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“Per sempre” è l’affare della vita

Pope meets young engaged couples 5 © Sabrina Fusco

© Sabrina Fusco / ALETEIA

Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 10/09/14

Una storia d’amore funziona se si benedicono i momenti di difficoltà

C’era una volta in una landa verdeggiante una splendida e dolce fanciulla in attesa del Principe Azzurro dal profilo greco, del topico bacio del vero amore e del tradizionale vissero per sempre felici e contenti, possibilmente in questo esatto ordine, con un appassionato bacio da sveglia e con un enorme castello lussuoso come coronamento del giuramento. Per quanto siano fantasiosi i fratelli Grimm, è innegabile che Chi ha scritto la Realtà lo ha fatto in un modo decisamente più creativo e originale, un Autore che quando ha pensato la landa verdeggiante l’ha fatta immersa nell’odore del letame della bassa bresciana, quando ha impastato la principessa le ha messo gli occhiali con le lenti spesse e la paranoia facile, al Principe Azzurro ha dato un naso decisamente “importante” e un’insana passione per il calcio e tra il bacio del vero amore e il vissero per sempre felici e contenti ha inserito un percorso ad ostacoli con tanto di pertiche, cavalline e salti il lungo senza materasso.

A prima vista io, giovane principessa sovra descritta, potrei avere qualcosa da recriminare al famoso Autore di questa storia ma è pur vero che il mio Principe non porta quelle orrende calzamaglie e io non devo cantare con la faccia da ebete ad ogni piè sospinto, circondata da animali rumorosi e poco igienici. Non solo, posso dire con assoluta convinzione che tra tutte le fiabe non ce n’è una che possa eguagliare, anche solo per metà, la Bellezza e la pienezza di una reale storia d’amore, intrisa di quotidianità e concretezza, di occasioni e di piccole Grazie inaspettate che sorprendono per la loro tempestività (chiamatele, se volete, Dioincidenze) e danno il coraggio di sperare nel lieto fine, che è sempre comunque un nuovo inizio. Se è pur vero che la nostra infanzia è stata nutrita da favole troppo semplicisticamente eterne, è altrettanto vero che durante l’adolescenza abbiamo respirato a pieni polmoni l’aria schiettamente viziosa dei disinibiti telefilm americani, veri e propri guru virtuali che inneggiano all’amore libero, alla collezione irrefrenabile di partner, alle relazioni brevi ma intense che rappresentano in ogni caso un’esperienza.

– Breve parentesi: io non riesco a capire come la generazione che ci precede sia così accanitamente propugnatrice di esperienze, come se il fatto di accumulare indistintamente e senza criterio dei gesti, anche discutibili, o semplicemente stupidi, dia la possibilità al giovane di maturare. Non credo, infatti, che i miei nonni, che hanno visto poco più della loro provincia e hanno avuto un solo fidanzato, poi diventato l’unico coniuge, siano dei trogloditi ingenui e immaturi perché poveri di esperienze. Chiusa parentesi-

A causa di tali visioni distorte dell’amore ci siamo un po’ disabituati a parlare dell’amore eterno, eterno davvero e non solo finché dura, perché si crede che il “per sempre” sia una storia antiquata, adatta ai secoli bui del medio Evo, frutto del maschilismo patriarcale dominante che assoggettava le mogli e troppo limitante o repressiva per le donne emancipate del XXI secolo. Io sono piuttosto giovane ma se dovessi scegliere a quale immagine associare la didascalia “amore eterno” di certo penserei a quella con mio nonno, uomo tutto d’un pezzo con una robusta corazza di virilità che dovrebbe impedirgli di cedere al sentimento, che a settantanove anni si commuove mentre gli racconto di come il mio fidanzato mi abbia chiesto di sposarlo. Con gli occhi che hanno visto quasi un secolo, luminosi di lacrime e che forse in quell’istante stanno guardando un ricordo che è solo suo, mi racconta di quando anche lui si è inginocchiato davanti a mia nonna, chiedendole di diventare sua moglie, facendo “l’affare della sua vita”.

Poi guarda mia nonna che sta riassettando la cucina, e mi dice che la vita è lunga, non è una favola e ci sono momenti in cui c’è solo fatica ma che, se tornasse indietro di 60 anni, chiederebbe ancora alla stessa donna di essere la compagna e la custode della sua vita. Di fronte a ciò mi accorgo di quanto sia più conveniente spendersi per un amore eterno, senza lasciare frammenti di sé tra le mani di tanti estranei, estranei non nel senso di sconosciuti, ma nel significato etimologico di “fuori dall’ambiente”, cioè fuori della propria persona pensata e creata da Dio per unire il proprio Destino solo con quell’unica creatura al mondo che le corrisponde.

Nella Bibbia si legge che Dio creò maschio e femmina e non mi è difficile immaginare il Padre celeste mentre plasma e chiama insieme Sara e Abramo, Rachele e Giacobbe, Mario e Amabile (i miei nonni), Noemi e Mattia (la sottoscritta e il fidanzato), tanto che, quando si incontra la persona con cui si è stati pensati e questa si presenta, il fondo dell’anima sperimenta una sorta di sussulto perché sente riecheggiare l’altro nome con cui era stata chiamata nel giorno della creazione e il momento del (re)incontro lo si ricorda per sempre. Le cose più belle della vita, infatti, non si imparano: semplicemente si incontrano. Quello che bisogna fare è essere certi che un progetto di felicità pensato per noi c’è e aspetta solo il momento giusto in cui siamo pronti per aderirvi. Io ho conosciuto il mio attuale e unico fidanzato della vita nel 2009, precisamente il 10 giugno intorno alle 11 del mattino, nella cucina sporca di uno sperduto paesino di montagna che non si trova sulle cartine geografiche, indossavo una maglietta bianca piuttosto larga ed ero reduce da un esame di Letteratura italiana in cui avevo preso 27 e, nonostante la mia memoria da pesce rosso, la mia mente ha trattenuto tutti i dettagli di quell’incontro, atteso da sempre, per sempre.

Sono una giovane donna di ventiquattro anni e lo sgargiante anello con diamante che porto al dito della mano sinistra mi chiede ogni giorno ragione del fatto che l’anno prossimo mi sposo, nonostante il mio fidanzato non abbia ancora finito l’università, non abbiamo due lavori sicuri e ci manchi al momento una casa. Tutte questioni abbastanza serie che chiedono di essere affrontate ma non abbastanza importanti da rimandare “l’affare della propria vita”. A un amico che ha saputo del mio matrimonio e che mi ha detto che lui non saprebbe fare un passo così importanti ho risposto: “Per cosa siamo fatti se non per le cose importanti?” Il matrimonio è una chiamata che urge risposta, è il proprio Destino che viene a chiedere di essere compiuto e non si può credere che il Signore resterà a guardare senza donare tutti gli strumenti necessari affinché il Suo Progetto venga realizzato. Non è un caso che Gesù abbia compiuto il primo miracolo durante un matrimonio, colmando con sovrabbondanza l’improvvisa mancanza di vino ad un banchetto nuziale.

Il Signore gode nell’eccedere in generosità quando la posta in gioco è alta e il caso di due giovani che si consacrano l’uno all’altro in nome di quell’amore che Lui stesso ha messo loro nel cuore è una scommessa che il Padre celeste non vorrebbe mai perdere. Per questo non ho troppa paura di sposarmi senza avere sicurezze economiche e polizze assicurative. Con buona pace della magia delle fiabe e degli equivoci fortuiti dei telefilm, nella vita reale il lieto fine di una storia d’amore si intravede quando l’uno non vede l’ora di consumarsi per l’altro, di donarsi tutto, con la coscienza matura di chi riconosce che l’amore non è per chi ti fa tornar tardi la sera ma per chi ti alzi presto la mattina.

Una storia d’amore funziona se si benedicono (dopo aver profuso un numero più o meno cospicuo di parolacce) i momenti di difficoltà perché &egr
ave; dalla capacità di affrontare insieme le prove serie e reali della vita che si può verum facere, cioè fare verità a proposito di sé stessi e delle fondamenta del proprio fidanzamento. Il tutto nella certezza che il proprio rapporto è intrecciata con un Terzo che, a un nostro minimo segnale di assenso alla sua chiamata vocazionale, scatena l’inferno. Scusate, il Paradiso.

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