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I cattolici adorano le immagini?

A Protestant Defense of Mary’s Perpetual Virginity – it

Raymond Brown

Padre Henry Vargas Holguín - Aleteia - pubblicato il 04/09/14

Si sente dire a volte che i cattolici rendono culto alle immagini e per questo commettono idolatria. È vero?

Perché noi cattolici abbiamo immagini di ciò che adoriamo, ovvero Dio? Da dove è nata l’idea?
(Noemí F.Q., da Facebook)

L’uso di immagini e quadri religiosi, soprattutto in chiese e case, è stato ed è molto diffuso fin da tempi immemorabili. Il tema delle immagini sacre è in genere piuttosto polemico, e nel rapporto della Chiesa con quanti pretendono di seguire Cristo al di fuori di essa è un ostacolo, perché queste persone, tra molti altri errori, credono che nella Chiesa adoriamo le immagini, ma non è affatto così. Per spiegare il tema, ripercorriamo la storia sacra. Iniziamo col dire che nell’Antico Testamento era severamente proibito il culto a qualsiasi tipo di immagini o rappresentazioni plastiche della divinità.

Il primo comandamento del Decalogo lo afferma chiaramente: “Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna… Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso…” (Es 20, 3-5). È quindi proibito ogni tipo di immagini che si presentino come divinità. Il comandamento inizia dicendo “Non avrai altri dei di fronte a me”, o, detto in altre parole, “Non ti farai idolo”, ma malgrado questo divieto tanto chiaro, subito dopo aver promesso di rispettare la legge il popolo si fabbrica un vitello d’oro e lo adora come Dio: “Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto” (Es 32,8). Dio metteva in guardia proprio contro questo. Questo peccato di idolatria è il motivo per il quale Dio decide di distruggere il popolo. Solo l’intercessione di Mosè riesce a far sì che Dio si impetosisca e lo perdoni (Es 1-14). E Dio ha avvertito gli israeliti anche delle immagini che potevano trovare tra i popoli pagani: “Darai alle fiamme le sculture dei loro dei; non bramerai e non prenderai per te il loro argento e oro che è su di quelle” (Dt 7,25).

Naturalmente questo divieto rimane in vigore nel Nuovo Testamento con la stessa intenzione o lo stesso obiettivo. La Bibbia mostra che anche i cristiani hanno evitato l’uso di immagini che potessero essere oggetto di adorazione. Nel suo discorso ad Atene, San Paolo dice: “Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana” (At 17, 29). San Giovanni aggiunge: “Figlioli, guardatevi dai falsi dei!” (1 Gv 5,21). Anche nella Chiesa delle origini era chiaro che l’adorazione si doveva rendere solo a Dio. Per questo, nell’Impero romano molti cristiani sono stati martirizzati per non voler adorare gli idoli.

Teniamo anche conto, però, del fatto che gli idoli non sono necessariamente sculture o immagini, perché ci sono anche idoli immateriali, insospettati e molto assorbenti nei quali ci rifugiamo e che cerchiamo per riporvi la nostra sicurezza. Sono idoli che teniamo ben nascosti: l’ambizione, il piacere del successo, la tendenza a stare al di sopra degli altri, l’uso sbagliato della sessualità, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato al quale siamo legati e molto altro. In ogni caso, gli idoli ci allontanano da Dio, ci distraggono nel nostro autentico obiettivo di vita: la salvezza.

Qual è il motivo del divieto nell’Antico Testamento?

La vera ragione di questo divieto è che Dio è l’unico Dio. Non si rassegna ad essere, ad esempio, il primo tra gli dei, ma è l’unico Dio. Di conseguenza, gli dei o idoli non sono nulla. Isaia ridicolizza gli idoli e quanti li adorano (Is 44, 9-20).

Era proibito rappresentare Dio con immagini perché le persone non pensassero che Dio aveva la forma di una creatura o fosse un oggetto. In fondo il comandamento guarda al bene del popolo, tutto perché il popolo non si condannasse adorando qualcosa di sbagliato. Ciò vuol dire che quello che non si accetta è ricorrere a oggetti materiali e riporre in essi la piena fiducia che dobbiamo al Dio unico, vivo e vero. Dio non è un essere materiale, ma una realtà spirituale. Per questo il popolo non può adorare nemmeno rappresentazioni materiali del vero Dio, perché corre il pericolo di confondere il vero Dio con l’immagine che lo rappresenta, arrivando a credere che si tratti di un Dio materiale.

E perché sono esistite ed esisteranno le immagini?

Ciò che molti non sanno è che come esiste un divieto di fare immagini (e sappiamo già perché), c’è anche un permesso di fare immagini. Teniamo conto del fatto che il divieto si riferisce direttamente all’adorazione delle immagini, non al semplice fatto di farle perché servano solo come segno della presenza di Dio. In questo senso, Dio ordina di fare cose, oggetti o immagini. Come nel caso dell’Arca dell’alleanza con i suoi cherubini d’oro e con il propiziatorio anch’esso di oro puro (Es 25, 10-22), elementi che non meritano onori divini, perché non si può rendere loro culto come se si trattasse di Dio.

Il popolo, però, aveva e ha bisogno anche di questi segni sensibili. Dio ha ordinato di costruirla come segno della sua presenza in mezzo al popolo. Si accorre all’Arca di Dio per pregare perché è segno della sua presenza (Gs 7,6), e prova di tutto ciò è anche nel fatto che la stessa tenda dell’incontro è stata costruita per ordine divino ed era piena di immagini, e le aveva anche lo stesso Tempio di Gerusalemme. È chiaro che queste non violavano il divieto imposto da Dio.

Un altro esempio? La costruzione del serpente di bronzo che Dio ordina a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita” (Num 21, 6-9). Naturalmente, non è che questo serpente bronzeo avesse qualche virtù speciale che lo potesse elevare al rango di divinità. Ricorrere ad esso era un atto di fede e di fiducia nella Parola che Dio aveva rivolto. Quando in seguito il popolo, allontanandosi da questa intenzione, gli rende culto, Ezechia lo fa distruggere (2 Re 18, 4).

I testi della Bibbia che proibiscono di fare immagini sono per i protagonisti dell’Antico Testamento per il pericolo che avevano di cadere nell’idolatria come i popoli vicini, che adoravano gli idoli come se fossero dei. I testi del Nuovo Testamento che parlano degli idoli si riferiscono ad autentici idoli adorati dai pagani, non a semplici immagini. Per questo il II Concilio Ecumenico di Nicea dell’anno 787 ha giustificato il culto delle immagini sacre (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2131).

Il Dio dell’Antico Testamento non aveva corpo, era invisibile. Non si poteva rappresentare con immagini. Ma da quando Dio si è rivelato in forma umana, Cristo si è fatto “immagine del Dio invisibile”, come dice San Paolo (Col 1,15); e sì, lo hanno visto e lo hanno toccato. Ciò significa che nel Nuovo Testamento, il permesso di immagini che rappresentino la divinità assume un carattere nuovo per il fatto dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Dio continua ad essere puramente spirituale, ma è rimasto intimamente unito a una natura umana, che è materiale. Per questa ragione, è logico che lo rappresentiamo per rendergli culto (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1159ss, 2129ss). La rappresentazione di immagini di Cristo è del tutto lecita, visto che è la rappresentazione di qualcuno che è realmente Dio. Il culto che rendiamo a Gesù guardando una sua immagine è quindi di adorazione non della materialità dell’immagine, ma della Persona Divina che in essa è rappresentata. E guardando, ad esemp
io, l’immagine di Cristo crocifisso, ricordiamo quando ha sofferto per noi e ci sentiamo spinti ad amarlo di più e a confidare di più in Lui.

In qualunque caso, il cristiano sa che l’immagine, anche se è di Cristo, non è la divinità, e quindi non rende culto a quella materialità. Un’immagine rappresenta il Figlio di Dio, o altre persone intimamente legate a lui; per questo sarà lecito rappresentare la Madonna e i santi. L’immagine è semplicemente una rappresentazione e un ricordo di quelle persone; quando si prega davanti a un’immagine non si sta rendendo culto all’oggetto, non si sta parlando alla materialità dell’immagine, ma rendendo culto a Dio (culto di Latria), o a Maria (culto di Iperdulia) o ai santi (culto di dulia). Dice il Concilio II di Nicea del 787 (Sessione 7ª, 302), il settimo ecumenico contro gli iconoclasti, "L’onore reso ad un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato" (Denzinger, pag. 155).

Nella Chiesa veneriamo i santi perché meritano il nostro rispetto, la nostra ammirazione e la nostra gratitudine. Grazie alle loro immagini, li ricordiamo e allo stesso tempo ci riportano alla mente verità religiosa di grande profitto spirituale e ci dicono qualcosa collegato alla loro vita. Ad esempio, grazie alle immagini ricordiamo chi era il santo (vescovo, laico, religioso…), quali virtù ha praticato maggiormente (purezza, povertà, obbedienza…), cosa lo ha reso santo (martirio, studio, la missione…). Allo stesso modo, guardando un’immagine della Madre di Dio ci viene in mente che in cielo abbiamo una madre immacolata che ci ama, intercede per noi e ci chiede di condurre una vita santa.

Quando guardiamo un’immagine delle anime benedette del Purgatorio, ricordiamo la realtà del purgatorio e questo ci spinge a pregare per i defunti. Le immagini sono come avere in casa il ritratto dei genitori per guardarlo e baciarlo con rispetto. Si capisce che non si bacia la foto, ma i genitori che sono lontani o sono già nell’eternità. Nei libri ci sono ritratti di grandi personaggi perché i lettori li conoscano e, se sono stati buoni, li ammirino e li imitino. E questo non sembra sbagliato a nessuno.

Anche negli edifici pubblici e nelle piazze ci sono statue di grandi eroi alle quali vengono collocate corone di fiori, e questo va bene. Chi lo critica? Nessuno, neanche i protestanti. Come nemmeno noi diciamo a tutte quelle persone che “adorano” immagini, perché sappiamo che ciò che fanno è rendere omaggio e/o ricordare con grande rispetto quelle persone degne di ammirazione.

I santi, attraverso le loro immagini, non si adorano, si venerano. L’adorazione è riservata solo a Dio. Venerare è riconoscere il valore che ha per me qualcuno o qualcosa, per cui merita il mio rispetto. Noi veneriamo i nostri genitori e la nostra patria, ma non per questo li adoriamo. Adoriamo solo Dio.

Un protestante una volta mi ha detto: “Ma inginocchiarsi davanti alle immagini è adorazione”. È un altro degli errori dei protestanti, che pensano di poter guardare dentro le persone e accusarle di idolatria avanzando un giudizio azzardato basato solo sulle apparenze. Anche i più umili nel profondo del loro cuore sanno che un’immagine sacra o religiosa non è un Dio né il santo. Credo che quando guarda un’immagine, anche un bambino privo di grande conoscenza religiosa capisca che un’immagine è solo questo, non è Dio o il santo che rappresenta.

Bisogna ricordare che il gesto di inginocchiarsi ha un significato diverso in base all’intenzione con cui si fa. Quando lo facciamo davanti a un’immagine lo facciamo come atto di venerazione verso chi viene rappresentato dall’immagine. Quando gli anziani di Israele si prostravano davanti all’Arca dell’alleanza non si prostravano davanti a una cassa di legno, ma davanti a Dio. Succede lo stesso quando preghiamo davanti al tabernacolo: non preghiamo una cassa o un oggetto metallico, ma il Signore, presente nel sacramento dell’Eucaristia.

Esternamente potrebbe sembrare che un gesto di venerazione di un’immagine sia simile a quello di un pagano idolatra che adora l’immagine in sé, ma c’è una differenza sostanziale. Quale? È nell’intenzione del cuore di chi lo fa, e in come considera il significato dell’immagine. Accade lo stesso che con il gesto della genuflessione che fanno le signore ben educate ai re; è un rispetto richiesto dal protocollo. Nessuna di quelle signore, com’è logico, pretende di adorare i re. Si deve comprendere una volta per tutte che per noi le immagini non hanno lo stesso significato che avevano per i pagani. Noi non adoriamo le immagini, e sappiamo perfettamente che sono solo rappresentazioni, di Cristo o dei suoi santi. Siamo allora d’accordo sul fatto che non bisogna estrapolare il testo dal contesto (cosa tipica dei protestanti). Ciò che si proibisce, lo ripeto, non è la fabbricazione di immagini, ma la loro adorazione. Un’altra prova del fatto che il primo comandamento di Dio non si riferisce a qualsiasi tipo di immagini, neanche religiose, è il fatto che lì si usa la parola ebraica pesel, che significa idolo. Nella stessa lingua esistono parole per riferirsi a un altro tipo di immagini non idolatriche, a immagini decorative o rappresentative, parole che non figurano nel primo comandamento. Se un’immagine non è un idolo (un’immagine che sia considerata come un Dio in sé), non rappresenta alcun problema e i nostri templi possono esserne pieni come il tempio di Salomone, che dopo essere stato ricostruito è stato visitato da Gesù senza che Egli obiettasse assolutamente alla presenza di immagini.

Ci sono altri due gesti dei fedeli molto belli: baciare le reliquie dei santi e toccare le immagini. Cosa fanno i fedeli? Stanno esprimendo amore nei confronti di coloro che sono nostri intercessori e uno stimolo nella nostra vita cristiana. È un modo per voler avere un contatto grato con quel santo; essendo quelle immagini benedette da Dio, in qualche modo qualcosa di quella benedizione può passare attraverso di esse. Sicuramente si tratta di una fede semplice, come quella di coloro che cercavano di guarire toccando i fazzoletti di San Paolo (At 19,12) o come il noto caso dell’emorroissa che è guarita toccando il mantello di Gesù (Mc 5,26-31). Pensate che quelle persone credessero di essere guarite da fazzoletti e mantelli? Non ricordate che Gesù parla della fede come di un granello di senape (Mt 17,20)?

Un protestante una volta mi ha detto: “Se la Chiesa togliesse tutte le immagini dai templi, potrei considerare la possibilità di tornare alla comunione con lei”. Non crediamo che questa sia la soluzione ai problemi che abbiamo con le sette. Non distruggeremo tutte le immagini solo perché qualche protestante ha interpretato erroneamente l’insegnamento della Chiesa o l’atteggiamento di un buon credente. La soluzione del problema è catechizzare perché si arrivi alla maturità della fede.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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