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I cristiani in Iraq: non ci resta che emigrare

Christians in Iraq fleeing ISIS – they are now refugees with no place to go 06 – it

© Allen kakony

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 26/08/14

I profughi si sentono soli e abbandonati alla furia dei fanatici islamici

Abbandonati dalle istituzioni, sofferenti e delusi. Peggiora di giorno in giorno la situazione dei cristiani in Iraq, da settimane in balia delle orde ‘barbariche’ dei fanatici jihadisti del Califfato Islamico. La gran parte, come racconta un reportage del “Corriere della Sera” (26 agosto), è rifugiato ad Erbil, in una ventina di centri di accoglienza, gli altri invece sono scappati in abitazioni di amici e parenti, mentre la piana di Ninive resta una distesa di villaggi fantasma, orfana di 200mila persone fatte sfollare dagli islamici.  

PRONTI AD EMIGRARE – Questa gente teme che lo stallo permarrà a lungo, ed è ben consapevole che il ritorno a casa è una chimera. Ormai aumenta di giorno in giorno il numero di cristiani che prepara la  ‘seconda fuga’, o meglio un viaggio di sola andata dall’Iraq, magari verso l’Europa per costruirsi una nuova vita. «Vogliamo un visto per  l’Europa. Basta arabi, basta Islam! Ci uccidono, prendono le nostre  donne, rubano le nostre case. Qui non vogliamo più stare», è il leitmotiv più ascoltato tra i profughi di Erbil. 

COME I PALESTINESI –  Il Corriere riporta la testimonianza emblematica di uno studente che ha dovuto interrompere i corsi alla Facoltà di storia dell’Università di Mosul e che azzarda un parallelo: «Siamo diventati come i palestinesi al tempo della guerra del 1948. Persero contro il nascente Stato di Israele anche perché le loro classi alte e gli intellettuali scapparono all’estero. Così per noi. Sono già  emigrati i nostri medici, gli ingegneri, i benestanti, insomma la classe dirigente. Qui restano i più poveri, i meno scolarizzati». Suor Rama Stefu, una domenicana di 52 anni sentenzia al cronista: «I cristiani si sentono traditi. Accusano le forze militari curde di essere scappate troppo velocemente di fronte all’offensiva nemica, nonostante la promessa che ci avrebbero difeso sino alla morte. Hanno poi sperato in un’apertura dei visti verso l’Europa. Ma sino ad ora meno di 500 sono partiti, per lo più per Francia, Germania e  Turchia».

LIBERI DI FUGGIRE – L’arcivescovo di Erbil, mons. Bashar Warda, ha dato praticamente la ‘benedizione’ alla fuga di Massa verso l’Europa: «E’ vero che in passato abbiamo cercato di tenere i nostri  fedeli in Iraq – ha detto al Corriere – Siamo una delle comunità cristiane più antiche al mondo, non è strano che la sua Chiesa lavori per preservarla. Ma oggi non è più così. Ognuno è libero di fare ciò che preferisce. Non sta a noi chiedere i visti per l’estero,  eppure comprendiamo le ragioni di chi parte. A coloro che restano faremo di tutto per facilitare l’esistenza nei centri di accoglienza, nella speranza che possano tornare presto alle loro case».  

SOLIDARIETÀ INTERRELIGIOSA – Tra i musulmani, come scrive l’Osservatore Romano (22 agosto), c’e’ anche una fetta di persone che ragiona in direzione opposta rispetto ai fanatici jihadisti e sta aiutando concretamente i cristiani scappati da Ninive. Oltre alla guerra, «nel nord dell’Iraq c’è anche una grande solidarietà interreligiosa», afferma monsignor Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo di Kerkūk dei Caldei. Il presule riferisce di episodi concreti di generosità  avvenuti sia nella Mosul occupata dai combattenti sunniti dello Stato  islamico sia nelle altre città storicamente multietniche e  multiconfessionali del nord dell’Iraq. 

IN AIUTO AI PROFUGHI – Ad As- Sulaymaniyah, ha dichiarato il presule all’agenzia Misna, «vivono anche cinquanta persone in una stessa casa perché tante famiglie, musulmane e cristiane, hanno aperto le porte a chi fuggiva dalla  violenza». Sorprendenti storie di solidarietà si registrano anche a Mosul, capoluogo del governatorato di Ninive, la città più importante tra quelle cadute nelle mani dello Stato islamico. «Alcune famiglie musulmane – racconta l’arcivescovo, che di Mosul è originario –  acquistano cibo, aiutano e nascondono cristiani; lo fanno in modo clandestino, perché se fossero scoperti rischierebbero la vita».

IL DRAMMA DEGLI YAZIDI – E’ gravissima invece la situazione della minoranza yazida. La Repubblica (26 agosto) è riuscita a parlare con Baba sheikh, gran pontefice degli yazidi, che ha manifestato profonda rassegnazione per le sofferenze del suo popolo. «Mai prima d’ora siamo stati vittime di una tale violenza – ha detto -. Mai prima d’ora avevano tagliato le teste dei nostri uomini e rapito le nostre ragazze per stuprarle e venderle come schiave. Chiedo perciò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione per proteggerci dall’odio islamista».

 APPELLO A BERGOGLIO – Il gran pontefice ha chiesto aiuto a Papa Francesco: «Il cardinale Filoni mi ha assicurato  che racconterà a Papa Francesco, e anche ai membri del governo italiano, le nostre sofferenze. Chiediamo solo un posto protetto, dove poter vivere in pace». Ma senza l’aiuto della Comunità internazionale, è l’amara riflessione, «il mio popolo sarà costretto a emigrare all’estero ed è verosimile che tra pochi anni di noi, della nostra cultura e della nostra religione non rimarrà più nulla».

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