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Un terrorista si converte ed entra in un monastero

Paschal candle – Priest – Monk – it

© Daniel Kedinger / Flickr CC

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Portaluz - pubblicato il 15/09/14

Si è confessato, ha iniziato ad andare a Messa e nel suo cuore è rinata la vocazione perduta nell'adolescenza

Le torri gemelle a New York, l’attentato di Atocha a Madrid, la mattanza sull’isola di Utoya in Norvegia, le atrocità di Boko Haram e del califfato dello Stato Islamico, la recente bomba nella metropolitana di Santiago del Cile hanno un fattore comune: l’odio e la disumanizzazione alla base del terrorismo.

Alcuni esseri umani che hanno messo in atto qualche volta il terrore riescono a liberarsi e a guarire dalla malvagità per rinascere a vita nuova. Dio è stato ed è la ragione di questa “resurrezione” nel caso dell’ex terrorista dell’ETA Jean Philippe Saez…

Saez è stato educato nell’amore per le tradizioni dei suoi genitori, e ad appena 19 anni era un noto virtuoso di Txistu (flauto tradizionale) dei Paesi Baschi francesi. Erano gli anni Settanta quando l’etarra Domingo Iturbe Abasoloi, alias Txomin, lo “arruolò” e lo formò per renderlo un membro del primo comando operativo (Argala) dell’ETA. Il gruppo, composto solo da baschi francesi, mise in atto le sue prime azioni terroristiche in Spagna nel 1978 e nel 1979.

“In quel momento”, ha confessato anni dopo Philippe, “l’ETA rappresentava il mito dei giorni gloriosi della lotta contro Franco. Unirmi era una sorta di esaltazione per me, ma presto dovetti vivere in clandestinità”.

Philippe, chiamato “Txistu”, scoprì rapidamente il macabro sentimento di essere protagonista del terrore dell’ETA, partecipando come palo ad almeno quattro attentati in cui i suoi compagni uccisero sette persone: l’industriale José Legaza, il magistrato José Francisco Mateu, il generale Constantino Ortiz, il tenente generale Luis Gómez Ortigüela, i colonnelli Agustín Laso e Jesús Avelós e l’autista Lorenzo Gómez.

Phillippe, palo nell’ultimo attentato a Laso, Avelós e Gómez, quel giorno fu sul punto di fuggire, ma avrebbe significato firmare la propria condanna a morte. Approfittando dei mesi di “silenzio” che l’organizzazione stessa gli aveva imposto perché passasse inosservato una volta tornato in Francia, si confessò, iniziò ad andare regolarmente a Messa e nel suo cuore rinacque la vocazione perduta nell’adolescenza. Entrare come monaco nell’abbazia benedettina di Notre Dame de Belloc era un suo sogno ricorrente.

L’ETA e l’abbazia
L’abbazia rappresentava fin dalle sue origini un simbolo di protezione per i baschi. Forse era uno dei motivi dell’influenza che aveva su Philippe. Era stata fondata nel 1874 da un gruppo di novizi baschi provenienti dal monastero di Pierre-que-Vire, con padre Agustín Bastres, di Lapurdi.

Il 1° settembre di quell’anno tutto il villaggio di Urt accompagnò i monaci fino a una vecchia cascina disabitata di Belloc cantando l’Ongi etorri-aita onak-Jainkozko gizonak (Benvenuto sia Dio, padre buono dell’uomo), come riferisce l’enciclopedia Auñamendi. Da allora quel luogo ha una lunga tradizione di ospitalità.

Durante la Guerra Civile spagnola vi si rifugiarono repubblicani e nazionalisti. Poi, nella II Guerra Mondiale, vi si nascosero membri della resistenza e piloti alleati inviati dalla rete Orion. Come conseguenza di ciò, alcuni monaci morirono nel campo di concentramento nazista di Dachau e l’abbazia ricevette la Legion d’Onore.

Nel maggio 1962 i monaci non ritennero quindi sconveniente che quel gruppo di baschi dalle idee indipendentiste realizzasse la sua prima assemblea nell’abbazia. Lì nacque l’ETA come “movimento rivoluzionario basco per la liberazione nazionale basato sulla resistenza patriottica, socialista, di carattere aconfessionale ed economicamente indipendente”. La stessa organizzazione che anni dopo, nella sua quinta assemblea, avrebbe consacrato la lotta armata scivolando verso il terrorismo.

Fratel Philippe
Nel 1982 Txistu riuscì a far sì che l’ETA accettasse il suo allontanamento. Libero, nel settembre 1988 quello che ora è “fratel Philippe” iniziò la sua formazionemonacale nell’abbazia di Notre Dame de Belloc.

“Ho avuto sempre il bisogno di vivere per Dio. Mi sono detto che sarei entrato in un monastero e non avrei parlato più del mio passato”, ha detto Philippe a quanti lo hanno cercato poco tempo dopo nel chiostro. Sì, perché il passato è andato a chiedergli il conto nel monastero nel 1990.

La polizia lo ha arrestato per il suo passato etarra, e il priore Jean Jacques de Amestoy, desolato, ha segnalato ai mezzi di comunicazione che il novizio Philippe “viveva con serietà la formazione per la sua nuova vita da monaco basata sulla conversione e la preghiera”. “Il monastero non può approvare in alcun modo ciò che nella sua essenza non si può giustificare”, ha aggiunto anticipando la sentenza. Quest’ultima, però, ha permesso che il futuro monaco continuasse la sua reclusione nell’abbazia, e nel 1997 è stato condannato a dieci anni di carcere.

Scontata la sua pena, fratel Philippe ha continuato ad essere legato all’abbazia. Ogni volta che gli è possibile si sposta nella regione per intepretare nelle parrocchie musicasacra con il flauto tradizionale Txistu.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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testimonianze di vita e di fede
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