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Libano: un’oasi sicura per i Cristiani d’Oriente (e le altre minoranze religiose)?

Plight of Christians in Middle East – it

MAHMUD HAMS / AFP

<span style="font-family:arial, sans, sans-serif;font-size:13px;">Plight of Christians in Middle East</span>

Francesco Nicoli - pubblicato il 17/09/14

Un parallelo tra l'Europa del XVII secolo e la situazione attuale del Medio Oriente porta ad alcune ipotesi per una pace concordata

Riceviamo e pubblichiamo questo lungo articolo di un giovane ricercatore italiano, una ipotesi per una pace in Medio Oriente frutto della diplomazia e non di un conflitto.

Il medio oriente in fiamme
Il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Africa sub-sahariana sono in fiamme. L’energia rivoluzionaria rilasciata dalla Primavera Araba si è ormai completamente trasformata – come aveva correttamente previsto il politologo Samuel Huntigton nel 1996 – in un vero e proprio “Inverno Islamico”. Le flebili tendenze laiciste e moderate della primavera araba sono del tutto scomparse, sostituite quasi uniformemente dal crescente fondamentalismo e terrorismo a matrice religiosa. La violenza religiosa e culturale non rappresenta solo un pericolo per l’Occidente: è una minaccia mortale per il Medio Oriente stesso, il quale è il luogo di nascita delle tre principali religioni monoteiste della storia e tuttora ospita un crogiolo di minoranze religiose, confessioni cristiane e declinazioni dell’Islam. Vero è che ogni stato del Medio Oriente soffre problemi individuali e issues specifici, ma il Medio Oriente nella sua interezza soffre – a diversi gradi – di un problema comune: la difficoltà dell’Islam politico ad accettare l’esistenza del diverso. Questo si ripercuote un po’ d’ovunque con l’emersione – a volte controllata con successo dalle elites nazionali o dai militari – di gruppi fondamentalisti che ambiscono a imporre una purezza di fede; laddove lo Stato è debole, questi gruppi hanno successo e raccolgono vaste schiere di proseliti. A complicare una geografia religiosa già di per sé confusa contribuiscono fattori etnici che spesso contribuiscono a creare ulteriori divisioni laddove, eventualmente, la confessione non rappresenta una barriera. Da ormai quasi un decennio, cioè dagli scontri tra Sciiti e Sunniti in Iraq durante gli anni dell’occupazione americana, il Medio Oriente è sconvolto da una guerra di religione che cresce di giorno in giorno, mentre opposti gruppi fondamentalisti si confrontano in crescenti atrocità supportati e finanziati da coalizioni di stati aderenti a opposte interpretazioni dell’Islam.
La guerra civile Siriana è ormai trasformata in guerra religiosa; la crescita apparentemente inarrestabile del Califfato Islamico in Iraq si è lasciata dietro una scia di massacri e pulizia etnica dedicata all’estirpazione delle minoranze rivali; la Libia è sconvolta da opposte fazioni religiose impegnate in una guerra per il controllo del territorio. L’Egitto è in bilico, colpito dalla crescita dell’ala radicale della Fratellanza Musulmana, dalla sempre più consistente presenza di Hamas, e dal fondamentalismo libico a pochi chilometri oltreconfine. Simili problemi caratterizzano gli stati parzialmente islamici dell’Africa settentrionale e sub-Sahariana.

Una minoranza importante
Tra le tante minoranze perseguitate del Medio Oriente e dell’Africa i Cristiani, sfortunatamente, detengono il triste primato di essere colpiti per primi ovunque il fondamentalismo islamico d’opposta matrice prenda il controllo del territorio. I cristiani rappresentano una minoranza consistente in Medio Oriente: ad oggi, i cittadini di fede cristiana (declinata nelle varie confessioni) rappresentano circa il 40% della popolazione Libanese, il 10% della popolazione egiziana, il 4% della popolazione siriana, il 2% della popolazione Giordana e l’1% di quella irachena; inoltre esistono minoranze cristiane importanti anche in Libia. Negli ultimi 5 anni vi sono stati episodi di massacri e persecuzioni sistematiche delle comunità cristiane in Egitto, Iraq, Libia e Siria. Mentre il colpo di stato militare in Egitto e la messa al bando della Fratellanza Musulmana ha sostanzialmente congelato la persecuzione nel paese (ponendo però le basi per un inquietanti sviluppi futuri nel caso in cui il governo collassasse) la situazione tuttora più tragica si verifica in Siria e Iraq, con episodi di reale pulizia etnica mirata all’estirpazione o alla conversione dei cristiani (oltre che di altre minoranze).

Un esodo di massa dei cristiani di Siria e Iraq è tuttora in corso: popolazioni sempre più estese hanno lasciato le proprie case nei due paesi per rifugiarsi in Libano, in Giordania, in Turchia e nei territori controllati dalle milizie Curde. Libano e Giordania in particolare rappresentano, ad oggi, oasi di rifugio per le popolazioni perseguitate, mentre il Medio Oriente, nel suo complesso, vive una grande guerra di religione- qualcosa di simile a quelle che l’Europa visse tra il 1530 e il 1648. L’Esperienza Europea della guerra Cattolico-luterana prima (conclusasi con la Pace di Augusta nel 1555) e della Guerra dei Trent’Anni poi – la più sanguinosa guerra di religione che la storia scritta ricordi, conclusasi nel 1648 – costituisce un punto indelebile della nostra coscienza collettiva occidentale e può fornire lezioni importanti sull’attuale tragedia mediorientale. Nell’Europa del diciassettesimo secolo, come nel Medio Oriente attuale, coalizioni di stati e principati, unite in parte da comunanza religiosa e in parte da interessi allineati, si sono scontrati trasformando l’Europa centrale dalla Francia ai confini dell’Ucraina occidentale in un interminabile campo di battaglia.

I conflitti religiosi e la loro soluzione
La Guerra Cattolico-Luterana conclusasi nel 1555, a causa della sua sostanziale (sebbene non esclusiva) matrice religiosa chiese un altissimo tributo alle popolazioni civili degli stati coinvolti. Di matrice simile, sebbene dagli effetti ben più devastanti e comunque comparabili, in termini relativi, a quello delle guerre mondiali del novecento, fu la Guerra dei Trent’anni. Il Medio Oriente è ancora lontano da uno sterminio di queste proporzioni ma rischia di avvicinarvisi. La lezione (o meglio, le lezioni) che fornite dalla risoluzione della Guerra dei Trent’Anni costituiscono quindi un patrimonio impagabile su cui le elites mediorientali dovrebbero costruire quando decideranno di far tacere le armi, fermare i giochi incrociati di proxy-wars e alleanze e costruire una pace duratura. Potrebbe richiedere anni ovviamente: molti dei principali attori nelle vicende mediorientali hanno mantenuto, negli ultimi tre anni, un basso profilo, qualora intervenendo direttamente (come gli Emirati Arabi Uniti in Libia a inizio agosto) ma generalmente scegliendo questo o quel gruppo fondamentalista di riferimento da inondare con petroldollari per portare avanti la lotta armata per proprio conto. Alcuni di questi stati, come l’Arabia Saudita (principale finanziatore dell’ISIS fino a qualche semestre fa) e il Qatar (padrino del Fronte Al-Nusra in Siria) temono ora di veder perso il controllo di questi strumenti e di vedere quindi lo spettro della guerra religiosa bussare ai confini nazionali. Un tale scenario, sebbene non imminente, non è comunque improbabile.

Riorganizzare il Medio Oriente
Come riorganizzare il Medio Oriente una volta che le armi avranno smesso di tuonare? È in questo campo che la lezione delle guerre religiose Europee può essere vitale. L’Europa risolse i propri conflitti religiosi (e solo quelli) attraverso il rafforzamento dello Stato Nazione. La Pace d’Augusta, firmata nel 1555 e la Pace di Westfalia, firmata nel 1648, diedero progressivamente il via al sistema moderno di Stati Nazionali – da cui il nome “Sistema Westfaliano”. A discapito di quanto alcuni sembrano credere, né la pace d’Augusta né la creazione del sistema Westfaliano rappresentano, di per sé, la fine del ruolo dell’identità religiosa come componente strutturale del conflitto politico – sebbene ne rappresentino, in qualche modo, la precondizione.

Tre criter
i costituiscono l’architrave risolutorio delle guerre religiose e della Guerra dei Trent’Anni. In primo luogo, la convocazione, in entrambi i casi, di una grande conferenza di pace cui presero parte tutti gli stati e le entità coinvolte nel conflitto. Nel caso Westfaliano le conferenze di pace durarono circa 7 mesi e videro la partecipazione, oltre che dei grandi potentati Europei, anche delle città stato tedesche e delle provincie dei Paesi Bassi. Ancor più che la pace d’Augusta, La pace di Westfalia, fu la prima di una serie di grandi conferenze Europee convocate per evitare i conflitti e in seguito, più spesso, per porvi termine.

Il “Concerto delle Nazioni”, come venne chiamato in seguito, di certo non riuscì a evitare la tragedia della guerra nei due secoli del nazionalismo, ma probabilmente contribuì sostanzialmente a ridurre il numero di conflitti in un’epoca in cui il diritto internazionale era poco sviluppato. In secondo luogo, il principio divisorio che passò alla storia ad Augusta con il motto “Cuius Regio, Eius Religio” e costituisce probabilmente l’architrave anche di qualsiasi soluzione ai problemi religiosi del Medio Oriente. Cuius Regio, Eius Religio stabilisce in primo luogo la supremazia dello Stato sugli affari religiosi – e quindi la responsabilità del primo per i conflitti generati dal secondo. Ma a ben vedere, c’è anche il tentativo fondamentale di trasformare i potenziali conflitti religiosi (per natura, transnazionali e civili) in potenziali conflitti tra Stati sovrani. Per quanto azzardato potesse sembrare, la storia contemporanea ci insegna che i conflitti tra Stati (soggetti al diritto internazionale sia in tempo di pace che in tempo di guerra; controllati sia dalle istituzioni internazionali che dai sistemi di alleanze) sono molto più facili da limitare, regolare e controllare dei conflitti civili e transnazionali. Infine, a Westfalia le Delegazioni delle parti contraenti non esitarono, laddove necessario, a riscrivere i confini politici. Questo fu possibile perché l’estensione delle devastazioni generate da trent’anni di guerra lasciava pochi in grado di proclamarsi come vincitori e capaci di imporre il proprio volere sui partner. l’Europa, esausta e stremata dalla guerra, necessitava una riorganizzazione stabile. Laddove possibile quindi i confini vennero ridisegnati per garantire una tendenziale coerenza religiosa, diminuendo il rischio d’esplosione di nuovi conflitti religiosi, o comunque la limitazione di conflitti civili.

Un nuovo Sistema Mediorientale
Queste tre lezioni sono fondamentali per la ricostruzione del Medio Oriente. Primo: servirà una grande Conferenza di Pace che resti in vigore fino a quando sarà necessario per raggiungere un accordo complessivo. Secondo: i confini nazionali, tra l’altro disegnati dalle potenze Europee in un tempo ormai remoto, non devono rappresentare un tabù. Terzo, nella comprovata esperienza che i conflitti tra stati sono più controllabili che quelli civili e transnazionali, è necessario creare, se necessario, autonomie statali per le minoranze etnoreligiose- unico sistema conosciuto in una regione dominata dal sentimento religioso (e dalla sua manipolazione per fini politici) per evitare un continuo bagno di sangue. Sia chiaro: questo non risolverebbe una volta per tutte il problema dei conflitti religiosi in Oriente e, in generale, il problema della guerra. Ma trasformando guerre civili e transnazionali in guerre tra stati, garantisce una protezione molto maggiore da parte del Diritto Internazionale, da parte della politica delle alleanze, da parte delle istituzioni globali. La guerra tra stati è sempre possibile, ma da sessant’anni a oggi è meno probabile, tendenzialmente meno lunga, e tendenzialmente meno sanguinosa delle guerre civili.

A ben vedere, il Medio Oriente si è già in parte avviato a questa soluzione. Lo Stato di Israele, infatti rappresenta alla perfezione il caso di una stretta minoranza che è stata capace di sopravvivere a sessant’anni di conflitti e minacce grazie alla propria natura statale. Essere uno stato non ha messo Israele al riparo dai conflitti, ma ha inserito i conflitti che Israele ha combattuto (in aggressione e in difesa) nel sistema classico di norme, pressioni e istituzioni internazionali. Il risultato è quello che ogni esperto di geopolitica si aspetta: intensi, ma brevi, conflitti armati con gli Stati vicini, interrotti principalmente per pressione del Sistema Internazionale. A controprova, i conflitti che Israele combatte contro attori non statali (si pensi ad Hamas) invece sfuggono alle pressioni del sistema internazionale e tendono a protrarsi nel tempo. Il risultato dell’esistenza di Israele è che gli Ebrei, pur minacciati come Stato, non costituiscono una minoranza perseguitata in Medio Oriente. Tale soluzione può essere applicata alle altre minoranze etniche e religiose. I Curdi probabilmente rappresentano il candidato ottimale, essendo già geograficamente concentrati.

E i cristiani?

Un’oasi sicura per i cristiani (e le altre minoranze)
Il Cristianesimo, per sua natura, è una religione universale ed espansionista. Mentre l’Ebraismo è più introverso e definisce molto chiaramente il “noi” e il “voi”, è religione ma anche nazione, il Cristianesimo – come l’islam – non tende a creare nazioni, quanto a diffondersi tra le nazioni. E tuttavia, le violente persecuzioni dei cristiani d’oriente ci porta alla naturale questione. È necessario creare un porto sicuro per i cristiani d’oriente? Un’oasi dove essi possano trovare riparo, pace e benessere lontani dalla violenza delle armi fondamentaliste? A questa domanda, se e quando il Medio Oriente troverà una tregua, le potenze regionali e globali dovranno dare risposta. L’attuale situazione – stati multietnici e multi religiosi privi di un’identità e un potere centrale forte – rappresenta l’assicurazione che le persecuzioni, gli stermini e la pulizia etnica e religiosa continuerà senza tregua. La costruzione di un’oasi protetta per i cristiani d’Oriente dovrebbe quindi rappresentare una priorità per l’Occidente in generale e per il mondo cattolico in particolare. A questo riguardo, il Libano – la cui popolazione è costituita da quasi il 50% di cristiani – rappresenta forse l’opzione migliore. Se e quando il Medio Oriente arriverà ad una conferenza di pace, ’Occidente, nonché lo Stato Vaticano, dovrebbe offrire al Libano un accordo vantaggioso: offrire rifugio, e – in prospettiva piena cittadinanza – a tutti i profughi cristiani allo sbando per l’Oriente, in cambio di un sostanziale “piano Marshall” per la ricostruzione, la modernizzazione e la sicurezza del paese. In prospettiva, questo potrebbe portare non solo ad una distensione sostanziale delle relazioni con Israele, ma anche ad un ruolo di primo piano del Libano nelle istituzioni dell’Occidente, in quanto “Oasi sicura” dei Cristiani d’Oriente. E della necessità di tale Oasi (in Libano o altrove) dove i cristiani d’Oriente possano crescere in pace senza la costante minaccia d’essere spazzati via o dover migrare senza tregua, abbiamo davvero un gran bisogno.

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