Quanti missionari restano vittima di malattie contagiose incurabili e non fanno notizia?di Manuel Bru
Il fatto che l’unico spagnolo contagiato dall’ebola sia un missionario – non sarò il primo a sottolinearlo – non è una casualità. Quando noi europei ci rechiamo in alcuni Paesi africani, in genere non condividiamo le condizioni di vita della gente del posto. E molto raramente viaggiamo con un biglietto di sola andata. Non è però il caso dei missionari, perché la loro dedizione alle missioni è per la vita, è per sempre. Un’altra cosa è come i loro superiori li cambino di missione nel corso della loro vita nel contesto delle missioni al plurale, ovvero della missione della Chiesa nel suo insieme.
I missionari, oltre ad andare in Africa senza biglietto di ritorno, vanno nei luoghi peggiori del continente, i più poveri, i più isolati e pericolosi, quelli che hanno più bisogno di solidarietà. E i missionari, in questi luoghi, non svolgono solo missioni isolate e protette, ma vivono tra la gente, nelle loro case e condividendo le stesse condizioni di vita. Per questo vanno lì, per condividere umilmente con loro il destino della loro vita e per condividere umilmente il senso stesso della vita.
Miguel Pajares, unico spagnolo contagiato dall’ebola, missionario destinato alla Sierra Leone, non è un’eccezione. Aveva irrimediabilmente tutte le carte in regola per rimanere vittima del contagio, che non è dovuto ad alcuna imprudenza da parte sua, ma al rischio inseparabile dal suo stato di missione. I fratelli di San Giovanni di Dio già avevano previsto, per via della sua età, il suo ritorno in Spagna, anche se non avevano mai immaginato che sarebbe arrivato nelle condizioni in cui è arrivato, avvolto in una capsula plastica di isolamento e con tutti i mezzi di comunicazione in attesa.
Alla fine del XIX secolo, con il “boom” missionario vissuto dalla Chiesa (creazione di Propaganda Fide, nascita di centinaia di ordini religiosi missionari…), su ogni dieci missionari che andavano in Africa, sette morivano pochi mesi dopo contagiati da malattie sconosciute alle quali gli europei non erano immuni. Nonostante questo, erano in continuo aumento le vocazioni missionarie, e le congregazioni non cessavano di inviare missionari in Africa.
Quando sono stato alcuni anni fa in Angola con Aiuto alla Chiesa che Soffre, ho condiviso la vita con i missionari salesiani (anch’essi spagnoli) destinati lì. Vivevano con e come gli abitanti delle loro missioni, ed erano la porta della massima speranza della gioventù angolana. Alcuni di loro, dopo anni di vita in missione, e pur prendendo le massime precauzioni, hanno contratto la malaria. Quanti missionari, giovani e anziani, restano vittima di malattie contagiose incurabili e non fanno notizia neppure sul giornale del loro paesino!
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]