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Famiglie e sociale, la nuova mission degli oratori

Oratorio Estivo

© Sabrina Fusco

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 03/09/14

Il Responsabile della Pastorale Giovanile Don Michele Falabretti: ecco come è cambiata nel tempo la funzione di questi luoghi

In Italia gli oratori vedono aumentare le presenze, insieme alle attività, e sono sempre più attenti alle nuove sfide educative. A due anni dalla prima edizione, torna l'«Happening» nazionale degli oratori H2O: animatori e responsabili si incontreranno dal 4 al 7 settembre ad Assisi per confrontare esperienze e immaginare nuovi percorsi per il futuro. Dopo l'edizione di Brescia e Bergamo nel 2012, sarà la città di San Francesco ad accogliere i responsabili dei circa 7 mila oratori italiani che ogni anno accolgono quasi 2 milioni di ragazzi con circa 300 mila animatori (Avvenire, 2 settembre).

Numeri che testimoniano come gli oratori siano un fenomeno senza tempo e in evoluzione. «L'oratorio è nato come un servizio all'educazione cristiana legato a due grossi temi: il catechismo e il gioco – spiega ad AleteiaDon Michele Falabretti, responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile – tant'è che i due luoghi principali dell'oratorio erano il campetto di calcio e le stanze dove si svolgeva la catechesi. Poi c'è stato un ampliamento di tali luoghi. Si è aggiunto il cinema, la sala comunità. Si sono potenziati gli spazi di aggregazione».

Negli ultimi anni, segnati da cambiamenti socio-economici molto marcati, come è evoluta la funzione dell'oratorio?
«Possiamo dire che l'oratorio oggi intercetta due richieste. La prima è sicuramente quella di integrarsi con il territorio».

Si spieghi.
«In oratorio convergono spesso richieste, bisogni che provengono dal territorio, dalla gente. E la struttura deve rispondere ad esse. Ecco perché sono nati laboratori per il dopo scuola, di musica, teatro, attività di integrazione con tutte le altre agenzie educative sul territorio, in particolare scuola e associazioni. Ormai l'oratorio non è più legato solo ai servizi religiosi. E poi c'è il tema degli stranieri, che ormai in questo luogo trovano un importante livello di integrazione con i ragazzi originari del posto».

Invece qual è la seconda "sfida" a cui alludeva?
«L'altro grosso capitolo è il dialogo con la famiglia e la comunità cristiana. L'oratorio è sempre più un luogo aggregativo che si affianca alla famiglia. E' una sorta di spalla per essa. Nel senso che la famiglia trova in esso un punto di riferimento sicuro. Spesso i genitori sono impegnati per lavoro, e i sanno che i loro figli dell'adolescenti possono contare su questo luogo di aggregazione. Diciamo che l'oratorio allevia la fatica della famiglia».

Gli adulti, invece, sono completamente esclusi dalle attività dell'oratorio?
«Assolutamente no. Insieme alla famiglia, anche la comunità cristiana lo considera ormai come un punto di riferimento. L'oratorio non è più solo la casa di ragazzi e giovani, ma anche una casa per gli adulti che si ritrovano nelle sale per preparare momenti di spettacolo, preghiera. Insomma c'è un'apertura a trecentosessanta gradi verso ogni spaccato della società».

Ma lei non teme che i social network stiano iniziando ad essere pericolosi concorrenti dell'oratorio?
«No, perché non lo sostituiscono».

In che senso.
«La rete, il mondo digitale è un luogo abitato dai ragazzi e sappiamo bene che dobbiamo fare i conti con questa realtà. Internet non è il lupo cattivo che mostra cose brutte ai ragazzi. Lo strumento in sé, è potente, affascinante, però non è in "guerra" con gli oratori. Tramite l'oratorio si intessono relazioni tra i ragazzi molto diverse da quelle del mondo virtuale, altrettanto affascinanti. E' normale che io fissi lo sguardo sugli schermi di uno smart phone, ma anche negli occhi di un'altra persona. E' l'oratorio ha questa seconda "funzione"».

Di questi tempi non rischia neppure di diventare un luogo di aggregazione a basso costo?
«E perché dovrebbe?».

"C'è la crisi economica, non ho soldi, l'oratorio è gratis e allora porto lì mio figlio perché altrove c'è un costo". Magari un genitore potrebbe ragionare in questo modo.
«Lei dice una frase che si ripeteva già vent'anni fa quando io sono diventato prete. "Ci sfruttano perché siamo una sorta di parcheggio a basso costo". Ma a me non interessa perché i genitori portano in oratorio i ragazzi. Io sono un prete, un educatore, sono una persona responsabile perché mi sono stati affidati dei ragazzi, non un pacchetto di caramelle. Se c'è stato un atto di fiducia, io non penso ad indagare, ma gioco al meglio l'opportunità educativa. Per me è una sfida e voglio vincerla senza pensare al resto».

In termini di numeri, c'è uno studio che stabilisce con certezza il trend di presenze negli oratori negli ultimi decenni?
«In realtà non è stato mai stato realizzato un censimento. Però tengo a sottolineare che l'oratorio, come sua caratteristica di base, è un luogo sempre aperto, non è un attività commerciale, e pertanto noi non stiamo lì con il pallottoliere in mano a segnare le presenze quotidiane. L'impressione generale è che sicuramente non c'è stato un calo, ma è cambiato il tipo di ragazzi che lo frequentano. Vent'anni ci venivano solo i ragazzi che credevano in esso. C'era un forte senso di appartenenza, una specie di esclusiva».

Un legame viscerale, insomma.
«Si ragionava in questi termini: "quello è il mio mondo, la mia casa e sto bene lì". Inoltre erano avvertite delle contrapposizioni del tipo: "noi siamo l'oratorio, voi siete il gruppo della piazza, voi altri quelli del centro sportivo, ecc…".

Oggi non si avvertono più queste distinzioni?
«I ragazzi sono cambiati moltissimi. Hanno tante appartenenze ma nessuna fissa. Magari vengono in oratorio, ma poi vanno anche in palestra, in discoteca, al pub, al centro commerciale. E vivono la loro quotidianità senza contraddizioni».

Gli effetti della società "liquida".
«Ecco, definirei proprio un legame liquido quello esistente oggi tra i ragazzi e l'oratorio, meno fidelizzato che in passato».

Ne risente anche la fede degli adolescenti?
«Mi pone una domanda che necessita di una risposta molto complessa. Posso dire che il rapporto di questi ragazzi con la fede è molto laborioso, fatto di momenti in cui vengono affascinati positivamente da essa, e altri in cui si lasciano un pò andare. Ne sono colpiti e affascinati per un verso, ma quando diventa una pratica quotidiana, tendono a "mollare"».

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