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Jan Karski, una voce cattolica contro l’Olocausto

Jan Karski

© Yad Vashem The Holocaust Martyrs' and Heroes' Remembrance Authority

María Ángeles Corpas - pubblicato il 05/09/14

Lo scrittore e attivista polacco, sposato con un'ebrea, mostrò l'orrore della violenza nazista

Quella di Jan Karski è stata una vita straordinaria. Fu un eroe della resistenza polacca, diplomatico, intellettuale di prestigio negli Stati Uniti, anche se fu soprattutto una voce impegnata nella denuncia internazionale dell’orrore nazista. Una vita coraggiosa la cui ispirazione è stata un profondo senso cattolico della giustizia. Come polacco, qualcosa di strettamente unito a un profondo patriottismo. Una nozione morale della politica e del servizio pubblico instancabile e umile. Una testimonianza “profetica” contro l’Olocausto, l’esempio più grave delle conseguenze della negazione di Dio nel mondo contemporaneo.

1. Un secondo “peccato originale” contro l’umanità

Alla fine della guerra molti, inclusi Governi e intellettuali, continuavano a ignorare quanto era accaduto e rimasero sorpresi conoscendo la brutale verità sull’Olocausto. Fu un peccato commesso dall’umanità, “per commissione, o omissione, per ignoranza autoimposta, insensibilità, egoismo o ipocrisia, o per un razionalismo senz’anima”. Per la fede cattolica di Karski, era un secondo peccato originale. Tale era il suo grado di coscienza della responsabilità di criminali e complici nella creazione di un ordine senza Dio e contro Dio. Queste parole del suo discorso davanti al Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti (1981) testimoniano la profondità e permanenza del suo impegno morale ed espongono la sua bonomia cristiana.

Jan Kozielewski, poi Karski nella vita clandestina, nacque a Lodz nel 1914. Nell’ambiente del patriottismo, conquistata da poco l’indipendenza nella Polonia di Pilsudski, il suo motto era “Dio, onore, patria”. Uno schema in cui cattolicesimo e amore per il suo Paese erano due facce della stessa medaglia, parte essenziale di un’identità secolarmente minacciata. Studiò Diritto a Leopoli e realizzò un corso militare di artiglieria a metà degli anni Trenta, come parte del servizio militare. Iniziò poi a sviluppare la sua vocazione diplomatica ricoprendo vari incarichi in Germania, Svizzera e Inghilterra (1936-1938), con il sogno di rappresentare un Paese forte e rispettato.

Ciò che vide a Norimberga (1935) durante le sue pratiche consolari richiamò la sua attenzione, pur se non sospettava la tempesta che sarebbe scaturita. Nel 1939, l’invasione scatenò una serie di avvenimenti romanzeschi. Fu fatto prigioniero e internato in un campo sovietico (Kozielsczyna). Riuscì poi a liberarsi in uno scambio di prigionieri e iniziò a militare come corriere clandestino, compiendo pericolosi viaggi nei Paesi alleati. Nel 1940 era ad Angers (Francia) per informare il Governo polacco in esilio. La Gestapo lo catturò e torturò in Slovacchia. Era disperato, sull’orlo del suicidio. Venne allora riscattato in un’operazione della resistenza nell’ospedale di Nowy Sacz. A Varsavia continuò a servire lo Stato clandestino nel servizio di propaganda.

Nel periodo 1941-42 si acutizzò la repressione antisemita. Pauperizzazione del ghetto, suo annichilimento. Migliaia di morti per stenti e privazioni. Per Karski, queste figure diedero vero senso all’espressione Ecce Homo. Presto migliaia di persone iniziarono ad essere spedite quotidianamente nei campi, apparentemente di lavoro, in realtà fabbriche di morte.

Nel 1942 portò segretamente il suo rapporto a Londra con microfilm nascosti in una chiave, dati che arrivarono al Primo Ministro Sikorski e ad altre autorità. C’erano incredulità e negazionismo nei confronti delle dimensioni del problema ebraico. Personalità come Felix Frankfurter si mostrarono scettiche di fronte alla durezza del rapporto. Questo documento possedeva una grande portata politica e mostrava l’integrità della Polonia resistente, nobilmemente incarnata nel diplomatico. Nel 1943 informò personalmente il Ministro degli Esteri britannico Eden. Sostenne anche Ciechanowski, ambasciatore a Washington, per mettere al corrente Roosevelt e avvertirlo delle dimensioni della questione. Nel 1944 si ventilò l’idea di un film propagandistico sullo Stato clandestino. Alla fine divenne un libro, Courier from Poland: Story of a Secret State. Fu un successo, con 400.000 copie vendute e traduzioni in varie lingue. Grazie al testo si conobbero lo sforzo della resistenza polacca e la sua organizzazione, così come la vera natura della repressione nazista, la sua disumanità e l’inusitata crudeltà dell’antisemitismo.

2. Dalla testimonianza all’azione: il valore cristiano di trasformare la realtà

“Allora divenni un ebreo. Come la famiglia di mia moglie – tutti morirono nei ghetti, nei campi di concentramento, nelle camere a gas –, quindi tutti gli ebrei assassinati divennero la mia famiglia”. Questa capacità di empatia, di misericordia e di amore per il prossimo nascevano da valori cristiani molto radicati, da una considerazione profondamente morale del servizio pubblico e da una generosa decisione di trasformare la paura e le circostanze brutali della guerra in un’opportunità di testimonianza religiosa e difesa della dignità umana.

Nel dopoguerra sviluppò una feconda carriera come professore negli Stati Uniti, dove continuò la sua formazione superiore e ottenne la nazionalità nel 1954. Impartì lezioni a Georgetown, prestigiosa università cattolica della capitale. Non divulgò l’odio né la vendetta: “Non siamo responsabili degli errori o dei crimini dei nostri antenati”. Al contrario, promosse la responsabilità individuale e collettiva di queste esperienze storiche: “Promisi a me stesso di non deludere la gente che aveva confidato in me”.

Questi meriti non escludono sofferenze intime. Il suo matrimonio con la nota ballerina e coreografa ebrea Pola Nirenska (1965-1992) fu difficile. Il suo suicidio gli ricordò la tragedia del politico e sindacalista Szmul Zygielbojm (Londra, 1943), che aveva lasciato un’impronta indelebile nel suo animo.

Per lui, al contrario di ciò che accade nei nazionalismi escludenti, non c’erano Nazioni buone e cattive. “Ci sono Governi migliori e peggiori. Le Nazioni non vogliono la guerra. I Governi sviluppano politiche che portano alle guerre, e allora chiedono alle Nazioni di sacrificarsi”.

3. Il sogno della ragione. L’eredità di Karski è una lezione per oggi

Di sé disse: “Ero un ometto insignificante. Era la mia missione ad essere importante”. Karski è stato un eroe umile. Ricevette numerosissimi riconoscimenti, anche a titolo postumo, come la Medaglia Presidenziale della Libertà (Stati Uniti, 2012). Questi riconoscimenti hanno sottolineato la sua dedizione (Croce d’Argento Virtuti Militari, Polonia; Medaglia Wallenberg, Michigan University 1991; Croce dell’Aquila Bianca, Polonia, 1995) o la sua intelligenza (dottorati honoris causa, Varsavia, 1991; Georgetown, 1983).

In particolare, è stata ad ogni modo riconosciuta la sua integrità, come nell’accordo del Parlamento israeliano (1994) che gli ha concesso la cittadinanza onoraria. Per aver corso rischi e affrontato gravi pericoli a favore del popolo ebraico, nel 1982 gli è stato conferito il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, riservato alle grandi figure che hanno combattuto la Shoah secondo l’istituto israeliano Yad Vashem. La medaglia commemorativa contiene la frase della tradizione “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Un ricordo del valore intrinseco dell’atto di ribellione morale e della necessità di perpetuare la memoria di questi “giusti” straordinari. Yad Vashem ha definito Karski “un ebreo cristiano e cattolico praticante”. Si è preoccupato costantemente di diffondere valori solidali e di difendere i diritti
dei bambini per prevenire disastri come quelli di cui era stato testimone. Nel 1978 spezzò un lungo silenzio in un’emozionante intervista per la pellicola Shoah, del francese Claude Lanzmann, offrendo una testimonianza sul ghetto di Varsavia e sul campo di Izbica. In entrambi era stato introdotto clandestinamente e fu testimone diretto della loro spaventosa realtà, nel campo come falsa guardia, nel ghetto grazie alla resistenza ebraica.

Ebbe una chiara coscienza della brutalità del nazismo, ma anche dello specifico dell’Olocausto ebraico. Tutte le Nazioni sottomesse da Hitler subirono perdite e milioni di vittime. Ad ogni modo, “tutti gli ebrei furono vittime”. Un orrore la cui memoria apparteneva loro e che non doveva diventare patrimonio di alcun gruppo o Governo. Una tragedia “incommensurabile”, una cosa senza precedenti storici. “Nessuno ha fatto il sufficiente”. Rimprovero che non va rivolto al sofferente popolo polacco, selvaggiamente represso dopo la sollevazione di Varsavia dell’agosto 1944.

Secondo le sue parole del 1991, era pienamente consapevole del fatto che “la storia viene scritta dai sopravvissuti, per la gloria e l’entusiasmo dei cuori. Coloro che sono stati divorati dalla storia, quelli che ne sono stati vittime, tacciono e non esprimono opinioni”. Perché “se non dimentichiamo, i nostri figli comprenderanno e ricorderanno”. L’eredità di Karski è un esempio luminoso e permanente di come l’impegno cristiano sia misericordioso con la sofferenza umana e debba essere una voce coraggiosa contro l’ingiustizia, malgrado l’incredulità, la malvagità o l’indifferenza.

Riferimenti:

ISTITUTO POLACCO DI CULTURA: “Exposición Jan Karski. Una misión para la humanidad en el Centro Sefarad-Israel”, Madrid, 2014 en www.culturapolaca.es

KARSKI, Jan: Story of a Secret State, Houghton Mifflin, Boston, 1944

Historia de un Estado Clandestino, Acantilado, 2011

KOSTRO, Robert: “Karski. Una misión inacabada”, in http://www.radiosefarad.com/polonia-la-historia-de-un-heroe-con-robert-kostro/ (Conferenza del direttore del Museo di Storia della Polonia. Madrid, 2014).

REPUBLIC OF POLAND (Ministry of Foreign Affairs): The Mass Extermination of Jews in German occupied Poland, Hutchinson & Co, London, 1942.

SADOWSKI, Maciej: Jan Karski. Photobiography, VEDA, Warsaw, 2014.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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