“In Defense of Christians” si batte per aiutare i cristiani perseguitati
Se gli eventi recenti in Iraq hanno aumentato la consapevolezza delle sofferenze dei cristiani mediorientali, questa persecuzione non è certo nuova, ed è più diffusa di quanto pensano molti. Mentre i cristiani di tutto il mondo postano il segno del “nun” (la prima lettera di Nasara, un termine arabo per “cristiano”) sui loro profili Facebook e pregano per la pace, gli stessi cristiani mediorientali stanno agendo. Mentre i loro fratelli e le loro sorelle subiscono vari livelli di discriminazione e persecuzione, inclusa la morte, i cristiani della diaspora si stanno riunendo per chiedere cambiamenti politici a un livello nazionale unificato.
Il giornalista John Allen riferisce che in tutto il mondo in ogni anno dell’ultimo decennio sono stati uccisi 100.000 cristiani. “Ciò significa undici cristiani all’ora, ogni giorno, negli ultimi dieci anni”, spiega nel suo ultimo libro The Global War on Christians. La violenza contro i cristiani dura da un bel po’, ma finora ha ricevuto pochissima attenzione da parte dei media o della politica.
In occasione del National Catholic Prayer breakfast dell’aprile 2012, l’arcivescovo Francis Chullikatt ha chiesto un aiuto concreto per i cristiani mediorientali. Quando papa Benedetto XVI ha visitato il Libano, ha ribadito questa richiesta.
Se molti cristiani mediorientali che ora vivono negli Stati Uniti hanno aiutato i loro parenti o lavorano come comunità o denominazione per aumentare la consapevolezza sul problema, poco è stato fatto a livello nazionale per incoraggiare i politici americani a intraprendere le azioni dovute.
La cristiana armeno-egiziana nata in America Simone Rizkallah ha spiegato che i cristiani mediorientali che arrivano negli Stati Uniti spesso non sono consapevoli delle opportunità di influenzare la politica pubblica in una società democratica. “I cristiani mediorientali devono capire che qualcosa può cambiare”, ha dichiarato.
Andrew Doran, direttore esecutivo del gruppo non-profit “In Defense of Christians” (IDC), sottolinea che anche gli americani mediorientali di seconda e terza generazione hanno la possibilità di fare la differenza per la loro famiglia e i loro amici rimasti nella regione. Aumentare la consapevolezza che potrebbe portare a un cambiamento nella politica estera americana circa i cristiani mediorientali è l’obiettivo di un Summit che verrà convocato dall’IDC a Washington, D.C., a settembre.
Il Summit riunirà cristiani mediorientali di varie tradizioni di fede di tutti gli Stati Uniti, aumenterà la consapevolezza sulla terribile situazione dei cristiani in Medio Oriente e permetterà ai partecipanti di incontrare membri della Camera dei Rappresentanti e del Senato degli Stati Uniti.
La difesa della libertà religiosa è la prima priorità dell’IDC. Quando gli Stati Uniti inviano aiuti alle Nazioni mediorientali, è raro che questi siano condizionati dall’assicurazione che la libertà religiosa verrà difesa.
Doran ha offerto un esempio raccontando che durante una visita recente ai cristiani assiri in Iraq c’era una “profonda frustrazione per il fatto che i militari statunitensi non avessero fatto nulla per proteggere una comunità indifesa che veniva presa di mira dagli estremisti, frustrazione per il fatto che il Governo statunitense non abbia fornito aiuti e abbia perfino deportato gli assiri che erano andati in America in cerca di asilo”.
Per Doran i cristiani mediorientali stanno mandando il messaggio “Meglio tardi che mai”.
Doran spera che con l’unità tra i cristiani arriverà una maggiore consapevolezza tra gli immigrati mediorientali e i cittadini statunitensi in generale: “Il popolo americano deve essere solidale con questi cristiani e chiedere che le politiche del Governo statunitense siano coerenti con i valori del suo popolo. Ciò significa preservare le comunità cristiane della regione”.