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Graham Greene, lo scrittore tormentato che alla fine si lasciò toccare dalla Grazia

Graham Greene

© Public Domain

Ignacio Pérez Tormo - pubblicato il 12/09/14

L'impostazione morale dell'autore de “Un americano tranquillo”

I fan di Graham Greene affermano che la sua vera filosofia non si trova nei suoi grandi romanzi, ma nei piccoli racconti di spionaggio che scriveva per sopravvivere. È nell’edizione tascabile che si ritrova Greene: qui ci mostra che il possedere una coscienza morale è ignorato da tutti gli scrittori del Roman Noire, ma per lui è un fattore importante, la caratteristica della "casa". I suoi personaggi uccidono, lasciano tracce dei loro crimini e ballano con la donna più bella, ma – ed è questo il “fattore Greene” – dubitano, sognano una vita familiare e a volte riconoscono di aver sbagliato.

Cos’è la verità?
Ne “Un americano tranquillo”, Fowler, l’alter ego di Greene, si porta dietro un peso. Non crede che ci sia una verità delle cose. Senza perdere di vista il suo atteggiamento, facciamo un piccolo salto. Quasi venti secoli. Quell’aria che già conosciamo la troviamo in Ponzio Pilato quando, interrogando Gesù, gli chiede “Cos’è la verità?”, e abbandona la sala senza interessarsi alla risposta. Quello che implica questa domanda è spiegato con chiarezza da Joseph Ratzinger in “Gesù di Nazaret”. Gli esperti hanno definito quell’atteggiamento “relativismo”.

Il governatore romano non riconosce in Gesù un grande re, ma sa che lo hanno consegnato per invidia. Si pone allora il dilemma: cosa fare con quel prigioniero? Timoroso della folla e noncurante dei consigli di sua moglie, vede il dubbio instillarsi nella sua solitudine.

Senza perdere il potere e l’autorità che comporta la sua carica, ha il triste onore di giudicare colui che nessuno oserebbe giudicare. Il Creatore stesso. L’Autore della sua stessa vita.

È la stessa disposizione d’animo che soggiace nella domanda che pone Fowler nel romanzo: Perché Dio permette certe cose nel mondo, come la fame o la guerra? È una domanda che si sente risuonare spesso nella vita reale e nei media.

Perché Dio permette il male nel mondo?
Una semplice domanda, sembra una cosa completamente innocente. A volte è anche la via più breve per arrivare in un posto – sempre che si sappia comprendere. Ma in genere questa domanda si presenta come l’anticamera del relativismo.

“Che strano”, pensa Fowler, “che la popolazione che Dio ha nel suo regno sia tanto povera, spaventata, gelata, morta di fame (“Non so come faremo a nutrire tutta questa gente”, mi diceva il parroco); ci si aspetterebbe qualcosa di meglio da un re così grande”.

Questa posizione relativista, secondo i filosofi, non ha nemmeno entità propria. Non esiste tra le cose create. È un gioco con un trucco. A giudicare da ciò che ci insegnano il caso di Pilato e gli ultimi anni di Greene, la trappola si basa sul fatto che i relativisti devono pagare un caro prezzo. Al relativismo segue la solitudine.

Se il lettore ha partecipato a una celebrazione cristiana, sa che nel Credo compare Pilato; ma continua ad essere molto solo. Riesci a immaginare, lettore, Ponzio Pilato accompagnato dai suoi complici e adulatori in quella preghiera? O il nostro autore, Greene, di buonumore? Di fatto, neanche il sacramento della Riconciliazione va bene per il presuntuoso giudizio di Fowler.

“Mostrare l’anima davanti a un’altra persona. Deve scusarmi, padre, ma mi sembra una cosa morbosa, perfino disumana”.

È importante chi governa
L’“io” assume importanza in Fowler. Diventa un nuovo legislatore. Il centro di gravità si sposta quindi da Dio al personaggio. E con questo, ciò che si considerava arbitrario nell’ordine della Natura ora diventa Legge. Greene prenderà quindi come giudizio della sua coscienza ciò che si adatta alla realtà dei suoi sentimenti. Ad esempio, la simpatia per la vittima, le nausee o l’accelerazione del cuore in un volo in picchiata.

Lo esprime in un passo in cui un villaggio viene bombardato. Muoiono migliaia di persone, e centinaia fuggono terrorizzate. Un soldato punta un fucile alla schiena di un bambino. Un colpo fa cadere il piccolo. Migliaia di morti, più uno (un bambino, uno sparo a bruciapelo); per Greene è solo quest’“uno” la vittima di atto morale.

“C’era stato qualcosa di talmente scandaloso in quella scelta repentina e fortuita di una vittima”… La riflessione di Fowler è importante, ma…

La cosa più importante è chi pronuncia l’ultima parola
Per terminare questo intervento, dobbiamo ricordare che a noi cristiani è stato ordinato di seppellire i morti. Non si tratta dell’inumazione, ma di qualcosa di più completo e compassionevole. Per questo voglio lasciare uno spunto. “Un americano tranquillo” non è stata l’ultima parola di Greene.

Alla fine della sua vita, impazzito per l’uso di droghe, viveva da solo, senza vita sociale, in una casa vicina a un lago in Svizzera. Un pomeriggio ha suonato la porta. Barcollando nel corridoio, è riuscito ad aprire. Di fronte a lui c’era un uomo che aveva l’asppetto di un sacerdote cattolico, che gli ha spiegato che all’università aveva studiato Graham Greene e che per caso era stato informato del fatto che viveva in quella casa. Colui che in realtà era il nuovo parroco della parrocchia cattolica gli ha detto che voleva fargli visita solo per parlare di letteratura. Quell’incontro, documentato nei diari, ha portato alla confidenza, e da lì a chiacchierare… e lo lasciamo nel sussurro della Grazia.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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