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I sacramenti hanno un costo?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 12/09/14

E' giusto che alcuni parroci istituiscano tariffari e che i fedeli debbano adeguarsi ad essi?

I sacramenti si pagano? E' giusto che alcuni parroci istituiscano tariffari e che i fedeli debbano adeguarsi ad essi? Ci sono delle norme ben definite che regolamentano i costi dei riti ecclesiastici? 

TARIFFARIO IN TOSCANA
La stampa solleva sempre con grande clamore questa tematica. L'ultimo caso è quello del parroco di Villa di Baggio (Pistoia) che ha esposto in chiesa un foglio con le 'tariffe' per i sacramenti – 190 euro per il matrimonio, 90 per il battesimo – e alcuni fedeli per protesta si sono rivolti al Papa (Ansa, 1 giugno)

I CHIARIMENTI DEL PARROCO
L'anziano parroco, don Valerio Mazzola, si è giustificato spiegando che si trattava di "semplici indicazioni di offerta". "Mi trovavo in imbarazzo – ha aggiunto – ogni volta che qualche parrocchiano mi chiedeva quanto dare per la cerimonia, così ho deciso di dare un'indicazione pubblicamente. Non sono offerte obbligatorie né soldi che vanno a finire nelle mie tasche. La comunità deve capire che c'è bisogno del sostegno di tutti per mandare avanti la chiesa" (La Nazione, 2 giugno). 

MATERIA NON NORMATA
«In effetti siamo in una materia che non è normata», concordano due autorevoli fonti della Conferenza Episcopale e della Santa Sede, consultate da Aleteia. L'idea di fondo è che si lascia piena libertà a ciascuna diocesi o parrocchia di regolarsi come ritiene più opportuno, conformemente agli usi e alle necessità di ciascun luogo.

LECITO DARE "SUGGERIMENTI"
L'utilizzo del termine tariffario non è propriamente corretto. Ma possono esistere "indicazioni", "suggerimenti" per contribuire alle spese. «La premessa è che un sacramento non si compra, né si fa pagare. Ma bisogna anche compensare il servizio offerto, non si può solo approfittare. Ecco perché ci si deve sentire in dovere di donare un contributo. Se magari c'è un'indicazione di un costo, se non si ha la possibilità economica di farvi fronte, si spiega la situazione al parroco», ci spiega una delle due fonti. 

L'INTERVENTO DEL VESCOVO
Se da un lato il sacerdote non ha l'autorità per imporre senza appello una determinata cifra per celebrare il sacramento, dall'altro, seppure ne suggerisce il costo, non può compiere "abusi". Nel senso che deve comunque contenere le cifre in questione, in relazione al contesto in cui celebra. In caso contrario si può prevedere un intervento diocesano. Il vescovo in persona può richiamarlo a "contenere" le cifre richieste o a rapportarsi in maniera diversa con i fedeli in merito ai servizio svolto durante i sacramenti. 

I COSTI DEL MATRIMONIO
Per la celebrazione dei matrimoni, può capitare che in chiese non parrocchiali ci sia una tariffa fissa, ma è del tutto lecito. In generale per i fiori d'arancio la Chiesa Cattolica ha stabilito delle regole abbastanza chiare sulle spese per la celebrazione. La norma numero 18 per l'organizzazione del matrimonio, recita: «La celebrazione dei sacramenti, e quindi anche del matrimonio, rientra nell'azione pastorale e nella missione del Parroco. Di per sé è dunque un servizio gratuito che il Pastore d'anime è tenuto a prestare al popolo affidato alle sue cure. I fedeli tuttavia da parte loro hanno il dovere di partecipare la propria gioia alla comunità cristiana nella quale sono stati educati e quindi anche di contribuire, nella misura delle loro possibilità, alle necessità della Chiesa e dei poveri».

UN CONTRIBUTO DOVEROSO
La preparazione e la celebrazione del matrimonio «comportano inoltre delle spese reali, sia per i servizi diocesani (moduli, personale d'ufficio, ecc.), sia per quelli parrocchiali di culto e di personale (sacrestano, energia elettrica, manutenzione del luogo sacro, ecc.). Da qui nascono quindi obblighi di giustizia che non si possono e non si devono disattendere». Pertanto «se il Parroco vuole optare per la prestazione gratuita di ciò che riguarda il decoroso svolgimento del rito nuziale o per una libera offerta, può sempre farlo; deve però provvedere alle spese per i servizi e per i diritti di terzi».

PRENOTAZIONE GRATUITA
D'altra parte, prosegue il documento ufficiale sul matrimonio nella Chiesa Cattolica, «si ricordi che da un punto di vista educativo è sempre valida la richiesta di un contributo, non solo per venire incontro alle necessità dei luoghi di culto, ma anche per sensibilizzare i fedeli, in occasioni come questa, ai bisogni della Chiesa locale nella quale sono inseriti». I Parroci «non chiedano ai nubendi alcun acconto per la prenotazione della celebrazione del matrimonio. L'offerta data in occasione della celebrazione, anche quando è determinata, in nessun modo può considerarsi come corrispettivo di una concessione di uso temporaneo o di un servizio (can. 1264, 2 Codice di Diritto Canonico)».

TETTO MASSIMO DI SPESE NELLA CAPITALE
Nella principale diocesi italiana, il Vicariato di Roma, per la celebrazione di un matrimonio la norma diocesana impone che non si superi la soglia di 270 euro per il costo della chiesa non parrocchiale. E' noto che nella Capitale in tanti optano per sposarsi in alcune parrocchie storiche del centro (San Alessio all'Aventino, Santa Sabina, Santa Costanza, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo sul Celio, ecc). Chi invece opta per la il matrimonio nella chiesa della propria parrocchia si adeguerà alla cifra che ha stabilito il parroco (tendenzialmente inferiore a quella per le chiese non parrocchiali). 

ABUSI DENUNCIATI AL VESCOVO
«L'indicazione del Vicariato sul tetto massimo per i costi di un matrimonio è per mitigare abusi che si sono registrati in passato – fa sapere ad Aleteia l'Ufficio Liturgico della diocesi di Roma – per gli altri sacramenti va chiarito ancora una volta che le parrocchie non prendono soldi. Ci sono delle esigenze parrocchiali e si invita a sostenerle con offerte, ma il Vicariato non dà suggerimenti di alcun tipo. Può sempre capitare che qualche sacerdote divulghi un tariffario e se effettivamente si registrano abusi si possono documentare al vescovo che interverrà tempestivamente».

DAL VI SECOLO OFFERTE AI SACERDOTI
Un interessante articolo de La Civiltà Cattolica (volume 117, Edizione 4) spiega che i cosiddetti "diritti di stola" «traggono un'origine remota dalle offerte deposte dai cristiani dei primi secoli in una cassa comune allorché si recavano in chiesa per i riti sacri. Più tardi, nel secolo VI, con l'uso della messa privata, il celebrante prese ad accettare quanto gli offriva il fedele. Analogamente amministrando i sacramenti e compiendo altre cerimonie sacre, si cominciò a mettere nelle mani del sacerdote un'offerta a lui esclusivamente riservata». 

LA VIGILANZA DELLA CHIESA
La Chiesa, continua l'articolo della rivista dei gesuiti, «non s'oppose a queste consuetudini ed anzi, allorché alcuni pretesero di soppiantarle, prescrisse che esse fossero osservate; ma vigilò energicamente perché da oblazioni doverose non si trasformassero in quelle esazioni vere e proprie che il caraterete sacro dei sacramenti esclude. Oggi la materia dei "diritti di stola" è regolata dai vescovi di ciascuna provincia ecclesiastica». 

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