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Parrocchia che vai…

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Roberto Beretta - Vinonuovo.it - pubblicato il 26/08/14

Non sarebbe male se il primo Consiglio pastorale dopo le vacanze fosse dedicato a raccontarsi le chiese delle nostre vacanze

L’anno scorso, più o meno di questi tempi, scrivevo una riflessione sul volto molteplice e variegato delle Chiese delle nostre vacanze, ovvero sulle comunità locali che incontriamo durante l’estate. Al rientro delle ferie 2014 vorrei proseguire sullo stesso solco, con qualche altro pensiero dettato dalle mie esperienze di ascolto di omelie domenicali – esperienze senz’altro parziali e limitate, ma penso condivisibili da parecchi.

Parrocchia cittadina del Sud: prendendo spunto dal piccolo inciso «mentre tutti dormivano» nel Vangelo della zizzania, che specifica come mai «il nemico» abbia potuto seminare l’erba cattiva nel campo, il celebrante (anni tra i 60 e i 70) si sente di specificare allo scarso uditorio che «dormivano» anche i cristiani che nel 1974 persero il referendum sul divorzio (sic!), pensando che «era giusto lasciare agli altri la libertà di fare quello che loro non avrebbero mai fatto; e invece adesso lo fanno tutti!», e prosegue stigmatizzando le famiglie che permettono ai figli/ie di fare le vacanze da soli/e con i fidanzati/e. A parte che per esperienza personale so bene che nel 1974 un 32% di cattolici non dormì affatto, fu anzi assai attivo ma venne ugualmente e democraticamente sconfitto, che cosa c’entri tutto questo col messaggio dell’attesa di giustizia del brano di Matteo proprio non saprei.

Parrocchia contadina del Nord: il sacerdote, più o meno coetaneo del precedente (l’età media dei preti italiani è ormai quella…), attira l’attenzione dei fedeli mettendo in relazione la comunità di beni descritta negli Atti degli Apostoli con un episodio occorsogli durante una lontana esperienza missionaria in Kenya, allorché vide i poverissimi cristiani locali portare davvero all’offertorio della messa parte dei pochi generi alimentari che possedevano, cibo che poi venne davvero distribuito agli indigenti. Una storia molto semplice e nemmeno calcata, ma utile per indicare la fattibilità concreta – anche oggi, anche qui – della proposta evangelica.

Dunque ambedue i sacerdoti hanno giocato la carta dell’«attualizzazione» (del resto cavallo di battaglia dell’omiletica post-conciliare…), ma uno guardando in modo nostalgico e sterile al passato, l’altro proponendo con garbo una via aperta. Tutt’e due hanno fatto riferimento alla propria storia di cristiani e di preti: il primo con evidente pessimismo, il secondo con più fiducia nei suoi ascoltatori.

Due le mie riflessioni post-vacanziere. Anzitutto è molto bello che i sacerdoti si lascino così personalmente coinvolgere dall’annuncio cristiano, tanto da metterlo in relazione con la propria vita – e di riflesso con quella dei loro fedeli; i preti italiani evidentemente si sentono ancora liberi di giocare la loro individualità nel ministero. D’altra parte, tuttavia, non si può fare a meno di notare il lato opposto della medaglia, ovvero quanto ancora l’indirizzo, la profondità di fede, la carica di speranza, insomma la crescita spirituale delle nostre parrocchie dipendano dal sacerdote che le guida e le istruisce; e tale «pretocentrismo», se privo di alternative concrete e strumenti complementari di auto-formazione, si rivela assai pericoloso perché rischia di generare un panorama di triste pochezza in troppe Chiese locali, soprattutto oggi che il clero è meno numeroso per offrire possibilità di scelta ai fedeli insoddisfatti.

«Meno male che la mia parrocchia non è così!», ci diciamo spesso rientrando dalle messe delle ferie. Ma qualche volta il commento silenzioso che ci affiora alla mente è esattamente il contrario: «Perché la mia parrocchia non è così?». Non sarebbe perciò male che il primo Consiglio pastorale dopo le vacanze fosse dedicato a raccontarsi queste esperienze, positive e negative, per prenderne spunto o evitare errori. Ma c’è spazio per uno scambio del genere nelle «pretocentriche» (e molto individualiste) parrocchie italiane?

Qui l’originale

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