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Mamma è femminile, papà è maschile perché è così

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La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 16/09/14
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L’antropologia aristotelica ci aiuta a comprendere come la cultura svolga un ruolo, ma positivo, di sviluppo del progetto della personadi Roberto Marchesini

L’ideologia di genere ha avuto, tra i pochi, il merito di focalizzare l’attenzione di alcuni osservatori sulla figura del padre e della madre, sul ruolo paterno e materno, e sulla loro importanza nella formazione dell’identità di genere. È importante, si osserva, che ci siano entrambi i genitori, il padre e la madre; ma è ancora più importante che, nei confronti del bambino, siano presenti il ruolo paterno e materno, al di là di chi li riveste: non è necessario che il ruolo paterno sia esercitato dal padre e quello materno dalla madre; un ruolo paterno può essere esercitato anche da altri uomini (uno zio, un nonno, un prete…) e addirittura da una donna (dalla madre, ad esempio nel caso della vedovanza). Questa affermazione è di solito corroborata da casi in cui un bambino orfano di padre è cresciuto senza alcun problema di identità di genere; oppure di ottime famiglie nelle quali il ruolo tradizionalmente paterno è stato svolto dalla madre e viceversa.

Personalmente, credo che la questione sia semplicemente una riproposizione del dibattito sul genere. Si discute, infatti, del sesso dei genitori (padre e madre) e del loro ruolo di genere (ruolo paterno o materno). L’ideologia di genere sostiene che non esista alcun legame tra sesso e genere; e che il genere, essendo una pura costruzione sociale, deve (per qualche motivo mai chiarito) essere decostruito. Nel nostro caso abbiamo padri (di sesso maschile) che cambiano i pannolini (ruolo di genere materno) e madri (di sesso femminile) che hanno un ruolo normativo (ruolo di genere paterno); bambini che crescono senza qualcuno che svolga un ruolo paterno (necessario solo, dunque, per convenzione sociale); e casi in cui i ruoli genitoriali di genere sono state stravolte e i bambini non ne hanno avuto alcun danno (e che dovrebbero dimostrare come sia possibile decostruire tali ruoli). Proviamo dunque ad affrontare le domande poste dall’ideologia di genere, per poi applicarle alla relazione tra sesso dei genitori e i loro ruoli genitoriali di genere.

Molti ritengono che le questioni relative al genere possano essere affrontate dal punto di vista scientifico. È senz’altro vero che la scienza (cioè l’utilizzo della misurazione come metodo di conoscenza) è un valido strumento per conoscere la realtà, ma non tutta la realtà può essere misurata (quindi conosciuta attraverso la scienza): l’uomo, ad esempio, nella sua profonda identità, non può essere misurato. Lo strumento che fino alla metà dell’Ottocento (cioè fino al Positivismo) è stato utilizzato con successo per conoscere l’uomo è la filosofia, in particolare l’antropologia. L’antropologia può aiutarci a dipanare le questioni poste dall’ideologia di genere? Personalmente credo di sì; credo, in particolare, che alcuni strumenti antropologici della filosofia aristotelico-tomista possano essere particolarmente utili per affrontare tali interrogativi. Nel IX libro della Metafisica, Aristotele sostiene che il movimento, il divenire, il mutamento consiste nel passaggio dallo stato di “potenza” a quello di “atto”. La potenza è la capacità di un ente di essere ciò che ancora non è; l’atto è, invece, la realizzazione di ciò che precedentemente era solamente in potenza. La “natura” è il principio, insito negli enti, che guida il divenire dallo stato di potenza a quello di atto. Il termine “natura”, dunque, non indica semplicemente ciò che esiste, la realtà; né può indicare generalmente ciò che fanno gli animali o i vegetali, semplicemente perché ogni specie ha una propria natura, ossia un proprio progetto, diverso da quello di altre specie. In termini correnti potremmo definire la natura come il “progetto” che guida lo sviluppo di ciò che esiste, la sua realizzazione.

In che modo la dottrina del movimento di Aristotele riguarda l’ideologia di genere? Mentre l’identità sessuale (cioè l’essere maschio o femmina) è definita sin dal concepimento – il momento dal quale ogni cellula del corpo umano è caratterizzata dai cromosomi XX nella femmina e XY nel maschio -; l’identità di genere (cioè l’essere uomo o donna), invece, si acquista con lo sviluppo. Parafrasando la Bibbia si potrebbe dire che “maschio e femmina li creò” (Gn 1, 27), ma uomo e donna si diventa. Potremmo quindi descrivere il sesso e il genere in termini aristotelici, definendo il sesso come “potenza” e il genere come “atto”, cioè la realizzazione di un progetto (la “natura”) presente fin dal concepimento ma che si realizza nel corso della vita. Il compimento della propria identità sessuale consiste quindi nell’acquisire pienamente l’identità di genere, ossia nel  diventare pienamente uomini (se maschi) e donne (se femmine).

Sorge spontanea, a questo punto, un’obiezione: esistono situazioni nelle quali le persone nascono maschi o femmine, ma non raggiungono la piena identità di uomini e di donne. Questo significa che queste persone non hanno un progetto che li conduce a diventare uomini e donne se concepiti maschi e femmine? Affrontiamo questa difficoltà con un esempio. Se noi andassimo al mercato e comprassimo una piantina di limone, lo faremmo perché fiduciosi che quella piantina darà dei limoni, ossia confideremmo nel fatto che la piantina di limone abbia una natura, un progetto che prevede la produzione di frutti, e nemmeno frutti qualsiasi (ad esempio angurie o ciliegie) ma proprio dei limoni. Può tuttavia accadere che, giunto il periodo appropriato, la piantina non fruttifichi: forse non ha ricevuto abbastanza acqua o luce, forse è stata assalita dai parassiti, forse era in una posizione non adeguata. Ciò non significa, ovviamente, che la natura della pianta non prevedesse la presenza di frutti, bensì che l’ambiente ha ostacolato lo sviluppo della piantina secondo la sua natura. Questo è, infatti, secondo la filosofia aristotelica, il ruolo dell’ambiente; quello di permettere od ostacolare lo sviluppo della natura delle cose. Tornando all’uomo, questo significa che esiste una natura che guida la realizzazione del progetto della persona; e che se una persona non riesce a sviluppare pienamente le sue potenzialità non significa che non ne avesse, ma solamente che l’ambiente e le esperienze che ha vissuto (la cultura) non glielo hanno permesso.

Tutto ciò non deve far pensare che la cultura abbia solamente un ruolo negativo nello sviluppo dell’identità, come sosteneva Rousseau. È vero piuttosto il contrario: le relazioni sono lo strumento essenziale per la propria realizzazione, e l’uomo non può vivere senza relazioni. Aristotele, nel primo libro de La politica, definiva infatti l’uomo zòon politikòn, animale sociale; e san Tommaso, ne La politica dei principi cristiani, ribadisce che «agli uomini è necessario vivere in società». La necessità delle relazioni per la vita umana è testimoniata anche da un esperimento condotto da Federico II di Svevia e riportato nelle Cronache di fra Salimbene da Parma. Volendo l’imperatore scoprire quale fosse la lingua orginaria dell’uomo, fece rinchiudere dei neonati in una torre, ordinando che fossero nutriti e lavati, senza tuttavia parlargli, cullarli o cantare loro canzoni, ossia privandoli di alcun tipo di relazione; i bambini morirono tutti.

Torniamo all’ideologia di genere. Essa sostiene l’assoluta indipendenza della parte biologica della sessualità (il sesso) da quella non-biologica (il genere). Per l’antropol
ogia artistotelico-tomista ogni cosa esistente è un “sinolo” – ossia una unione – di materia e forma; nel caso dell’uomo la materia è il corpo e la forma è l’anima. L’anima e il corpo sono inscindibili, tanto che la separazione dell’anima dal corpo comporta la morte dell’uomo; e il loro rapporto non è una “somma”, quanto piuttosto un “prodotto”. Che differenza c’è tra la somma di anima e corpo e la loro unione? Più o meno la differenza che passa tra gli ingredienti per fare una torta e la torta. Quando noi abbiamo la somma degli ingredienti per fare una torta – ad esempio ammucchiati in un sacchetto per la spesa – essi sono separabili l’uno dall’altro, e ognuno mantiene le sue caratteristiche: le uova sono fragili, la farina svolazza se soffiata, il cioccolato si scioglie al calore.

Una volta che noi abbiamo impastato e cotto la torta (ne abbiamo fatto dunque un sinolo) non ci è più possibile separare gli ingredienti, o togliere dalla torta la farina o le uova; e la torta ha caratteristiche diverse dalle caratteristiche dei singoli ingredienti che la compongono: non è fragile, non svolazza e non si scioglie. Questo è, secondo l’antropologia aristotelico-tomista, la relazione che lega anima e corpo nell’uomo: esse sono unite indissolubilmente. Per questo motivo è lecito, ed anche utile distinguere la componente biologica della sessualità da quella psicologica e relazionale; ma esse sono le due facce della stessa medaglia, inscindibili se non al prezzo di annientare l’uomo.

Spero che quanto scritto finora abbia convinto il lettore che l’antropologia aristotelico-tomista può fornire gli strumenti che permettono non solo di capire con semplicità e lucidità l’ideologia di genere, ma anche di dare ad essa una risposta convincente ed efficace. Detto questo, come possiamo affrontare il dilemma iniziale? È necessario che il padre eserciti un ruolo paterno e la madre uno materno? Eppure talvolta accade, coma mai? Perché alcuni bambini non sono cresciuti in questa situazione e non hanno riportato dei problemi nello sviluppo dell’identità di genere? Diciamo (senza ripetere tutto) che essere padre è la potenza, esercitare un ruolo paterno l’atto, che la natura (il progetto) di un padre è quello di esercitare il ruolo paterno. La realizzazione del progetto è potenziale, non obbligatoria; quindi può accadere che un padre non eserciti un ruolo paterno, e che qualcun altro (uomo o donna) si sostituisca a lui in questo ruolo. Ciò non toglie che l’esercitare un ruolo paterno è legato all’essere padre, ne è lo sviluppo, ne costituisce la natura.

Consideriamo adesso il bambino. Anch’esso ha una natura, cioè un progetto. Il fatto che una persona diversa dal padre abbia svolto per lui un ruolo paterno può essere un ostacolo alla realizzazione del suo progetto (sicuramente non è un vantaggio); ma può trovare nell’ambiente sociale altre risorse (cioè altre persone che, bene o male, ricoprano tale ruolo) che lo aiutino nella propria realizzazione. Riassumendo: essere padre ed esercitare un ruolo paterno non sono due cose avulse, ma la seconda è il compimento della prima; compimento potenziale, in quanto può darsi che un padre non possa o non riesca ad esercitare il suo ruolo naturale. In questo caso, il bambino può trovare un ruolo paterno in figure vicarie (che, per questo, sono sostituti della figura paterna, naturale interprete del ruolo educativo paterno.

Qui l’originale