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Forme di esoterismo come l’archeosofia si possono conciliare col cristianesimo?

Archeosofia e cristianesimo

© Public Domain

Toscana Oggi - pubblicato il 19/08/14

Cosa rischiano i cattolici che frequentano questo movimento o altri simili?

Di recente nella ex cappella del Seminario di Massa è stata allestita una mostra di icone organizzata dalla locale associazione archeosofica. Da quel che so l’archeosofia è «una forma di esoterismo cristiano che attinge il suo insegnamento, oltre che da tradizioni occulte dell’occidente anche dal tantrismo indiano». Si può conciliare  allora il cristianesimo con l’archeosofia? Cosa rischiano i cattolici che frequentano questo movimento o altri simili?

Riccardo Stucchi

Risponde padre Athos Turchi, docente di Filosofia alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale.

La società Archeosofica, di cui parla il lettore, fu fondata nel 1968 da T. Palamidessi, nato a Pisa nel 1915 e morto a Roma nel 1983. Palamidessi fu uno spirito curioso, eccentrico, portato a primeggiare. Interessato fin dall’inizio all’astrologia rivolse poi la sua attenzione alle cose occulte, esoteriche, paranormali, e quanto delle religioni scivola su queste cose, come stregonerie, magie, evocazioni e rapporti col soprannaturale: fu una specie di Rasputin di casa nostra. Tentò una forma di pensiero sincretista cercando di conciliare elementi culturali, filosofici o religiosi eterogenei appartenenti a quante più culture o dottrine o religioni riuscì a conoscere. Tra queste c’era anche il cristianesimo che ha inserito forse perché essendo in Italia ci sta sempre bene, come se fosse stato in India avrebbe messo l’induismo, e così in Arabia si sarebbe detto islamico.

La «dottrina» che propone è la più disparata accozzaglia di idee, credenze, esperienze, intenzioni e desideri che possiamo immaginare che varia delle teorie divine, filosofiche, scientifiche giù giù a cascata fino alla dieta, alle cure per malattie varie e a forme di meditazioni estemporaee, riprese da ogni tipo di cultura incontrata. Insomma una teoria o dottrina tutt’altro che cristiana, contraria allo «spirito di Rivelazione» del cristianesimo, in netta opposizione con la fede in Cristo unico salvatore. Il cristianesimo è fede nella Verità, che in greco si dice «Alètheia» ossia dis-velamento, non-occultamento, e quindi evidenza, apertura e chiarezza esattamente il contrario di questa dottrina tantrica, esoterica, occultistica. Perché allora la dicitura «cristiana archeosofia»? è evidente perché ci sta bene e da noi attrae sempre senza mettersi contro nessuno. Ma basta sfogliare i quasi 50 punti della dottrina «Archeosofica» per capire che siamo in mondo non solo lontano da Cristo, ma anche dalla semplice ragione umana.

A che scopo tutto ciò? Sicuramente il Palamidessi appagava così uno spirito vivace, estroso, stravagante, e forse gli permetteva anche una vita interessante e per lui di affermazione e di eccellenza.

Ma i suoi eredi che cosa vi cercano? Interessi particolari ed economici? O il semplice appagamento di quella sottile tentazione di dominare con arti occulte la vita di altri? O di soddisfare quella interiore ebbrezza che deriva dall’incerto, dal misterioso, dall’oscuro, dall’arcano che contrasta la vita razionale quotidiana? Difficile scendere nell’animo umano quando lascia la via chiara, solare e razionale per scendere nel buio dei torbidi.

Certamente tali sette dottrinali approfittano dell’ingenuità della gente più semplice, delle persone in difficoltà sia economica che di salute, e di quelle tante persone che pur non credendo in niente (come dicono) tuttavia sono altamente superstiziose, reagiscono cioè all’idea che forze oscure muovano e manovrino i destini della persone.

Ma veniamo alla domanda del lettore: è prudente ed è di buon senso fare in un seminario (sia pure in una cappella non più usata per le celebrazioni) una esposizione di icone religiose cristiane prodotte dalla bottega della Archeosofia? L’icona secondo la tradizione della Chiesa Ortodossa è l’immagine che rivela la grazia, la bellezza, la santità del mondo divino, e la può dipingere solo colui che è esperto nella preghiera, santo nella vita, in comunione con Dio. Da un punto di vista Ortodosso le icone religiose che escono dalla bottega archeosofica sono il prodotto di ambiente contrario al mondo di Dio, della religione, della fede cristiana.

Ma nell’area «Cattolica» del cristianesimo sembriamo più tolleranti. In fin dei conti, sembrano voler dire nel seminario di Massa, anche se provengono da un luogo non esattamente santo e cristiano, purché siano immagini della Madonna, del Cristo, dei Santi della fede cristiana, va bene lo stesso, un po’ come dice S. Paolo ai Filippesi «Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato» (1,18). Nel cattolicesimo il solco di separazione tra bene e male, vero e falso, valido e non valido, si è talmente assottigliato che non distinguiamo più tra agnelli, capre, lupi, pecore… purché abbiano il pelo tutto vabbene. Ma certamente qualche riflessione questo andazzo ce la deve sollevare. È possibile che da un miscredente e da un eterodosso escano immagini capaci di disvelare santità e spiritualità come da un sant’uomo, da un Beato Angelico? È possibile che quello che vede e sente una pia persona siano le medesime cose che animano un empio in senso religioso? Siamo sicuri che un belato di un agnello sia uguale a un belato di un finto agnello?

Certamente a ciascuno le sue conclusioni. Però a mio avviso bisogna stare attenti che con la scusa che «di Cristo purché se ne parli tutto vabbene e tutto è lecito» non si cada nell’accettare un qualunquismo di fede dove basta mettere la parola Cristo e tutto è permesso, perché altrimenti anch
e un assiduo bestemmiatore diventa uno che annuncia Dio, un grande predicatore di Cristo sebbene a modo suo, diciamo così.

Perciò io non scinderei il prodotto dal produttore, e lascerei che ciascuno mostri i suoi prodotti negli ambienti dove vengono fatti affinché siano sinceri e leali disvelatori di ciò che vogliono dire, come un manto di agnello è bene che si veda nell’ovile e non nella tana del lupo.

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