In scena al Meeting di Rimini lo spettacolo che ricostruisce la vita dell’evangelista “ragioniere”: la storia di un Santo apostolo calata nella realtà attualedi Federica Barzi
Settanta volte sette, undicesima ora, novantanove pecore, il seme che dà il trenta, il sessanta e il cento, cinque pani e due pesci per cinquemila uomini, il centuplo quaggiù: numeri. Numeri per contare quel che non si può contare e che si può a malapena raccontare. Questo è quello ci racconterà lo spettacolo teatrale sulla storia di San Matteo intitolato “Matteo, ragioniere di Dio. L’uomo che non aveva messo in conto di scrivere il primo Vangelo”, regia di Otello Cenci. L’opera andrà in scena domani sera presso il Teatro Novelli alle 21.30. Incuriositi dall’invito proposto da Andrea Carabelli sul canale YouTube del Meeting, abbiamo contattato l’attore.
Curioso questo riferimento ai numeri. Perché e cosa ci racconterà San Matteo domani sera?
Il riferimento ai numeri deriva dal fatto che l’autore dei testi, Giampiero Pizzol, ha deciso di rendere la figura di Matteo attuale. Oggi Matteo si potrebbe accostare alla figura del ragioniere, inteso come il contabile che dalla mattina alla sera ha in testa i numeri. Avere in testa i numeri vuol dire concepire la realtà in modo molto razionale. Tutto deve essere quantificabile con numeri precisi, tutto ha un ordine precostituito. L’autore si immagina una persona buona, onesta, normale che fa il suo dovere: ma poi ecco che l’incontro con Gesù genera in Matteo uno scombussolamento. Gli dice semplicemente “seguimi”: tutto lo spettacolo è centrato sul capire perché un uomo così razionale come Matteo Lo ha seguito.
Qual è il messaggio che volete trasmettere al pubblico?
L’occasione di presentare questo spettacolo al pubblico del Meeting può diventare un trampolino di lancio per condividere con gli spettatori quella possibilità di incontro di cui ci parla l’apostolo. Non c’è da dar nulla per scontato: neanche per il pubblico del Meeting. Anche a me stesso, come attore e interprete, auguro che possa accadere questo incontro. Non è detto che, per parlare della vita di un santo, un regista debba parlare di un uomo astratto, con l’aureola e la veste bianca, lontano dalla nostra vita. Ecco perché questo spettacolo è una sfida: “ci si è chiesti che uomo sarebbe se vivesse oggi?”. Se facesse una vita come la nostra, Matteo oggi svolgerebbe la professione più comune che esiste, quella di un ragioniere, il mestiere più normale che noi possiamo oggi immaginare. Vedere che anche la vita di uomo normale possa essere la vita di un santo è per me affascinante e spero possa essere il motivo per coinvolgere gli spettatori.
Uno spettacolo che consiglierebbe anche ai più giovani?
L’autore del testo teatrale ha voluto calare il personaggio di Matteo dentro una realtà contemporanea, che vive in un certo modo, per veicolare in modo più efficace il messaggio dell’apostolo a un pubblico attuale. Così, il tipo di conversazione che il protagonista instaura con gli spettatori è una conversazione che cerca la quotidianità. Questo coinvolge soprattutto i giovani che più di tutti hanno la necessità di sentire vivo qualcosa che accade ora.