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Come ha potuto Gesù sopportare la violenza e la disperazione?

Jesus and the good thief (Jésus et le bon larron – Gesù e il buon ladrone) – it

Asaf Braverman / Flickr CC

<h1 class="photo-title" id="title_div"><span style="font-size:12px;">Jesus Christ and the Good Thief En (Tiziano Vecellio e aiuti, 1563, Pinacoteca Nationale, Bologna)</span></h1>

Rafael Luciani - Aleteia - pubblicato il 12/08/14

La chiave: una profonda relazione con Dio e un autentico servizio alle vittime di questo mondo

di Rafael Luciani

A volte dimentichiamo come Gesù abbia potuto sopportare situazioni cariche di violenza e disperazione che sembravano non avere futuro. Ha sentito il peso di una realtà socio-economicamente fratturata e ha subito le conseguenze della violenza religiosa e politica (Mc 14,1), ma non ha mai smesso di credere che doveva rendere questa terra come il cielo (Mt 6,10) per godere della qualità di vita esistente nel “Regno di Dio” (Lc 11,2). Risulterà sorprendente, ma questa speranza simbolica proveniva da una profonda relazione con Dio e da un autentico servizio ai poveri, alle vittime e a tante persone stanche di lottare in questa vita.

Mentre rappresentanti politici e religiosi, famiglie, proprietari terrieri e molte persone di potere ponevano solo carichi pesanti da portare, questo individuo di Nazareth viene a invitare ad assumerci come uomini e donne di spirito, ovvero come soggetti che puntano a costruire spazi perché altri possano essere presenti nei loro pensieri, preghiere, azioni; viene a invitarci perché l’esaurimento, l’angoscia e l’estenuazione che consumano la nostra volontà e la nostra comprensione non siano ostacoli per scoprire che chi è davanti a noi è un fratello, un autentico tesoro, un bene del Padreterno.

Solo in questo modo, ci dice, sorgerà quell’impulso vitale che solleverà i nostri vasi di creta (2 Cor 4,7), la disperazione, e permetterà di intravedere un futuro in cui inizieremo a umanizzarci nell’incontro con l’altro partendo dal servizio fraterno, reciproco, perché ogni persona possa mettere i suoi beni più preziosi a favore della causa dell’altro. Allora quello che era un peso non peserà più, perché non lo porteremo da soli ma nel servizio e nel sostegno reciproci, di modo che penseremo, pregheremo e cercheremo soluzioni insieme, come fratelli, e smetteremo di trattarci come nemici o sconosciuti.

Fare le cose come le ha fatte Gesù non è una cosa esclusiva dei cristiani. La sua opzione di vita è patrimonio di tutti e il suo stile è paradigma di umanità perché ci fa conoscere il modo più umano di essere, qualcosa che non si raggiunge mediante il vuoto assoluto del proprio essere, con il superamento di pensieri negativi o distanziandosi da presunti peccatori. Non ci si arriva nemmeno attraverso l’illusa convinzione di trascendere l’immediato e non guardare ciò che accade intorno a noi.

Una vita che segue l’esempio di Gesù passa per l’assumere il presente storico come una realtà escatologica, ovvero capace di costruire relazioni trascendenti che ci affermino e autodeterminino come soggetti realmente umani; passa per la ricreazione delle nostre parole e relazioni includendo in esse ciò che vivo, penso e soffro, in modo tale da capire che la mia libertà si gioca nel volto di quel ciascuno-altro davanti a me, con i suoi dolori e i suoi limiti, con le sue ricchezze e potenzialità, con la sua salute o malattia, perché è innanzitutto mio fratello.

Puoi dialogare con Rafael Luciani: rlteologiahoy@gmail.com, @rafluciani

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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