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La madre di James Foley: “Prego perché mio figlio non sia morto invano”

Diane Foley

© DOMINICK REUTER / AFP

UNITED STATES, ROCHESTER : Diane Foley, mother of journalilst James Foley, sit for a portrait at their home during an interview August 24, 2014, in Rochester, New Hampshire. A memorial service will be held later August 24 for Foley, a US journalist beheaded by Islamic State fighters after he was kidnapped in Syria in November. AFP PHOTO/DOMINICK REUTER

Aleteia - pubblicato il 11/09/14

Parla Diane Foley, la madre del reporter americano decapitato dall'ISIS lo scorso 19 agosto

Alla rivista Credere (14 settembre) per la prima volta dalla morte del figlio, parla Diane Foley, la mamma del reporter americano ucciso in Siria dall’Isis lo scorso 19 agosto. James Foley, freelance di 40 anni di Boston, autore di reportage per Afp e altri media, era stato rapito nel nord-ovest della Siria il 22 novembre 2012. Aveva documentato i conflitti in Iraq, Afghanistan e Libia dove, nel maggio 2011, era stato rapito. In quell’occasione scrisse una lettera alla Marquette University, il college gesuita dove aveva studiato, descrivendo con passione il potere della preghiera. Una volta liberato è quindi tornato in Siria dove è stato preso per poi essere ucciso il mese scorso.

James era stato cresciuto nella fede e come cattolico e si era sempre dedicato ai più poveri. Per questo, aveva deciso di recarsi nelle zone di guerra come reporter. Prima di diventare giornalista, però, aveva lavorato come insegnante tra bambini in difficoltà.

Durante il primo rapimento in Libia, racconta Diane, “aveva anche capito quanto le preghiere delle persone in tutto il mondo lo avessero aiutato. Quando era tornato a casa dopo 44 giorni di prigionia in Libia, era rimasto incredibilmente colpito da questa partecipazione. Per questo, anche se in Siria non era possibile alcuno scambio di informazione, sono certa che Jim sapesse di non essere solo. Gli ostaggi che erano con lui e che sono stati liberati mi hanno confermato come lui trovasse forza in questa consapevolezza, oltre che nella preghiera”.

So che più sofferenza vedeva attraverso il suo lavoro, più la sua fede e il suo senso di missione aumentavano al punto che insegnare ai bambini non gli bastava più – ha continuato –. Voleva scrivere le storie e riportare le condizioni di tutti gli esseri umani durante un conflitto, ovunque nel mondo”.

Diane ricorda di aver avuto a dicembre alcuni scambi di e-mail con i suoi rapitori e di aver pregato tanto perché venisse liberato: Mi consola però sapere, come mi hanno detto gli ostaggi rilasciati, che Jim ha sempre cercato di accendere una luce di speranza nel suo cuore e in quello degli altri. Per questo siamo così grati a Dio per questo figlio”.

Ma hanno mai perso la fede i genitori di James?La mia forza deriva dalla mia fede. Dio ha dato a Jim una forza che lui non aveva prima. Per questo siamo grati per Jim e per tutte le persone che hanno pregato per noi. E noi, come famiglia, speriamo di portare avanti l’eredità che Jim ha lasciato in questo mondo”.

La madre del report ha poi detto di voler creare una fondazione alla memoria di suo figlio nella speranza di poter “proteggere altri giornalisti impegnati su fronti di guerra” e “aprire un dialogo a livello internazionale su come debbano essere affrontati i negoziati per gli ostaggi”.

“La sua morte e le torture che ha subìto – ha concluso – sono state in qualche modo simili a quelle di nostro Signore e penso che Dio gli abbia dato quella forza così come è sempre stato con lui. Per questo, sì, lo posso vedere in un certo senso come martire moderno. Ma ciò per cui prego è che lui non sia morto invano. Spero che la gente nel mondo abbia provato abbastanza orrore per la sua morte da provare più compassione, come lui voleva. Prego perché mio figlio non sia morto invano”.

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