Cosicché viene amaramente da chiedersi se egli vuole salvare la faccia (propria) o la vita di quegli innocenti. Qual è infatti il modo per “fermare” una banda di assassini crudeli senza usare le armi? Cosa propone papa Bergoglio per “fermare” quei carnefici? Un tressette col morto? Un thè [ sic!] con monsignor Galantino?
Sarcasticamente, invece, viene da chiedersi: ma come, il tè col Segretario della CEI! Ma non gli era “antipatica” la Chiesa italiana? Ma non c’è bisogno di amarezze ulteriori, a leggere gli argomenti sconnessi del già lucido intellettuale senese. E giù, Socci, a citare (con la sua “continuità a senso unico”) il domenicano spagnolo Francisco de Vitoria, e a richiamarlo dal cuore del XVI secolo senza usarci però la bontà di citarne anche solo uno stralcio. Ma non c’è bisogno, perché le citazioni arrivano, e sono (o sarebbero) ben più autorevoli di quelle di un teologo perso nella “Spagna di spada e di croce”: contro le elusive dichiarazioni bergogliane vengono branditi nientemeno che il Discorso all’ONU di Benedetto XVI e la Evangelium Vitaedi Giovanni Paolo II. È vero che il “de bello iusto” è stato un caso scolastico ampiamente eviscerato (è il caso di dirlo) per secoli e secoli nelle facoltà teologiche, cattoliche e non. È pure vero che, se il rimprovero mosso a Papa Francesco era quello di non aver usato l’espressione “guerra giusta”, esso cadrebbe nel vuoto. O peggio, perché neanche Benedetto XVI, nell’occasione in cui ha ricordato “il principio della ‘responsabilità di proteggere’” (bellamente appulcrato da Socci nel proprio pezzo), ha mai usato l’espressione “guerra giusta”. Ha però usato la parola “guerra”:
Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace 5.
Non solo, dunque, una Weltanschauung “saldamente ancorata alla dimensione religiosa” porterebbe – secondo Benedetto XVI – a resistere alla guerra e a promuovere la giustizia e la pace, ma gli organismi sovranazionali aiuterebbero – sempre secondo Benedetto XVI – a scongiurare il rischio che gli interessi di “singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni” conducano a “conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona”.
Con Giovanni Paolo II gli è andata persino peggio, a Socci, in quanto oltre ad affermare il principio della legittima difesa come “grave dovere per chi è responsabile per la vita degli altri”6, e anzi ben prima di arrivare a questo (al n. 27), il Papa aveva dichiarato:
Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell’opinione pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti efficaci ma «non violenti» per bloccare l’aggressore armato. Nel medesimo orizzonte si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di «legittima difesa» sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi 7.