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Il 15 settembre significa Don Pino Puglisi

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Aleteia - pubblicato il 15/09/14
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Martirizzato dalla mafia perché testimone di Cristo nella vita quotidiana
Sono passati 21 anni da quel "Me l’aspettavo". Da quelle ultime parole pronunciate da Don Pino Puglisi prima di essere freddato dalla mafia. Era il 15 settembre del 1993, il giorno del suo 56° compleanno.

Lotta alla mafia 
I sicari lo aspettarono davanti al portone della sua casa, al numero 5 di piazzale Anita Garibaldi, nel quartiere di Brancaccio. Un solo colpo alla nuca per chiudere la bocca per sempre a quel prete che, dopo essere stato per dieci anni parroco di Godrano (piccolo paese del palermitano), nel 1990 era tornato a Palermo, nel suo quartiere d’origine, e aveva cominciato a svolgere il suo lavoro senza tenere conto delle regole di Cosa Nostra. A raccontare gli ultimi istanti della vita di Padre Puglisi è stato proprio il suo assassino, Salvatore Grigoli, oggi collaboratore di giustizia.
(Repubblica, 14 settembre)

Paura dell’omertà
​«Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti» era lo slogan del prete siciliano. "Voleva fare il prete fino in fondo, e forte del Vangelo sottrarre i ragazzi alle grinfie della malavita, far pensare, ridare fiducia alla gente." scrive sulle pagine di Avvenire (13 settembre) mons. Bertolone, postulatore della causa di beatificazione di don Puglisi. "Era, ed è, l’emblema della Chiesa che testimoniando Cristo e annunciando il Vangelo, fa male alla mafia perché cerca di saldare la terra al cielo. Come la Chiesa di Papa Francesco, che – egli ce lo ricorda sempre – deve camminare nella quotidianità con la matura consapevolezza che «una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo» da parte di cristiani che non siano «vino annacquato».


Testimone di vita

Che cosa ci ha consegnato don Puglisi, col suo martirio? Lo ricordava proprio don Ciotti, in un articolo all’epoca per molti versi profetico, pubblicato su 
Avvenire  il 5 settembre del 1994: «Egli ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello stare nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami». Pochi cenni che restituiscono il ritratto dell’uomo che nella primavera del 1990 approda a Brancaccio, iniziando a bussare a tutte le porte perché, diceva, «bisogna prima conoscere, poi capire, infine agire». 

Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito annunciava princìpi astratti, ma perché è stato un testimone nella
vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera. Più cruda. Più drammatica. Ed è proprio lì, tramite la sua instancabile presenza, che
Gesù si è fatto più vicino alla gente.