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Papa Francesco come Chesterton

G. K. Chesterton – it

Public Domain

Jorge Traslosheros - pubblicato il 04/09/14

Il modo intelligente con cui il papa si rapporta con la stampa ricorda il grande pensatore inglese

Francesco sembra un pesce nell’acqua tra i giornalisti. Nel suo viaggio di ritorno dalla Corea, è tornato a dare lezioni su come rapportarsi con la stampa. San Francesco di Sales lo ha già posto senz’altro sotto la sua protezione, e Chesterton gli sussurra indicazioni preziose. Tra le sue risposte ce ne sono state due che hanno richiamato la mia attenzione in modo particolare.

Durante il suo soggiorno in Corea, Francesco ha usato un nastro giallo in segno di solidarietà con i familiari delle vittime del disastro del traghetto Sewol, il cui naufragio ha provocato moltissimi morti. I parenti delle vittime chiedono al Governo coreano una spiegazione soddisfacente attraverso una commissione indipendente. Il papa li ha incontrati e ha anche battezzato il padre di una delle vittime. Quando era sull’aereo, un giornalista coreano gli ha chiesto se non gli importava del fatto che il suo gesto potesse essere “frainteso politicamente”.

La risposta del papa non lascia spazio a commenti: “Quando ti trovi davanti al doloreumano, devi fare quello che il tuo cuore ti porta a fare. (…) Quando tu pensi a questi uomini, a queste donne, papà e mamme, che hanno perso i figli, i fratelli e le sorelle, al dolore tanto grande di una catastrofe, non so, il mio cuore… io sono un sacerdote, e sento che devo avvicinarmi! (…) So che la consolazione che potrebbe dare una parola mia non è un rimedio, non restituisce la vita a quelli che sono morti; ma la vicinanza umana in questi momenti ci dà forza”.

Il papa ha anche commentato che qualcuno gli ha suggerito di togliere il nastro giallo, perché il pontefice dovrebbe essere imparziale. “Con il dolore umano non si può essere neutrali”, ha dichiarato.

La verità è che Gesù non è mai stato neutrale di fronte alla sofferenza, e men che meno indifferente. Neanche la Chiesa può esserlo. L’aspetto più bello e profondo della sua storia ha a che vedere con la sua enorme parzialità di fronte al dolore, così come ai peccati dei suoi figli davanti alla tentazione dell’indifferenza.

E non si tratta di cercare vescovi clonati a immagine di Francesco, né chierici e laici che provano a sorridere. Sarebbe deplorevole e attenterebbe contro la diversità di carismi nella Chiesa. Ciascuno è con ciò che Dio gli ha dato e dove lo ha collocato.

L’importante è sintonizzare lo sguardo sul Nazareno, un cosa che dobbiamo reimparare ogni giorno nella preghiera. Quello sguardo riconoscibile con la semplice ragione, la cui forza di attrazione è irresistibile.

Durante l’intervista, che i giornalisti hanno concentrato particolarmente sulla persona del papa, è risultato anche chiaro che Francesco si riconosce come portatore di un messaggio che non gli appartiene e che riempie di allegria quanti lo ricevono.

Alla domanda relativa alla sua crescente popolarità, ha risposto con un senso dell’umorismo molto gesuita e cristiano: “Interiormente, cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli, per non illudermi, perché io so che questo durerà poco tempo, due o tre anni, e poi… alla casa del Padre”.

Alcuni giornalisti occidentali, “affezionati” al malumore, non lo hanno capito e hanno affermato solennemente che al papa resta poco tempo da vivere. Che scoperta, per un uomo di 78 anni! La sua popolarità, ha aggiunto, è vissuta nella gratitudine a Dio, perché egli si riconosce, come vescovo, pastore che Dio usa per “manifestare tante cose”.

Con la sua testimonianza, Francesco mostra due virtù necessarie per annunciare il Vangelo nella cultura dello scarto: non si può essere neutrali davanti al dolore e per fare ciò è bene non prendersi molto sul serio.

Il saggio Chesterton diceva: “Gli angeli possono volare perché non prendono niente sul serio”.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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