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Chi non accetta il sacrificio di Gesù si salva ugualmente?

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Toscana Oggi - pubblicato il 04/09/14

In che relazione stanno la fede e le opere?

Nella Bibbia, sopratutto nei quattro vangeli e nella Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, si legge che Gesù mentre si trovava a tavola con i dodici apostoli in un primo tempo prese il pane e lo spezzò e in un secondo tempo fece uguale col vino quale segno del suo corpo e del suo sangue versato per noi in remissione dei nostri peccati, poiché ogni volta che mangiamo del suo pane e beviamo il suo sangue siamo stati salvati non tanto per merito delle nostre opere ma per la «Grazia» di Gesù, continua ancora San Paolo. Nell’epistola di San Giacomo si leggono queste parole: «la fede senza le opere è morta a se stessa». Per dire che la fede deve essere e le opere devono viaggiare alla pari. La nostra salvezza sta nell’accettare Gesù come Signore e Salvatore e successivamente arrivano le opere. La mia domanda è questa: chi non accetta il sacrificio di Gesù e non lo riconosce come Signore e Salvatore si salva oppure viene condannato esattamente come dice il Vangelo di Giovanni quando Gesù dialoga col Dottore della Legge Nicodemo (Capitolo 3, Versetti 1-31)?

Marco Giraldi

Per fortuna stabilire chi si salva e chi si danna spetta a Dio solo. Gesù lo dice espressamente: non sono venuto né a giudicare, né a condannare ma per dare la salvezza e la vita, in particolare nei confronti dei peccatori. A maggior ragione noi non possiamo fare giudizi né di condanna né di salvezza, ma solo cercar di capire quali delle azioni di una persona siano buone o cattive. L’uomo è un soggetto etico e quando agisce fa sempre o il bene o il male, che poi quell’uomo andrà all’inferno o in paradiso questo è tutto un altro discorso che rientra nel rapporto tra Dio e quella persona. Perciò dormiamo sonni tranquilli: non spetta a noi giudicare, ma solo voler bene al nostro prossimo. Sottolineo questo aspetto perché è talmente raro che uno (e in particolare proprio tra coloro che si dicono cristianoni) non giudichi il prossimo su questo punto che viene da pensare che Dio abbia delegato tanti suoi fedeli per il giudizio universale.

Tuttavia, come dice il lettore, Gesù ci ha lasciato regole e norme che ci permettono di distinguere un agire buono da un agire cattivo. E di questo ne dobbiamo con lucidità avere cognizione, perché la «condanna» prima che ci venga da Dio, ce la facciamo da soli quando da Lui ci allontaniamo. Infatti se Gesù è venuto per darci la vita e la salvezza, queste ce le dà subito, non dobbiamo aspettare a morire, e la vita che ci promette si attua subito al momento che mettiamo in atto le sue norme. Per esempio se uno riuscisse a amare il prossimo suo e Dio come se stesso: subito è nella vita eterna; così se sa perdonare, essere mite, essere povero: subito è nella vita eterna, non deve aspettare a morire, ma subito deve sentire il beneficio della «vita data in abbondanza» (Gv10,10). Altrimenti si fa di Gesù un millantatore, perché nessuno è venuto indietro dalla morte per dirci come si sta dopo. E di contrappunto vediamo, in genere, che chi fa il male non è che viva bene e sia molto contento, quasi a indicare che è entrato da se stesso nella zona della non-vita.

Che cosa significa essere salvato e in che relazione stanno la fede e le opere? M. Lutero ritiene che il Cristo o ci salva o no. Se la sua incarnazione, che noi accettiamo col battesimo, ci salva, siamo salvi e basta. Le opere, ossia il dopo, ha poco senso, perché se dopo essere stati salvati, spettasse ancora a noi, alle nostre opere, decidere la salvezza o no, allora il Cristo sarebbe servito a poco, solo a dare lo spunto. Così secondo Lutero la salvezza è totale e una volta salvati lo siamo sempre, basta rimanere fedeli a questa fede. La Chiesa Cattolica invece ritiene che il Cristo ci salvi col battesimo (come i protestanti), ma pur essendo «cristiani-salvati» l’uomo è sempre, finché vive, libero di conservarsi nella salvezza seguendo i comandi di Gesù, oppure rinunciare e allontanarsi dalla salvezza. Si pensi alla parabola del figliol prodigo. E questo per una diversa concezione antropologica dell’uomo. Perciò è vero che una volta battezzati i cristiani entrano nella casa di Dio, cioè sono immediatamente salvi, ma finché vivono sulla terra possono «uscirne» perché sono soggetti liberi di aderire o no all’opera divina. È evidente perciò il ruolo che hanno le «opere» – come dice la Lettera di S. Giacomo -, perché Dio non costringe il cristiano a rimanere nel paradiso, nella salvezza, ma una volta che lo ha sottratto al male e lo ha fatto suo figlio (battesimo), comunque l’uomo può decidere di rinunciare e di opporsi a questo atto d’amore gratuito e libero di Dio nei confronti della sua creatura. E quindi se ci sono opere che allontanano da Dio, di conseguenza ci saranno opere che mantengono la comunione con Dio, con buona pace di Lutero.

Questo è comprensibile per esempio nell’agire angelico, Dio aveva fatto gli angeli spiriti buoni, ma proprio perché l’angelo è un soggetto libero ha potuto dire no a Dio e diventare demonio. Così ogni qual volta che noi pecchiamo confermiamo che ci sono delle azioni che sono contrapposte alla salvezza, e per contrario le opere opposte a queste sono le opere che ci conservano in comunione con Dio. Giustamente S. Giacomo dice che una fede senza una compartecipazione all’opera di Dio è morta. Il paradiso, la salvezza, insomma non è un luogo «morto» dove non si fa niente come statue, ma è una centrale atomica di amore, e l’amore è sempre cura e opera amorosa verso l’altro, ora quando Dio ci salva o ci redime, ci porta a vivere nel nòcciolo o forno atomico del suo Amore. Stando lì dentro, dice S.Giacomo, se ci assentiamo e non viviamo di quell’amore è come starci dentro da morti, per questo il «salvato» non può vivere come una statua, ma deve mettere in opera questo amore che lo ha rivitalizzato e lo riempie. Da qui nascono e si definiscono le opere cristiane che devono scaturire dalla fede, e non possono non esserci, altrimenti essa è dentro di noi come in una tomba. Invece di farla vivere la tappiamo dentro la bara del nostro io, come dice Gesù nella parabola dei talenti: quello che ne ebbe uno lo nascose dentro se stesso e lo fece morire.

Riassumendo, a noi spetta far vivere la grazia, la salvezza, la redenzione che Dio, tramite l’opera di Cristo, ha attuato in noi. Chi segue gli insegnamenti di Gesù è nel cammino della vita, e queste sono le opere buone che scaturiscono da una fede viva; chi rifiuta la salvezza e vive in opposizione agli insegnamenti di Gesù è nel cammino della perdizione, perché pratica opere che vanno contro la fede. Poi quanto al giudizio dopo la morte di chi si salva e chi si danna… beh, questo lasciamolo a Dio, che ne sa più e meglio di noi.

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