifestato con una notevole aggressività».

FORMA ESTREMA DI FEMMINICIDIO
«La terza considerazione è che si manifesta un odio e un’aggressività feroce di genere. Nella rottura dei rapporti uomo-donna c’è anche l’incapacità di essere lasciato. Questa ennesima forma estrema di femminicidio ci ricorda che siamo di fronte ad un soggetto impazzito che distrugge l’oggetto che non può avere. L’impossibilità di possedere l’altro con sicurezza scatena una reazione folle. Ed ha piacere nel vedere l’altro soffrire. Non c’è alcuna forma di empatia nei confronti della vittima. Questo ragazzo parla il linguaggio freddo di un serial killer»

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