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Amparito e «la forza dell’accoglienza» in Ecuador

amparito ecuador

© Meeting Rimini

Quotidiano Meeting - pubblicato il 27/08/14

I volontari Avsi la aiutano senza compatirla e ora lei lavora con loro

di Victorita Bonarelli

«Avevo deciso di lasciarmi morire dopo che mio figlio è morto, poi è arrivato il Signore attraverso Stefania e io ho ricominciato a vivere». Ha le lacrime agli occhi Amparito Espinoza, collaboratrice ecuadoregna di Avsi. Dieci anni fa, un anno dopo la morte del figlioletto Antony, Amparito aveva supplicato Gesù di avere risposta alle infinite domande sul senso di quello che aveva vissuto. Ed ecco: una telefonata, una proposta di lavoro e un incontro con Stefania Famlonga (volontaria Avsi in Ecuador) che ricorda così in un’intervista rilasciata a Tracce: «Aveva il sorriso più dolce e lo sguardo più limpido che avessi mai visto. Mi sono subito resa conto che non le facevo pena: semplicemente, mi accoglieva. Così, nel novembre del 2004, ho iniziato a lavorare lì».

Incomincia dunque così la missione di Amparito: guardare alla gente di Pisullì (quartiere povero della capitale Quito) nel modo in cui era stata guardata lei. Grazie a questi occhi nuovi si accorge che la città, apparentemente definita da violenza, alcol, povertà, consiste di altro. Spiega: «Quando tu accogli una persona, la abbracci, questa si accorge di avere un’altra dignità, non vuole più esser picchiata, essere maltrattata, ma desidera essere amata. Comincia così un cammino diverso con quello che si ha intorno. I problemi, anche con questo sguardo, rimangono ma cambia il tipo di rapporto. Così, anche dentro quei drammi, generi».

Come venire però incontro alle esigenze contingenti degli abitanti di Pisullì? «C’è un pescatore in riva al mare. Tu vorresti subito il pesce e glielo chiedi ma lui non te lo vuol dare. Ti prende però per mano e ti insegna a pescare». Amparito fa una pausa e sorride. Non basta distribuire sussidi, rispondere ai bisogni primari: il segreto perché ogni uomo possa reggersi da sé è che apprenda da qualcuno un metodo. Un metodo per fare le piccole e le grandi cose, un metodo per stare al mondo insieme, un modo di condividere un cammino con le persone che ti sono date e ti permettono di guardare in alto.

Pensando a questi volti, Amparito ricorda con affetto la figlia Amanda: «Io ho una figlia di 21 anni e ora devo imparare a essere mamma da una donna. Qualcuno a cui non devo più dire che cosa fare ma una compagna di cammino, una persona che il Signore mi ha dato e dalla quale devo imparare. Il lavoro per me è questo: i miei compagni di lavoro sono per me come Amanda, mia figlia, qualcuno che mi è stato dato per camminare con me. Di questo io ringrazio anche se a volte non è facile. Devi guardarti intorno e chiederti come fare: bisogna continuare a rispondere alle domande che ci vengono fatte senza avere la pretesa di avere sempre una risposta ma con la certezza di indicare un punto dove guardare per crescere insieme».

Amparito sa bene a chi guardare: «Venendo qui, in aeroporto, ho sentito fortissimo l’abbraccio di Gesù attraverso la figura di don Giussani». In Olanda, infatti, facendo scalo tra un volo e l’altro per Rimini, si era accorta che nella borsa mancavano portafoglio e passaporto. Le autorità non le avevano lasciato speranze: impossibile ritrovarli. La paura era tanta ma mai la disperazione: «Stefania e io ci siamo raccolte in preghiera e abbiamo ripetuto due volte la preghiera alla Madonna imparata da don Giussani, Veni Sancte Spiritus, Veni per Mariam. Ci siamo recate al bancone. Tra gli oggetti persi c’era anche il mio documento». La sua domanda ha avuto subito risposta, l’abbraccio è stato immediato al puntoche anche il responsabile dell’ufficio oggetti smarriti era commosso.

«L’abbraccio di Gesù che ci segue ovunque siamo», anche nelle piccole cose. Nello stand della mostra dell’Avsi, Amparito si guarda attorno e confessa stupore e gioia. «Il Meeting per me è uno scambio di cultura dei popoli in cui uno rompe gli schemi prestabiliti; è lo strumento che il Signore usa per svelare il Suo abbraccio al nostro nulla perché noi possiamo guardare, come ci ha detto Carròn nella visita che ha fatto l’anno passato a Pisullì, non il tronco secco ma il germoglio».

Il Meeting le ha fatto venire in mente il lavoro di quest’anno: «Non tanto a quello che ho fatto io con le altre persone, ma ciò che il Signore ha fatto con me». Ripensa anche al cammino di questi dieci anni a partire dal dramma che l’aveva messa in ginocchio: «Ho scoperto che quando i bambini muoiono molto piccoli volano direttamente tra le schiere degli angeli perché non hanno avuto il tempo di contaminarsi quaggiù. Loro però, come mio figlio Antony, sono stati inviati qui con una missione, quella di accompagnarti per tutta la vita e far sì che tu guardi quel punto che è l’origine della tua esistenza. Sono proprio l’esercito d’amore che Gesù ha. Ora sono contenta. Ho chiaro che la morte è la porta che ti permette di arrivare a contemplare il Signore».

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