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Come va interpretata la frase «Sia fatta la tua volontà»?

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Jeffrey Bruno

Toscana Oggi - pubblicato il 09/09/14

È un’esortazione a costruire una società più rispondente a ciò che Dio vuole?

Ho sempre pensato che la frase «Sia fatta la tua volontà» che si recita nel Padre Nostro sia da interpretare come accettazione da parte dell’uomo della volontà di Dio: mi è tornato utile, in molti momenti difficili della mia vita, ripensare a queste parole che si pronunciano così spesso nella preghiera. Recentemente però un sacerdote, durante un incontro, ci ha invitato a leggere questa frase come esortazione ad agire, a fare in modo che nel mondo venga fatta la volontà di Dio: un’esortazione all’impegno dei cristiani per costruire una società più rispondente a ciò che Dio vuole. Qual è l’interpretazione più corretta per la Chiesa? O più probabilmente entrambe queste letture sono giuste e possono essere integrate?

Marina Cardelli

Risponde don Filippo Belli, docente di Teologia biblica

Per capire la preghiera del Padre Nostro occorre guardare Colui che ce l’ha insegnata. È la Sua preghiera che è diventata la nostra. Non c’è preghiera più santa, più esatta, più vera di questa giacché scaturisce dal rapporto stesso che Gesù intrattiene col Padre nello Spirito. Non si tratta di una formulazione che il Signore Gesù ci avrebbe affidato, ma della condivisione di ciò che era il contenuto del dialogo col Padre. La grazia di queste parole è perciò immensa e la ricchezza del loro significato – come di ogni parola che esce dalla bocca di Dio – inesauribile. Per questo motivo anche la loro interpretazione lungo i secoli fino ad oggi non ha smesso di impegnare teologi, esegeti e santi scrittori (ricordiamo i più antichi e famosi come Tertulliano, Origene, Cipriano, Agostino, Tommaso d’Aquino) e singoli fedeli e pastori. Ed è giusto che sia così, perché quelle parole non si atrofizzino in una formula stereotipata.

La domanda quindi è pertinente e la risposta è già in qualche modo contenuta nella sua formulazione. In effetti non si può disgiungere la disposizione d’animo personale del cristiano dalla sua effettiva messa in opera nella vita. Così non si può semplicemente accordarsi come cuore e volontà alla volontà divina senza che questa disposizione interiore abbia un suo corrispondente nel nostro modo di agire e operare nelle situazioni varie della vita.

Il problema che la domanda solleva implicitamente mi sembra però essere un altro, e cioè una concezione statica, deterministica di cosa sia la volontà divina, alla quale l’uomo dovrebbe inevitabilmente e spesso obtorto collo, ovvero malvolentieri, piegarsi. In effetti questa è l’impressione che sovente noi abbiamo della volontà di Dio, cioè di qualcosa di irremovibile e che non corrisponde alla nostra volontà. In questo c’è tutta la fatica ad accettarla. Che essa poi si manifesti attraverso la diverse circostanze della vita – spesso inevitabili – la rende ancor più ostica da accogliere, perché non c’è nulla di così imprevedibile e misterioso delle circostanze che viviamo e che difficilmente possiamo controllare.
Ora, la Sacra Scrittura ci testimonia dalla prima all’ultima pagina della radicale bontà e benevolenza da parte di Dio, di una pervicace e insistente volontà di bene da parte sua, della positiva disposizione del creato, della sua volontà di salvare l’uomo e di favorire con ogni mezzo la vita fino alla sua pienezza. A questa volontà di bene ha chiamato a partecipare l’uomo, fin dalle origini, dandogli i mezzi necessari per compiere questo bene. Quindi l’uomo è per natura orientato alla volontà di bene di Dio, e ad essere partecipe e collaboratore assieme a Lui della vita.

Ma fin dalle origini l’umanità sperimenta anche una frattura – che la Bibbia ci documenta continuamente – tra la propria libertà e la volontà di Dio, tale da farle sentire antagoniste se non nemiche. L’antico peccato di origine sta proprio in questa discrepanza tra la volontà umana e quella divina, per la quale noi sentiamo a volte estraneo a noi il volere di Dio.

In Gesù Cristo tale frattura è stata ricomposta, la ferita guarita, l’opposizione conciliata. E occorre anche rendersi conto in quale modo è avvenuto. Il Vangelo ci mostra il cammino di Gesù in continua tensione a fare il volere del Padre. Non però senza difficoltà. Ricordiamo solo brevemente alcune scene. A 12 anni, nel passaggio alla vita religiosa adulta, Gesù dichiara ai suoi genitori «non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). E ancora nel momento del suo ritiro nel deserto, tentato dal diavolo, deve riaffermare la sua appartenenza al Padre in tutto (Mt 4,1-11 e par.). Infine, nel Getsemani, il momento più drammatico della sua esistenza, che ci fa intuire l’immane lotta che l’uomo vive da sempre nell’accordare la propria volontà a quella di Dio. In quel momento «è presente in Gesù stesso tutta la resistenza della natura umana contro Dio. L’ostinazione di tutti noi, l’intera opposizione contro Dio è presente e Gesù, lottando, trascina la natura recalcitrante in alto verso la sua vera essenza […] Ha accolto in sé l’opposizione dell’umanità e l’ha trasformata, così che nell’obbedienza del Figlio siamo presenti tutti noi, veniamo tirati dentro la condizione di figli» (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth).

In questo modo, nella grazia di comunione con Cristo, la volontà di Dio ci diventa familiare (siamo figli!), e ci apre a tutte le sue armoniche di bene, ridiventando noi collaboratori leali del suo disegno di amore per tutta l’umanità. Fare la volontà di Dio allora non è solo accettare le inevitabili circostanze della vita e il loro mistero di bene, ma collaborare fattivamente con tutte le nostre energie al bene di Dio sull’umanità. Per questo siamo stati creati, per questo siamo stati anche salvati.

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