Le posizioni di Comune, comunità islamica e Chiesa cattolica. Il punto della situazione in vista di EXPO 2015
La grande moschea di Milano non si farà. Al suo posto, quattro luoghi di culto, non tutti islamici, in altrettante aree messe a disposizione dal Comune di Milano. La Giunta comunale ha messo così fine a un dibattito, non privo di polemiche, iniziato nel 2011 durante la campagna elettorale che ha portato Giuliano Pisapia alla guida di Palazzo Marino. È infatti in campagna elettorale che Pisapia si impegna, nel caso venga eletto, a offrire alle comunità religiose cittadine luoghi dignitosi di preghiera e di ritrovo. Dopo l’insediamento, infatti, il vicesindaco Maria Grazia Guida non solo apre un dialogo con le realtà religiose presenti in città, ma vara il primo Albo al quale queste possono registrarsi. L’Albo è un primo tentativo importante per mappare la presenza dei culti non cattolici in città.
Da parte dell’amministrazione pubblica non si tratta solo di avere una situazione il più possibile chiara delle comunità religiose per garantire loro il diritto di culto, ma anche di sanare alcune situazioni che, dal punto di vista urbanistico e igienico-sanitario, non sono più accettabili. In città sono ancora molti i luoghi di preghiera ricavati in ex magazzini, sottoscala, aree dismesse che non rispondono alle normative di sicurezza e di salubrità.
In questo contestoviene posta dalla comunità islamica la necessità di creare una moschea che possa ospitare i molti musulmani che arriveranno a Milano in occasione di Expo 2015. Una struttura che dovrebbe poi rimanere per la comunità islamica locale che ormai conta su circa centomila fedeli. Un’esigenza, quella della costruzione di un nuovo luogo di culto, che è sottolineata anche da Ada Lucia De Cesaris, il vice sindaco di Milano, che dichiara che il Palasharp (la tensostruttura che in questi anni ha funzionato come luogo di culto per gli islamici) va abbattuto e al suo posto va costruita una nuova e più accogliente moschea. «Nel 2012 quando si è aperto il dialogo con l’amministrazione comunale per trovare una soluzione al problema dei luoghi di culto – spiega Davide Piccardo, responsabile del Coordinamento associazioni islamiche di Milano e Monza e Brianza (Caim) – noi non abbiamo parlato di una grande moschea, ma abbiamo voluto confrontarci su due punti: 1) la regolarizzazione dei luoghi di culto esistenti; 2) stabilire un meccanismo per realizzare luoghi di culto. A noi interessava e interessa fissare requisiti chiari per tutti in base alle quali è possibile costruire un luogo di culto. Passando il tempo e non avendo risposta a queste nostre richieste e, contemporaneamente, aumentando la necessità di un luogo di cultoislamico in vista di Expo 2015, abbiamo lanciato una proposta per creare una grande moschea sull’area del Palasharp».
Il Caim, che riunisce 25 associazioni islamiche, sostiene di essere in grado di far fronte ai costi di abbattimento del Palasharp (600mila euro) e di costruzione della nuova moschea (circa dieci milioni). Questa proposta accende il fuoco della polemica. Consiglieri comunali di opposizione, ma anche esponenti di associazioni islamiche non aderenti al Caim iniziano a sollevare perplessità sui finanziamenti. Il timore è che dietro questa opera e dietro il diritto di culto dei musulmani si nascondano interessi poco chiari dei Paesi del Golfo. Il nome del Qatar, nazione che ha già molti interessi a Milano e che sostiene i movimenti vicini alla Fratellanza musulmana, è quello che circola maggiormente. «Ci hanno accusato di avere finanziamenti dal Qatar – osserva Piccardo -. Io non posso che rispondere che i soldi li cerchiamo dove ci sono e dove ce li danno. Se il Qatar o qualche fondazione qatariota volesse finanziare un nostro progetto noi lo accetteremmo. Dev’essere chiaro però che noi non accetteremo mai un controllo politico dei luoghi di culto da parte dei qatarioti o di chiunque ci possa finanziare».