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Quale preghiera posso recitare accanto ad un morente?

The Prayer – it

Mattias Karlsson / Flickr CC

padre Angelo Bellon, o.p. - Amici Domenicani - pubblicato il 08/08/14

Se si recita la corona della Divina misericordia, gli viene concessa la Misericordia infinita?

Quesito

Caro Padre Angelo,
la ringrazio sentitamente per il suo servizio, importantissimo per la nostra crescita spirituale; ringrazio il Signore per avermi dato l’opportunità di scoprirlo.
Il quesito riguarda il mio lavoro di psicologa nell’ambito delle cure palliative (Hospice).
Quotidianamente incontro persone molto gravi, in prossimità della morte; nelle condizioni in cui si trovano, per ovvi motivi, non posso esercitare  la mia professione nel senso "classico" del termine. Ho dovuto rivisitare completamente il mio modo di vivere il lavoro. Mi è capitato a volte di recitare una preghiera insieme all’ammalato e ho notato che questo gesto  procura molto sollievo, anche nei casi in cui le persone, quando erano ancora in grado di sostenere un colloquio, nel parlare di varie cose, si dichiaravano non praticanti, o non interessate alla preghiera; noto che recitare un’Ave Maria accanto ad un paziente soporoso ha un effetto benefico, è come se percepissi che l’altro necessita di questo alimento e ne richiede ancora.

Il mio quesito è il seguente:
– esiste una preghiera elettiva da recitare insieme  ad un ammalato prossimo alla morte?
– Gesù ha detto che recitando la corona della Divina misericordia accanto ad un morente viene a lui concessa la Misericordia infinita; questo avviene anche se la corona viene recitata quando la persona è già deceduta (nelle ore successive), oppure nelle ore che precedono il decesso, ma non in diretta presenza del morente (ad esempio a casa mia)?
– Inoltre mi chiedo sempre come pormi di fronte ai colleghi medici, infermieri, assistenti. Noto che c’è una grande chiusura su questi argomenti, il primario si fa addirittura scrupoli nel chiamare il Cappellano per l’estrema unzione.

Per ora il mio pregare con/per l’ammalato, è un fatto privato, tra me e l’ammalato. Pochi minuti fa sono andata in camera mortuaria per recitare alcune preghiere accanto ad una persona deceduta la scorsa notte; mentre ero accanto al letto sono entrate due infermiere sorprese nel vedermi lì in quel momento. Lì per lì non sapevo come motivare la mia presenza e ho detto un pò timidamente (del resto questo fa anche parte della mia personalità) che mi ero recata in quel luogo con l’intento di incontrare i parenti, poi quando ho visto una delle due che faceva il segno della croce ho detto che stavo dicendo una preghiera per la signora deceduta. Ora mi sta venendo in mente che avrei potuto invitarle a recitare insieme una preghiera. E’ un peccato non averlo fatto? Secondo lei sto peccando a mantenere questo come un fatto privato?

Ad una infermiera con cui sono entrata maggiormente in relazione rispetto agli altri ho regalato un piccolo libricino di preghiere accompagnando questo gesto con l’invito a recitare qualche preghiera insieme per i "nostri" ammalati. Sulle prime sembrava d’accordo poi di fatto questo non è mai avvenuto. Non so se ho reso l’idea del problema che mi attanaglia e per il quale sono tanto in pena, faccio tuttavia fatica a spiegarlo.

Mi scuso se mi sono dilungata e la saluto ringraziandola per il suo buon cuore.


Risposta del sacerdote

Carissima,
1. sono contento della tua sorpresa sul valore della preghiera accanto all’ammalato e soprattutto accanto al morente. Certamente la psicologia serve per conoscere meglio i pazienti e anche i loro parenti. Certamente serve anche per tante altre cose. Ma il valore della preghiera è insostituibile. Non si tratta infatti semplicemente di proferire qualche formula, ma di portare la presenza di Dio e della Madonna accanto a noi, anzi, dentro di noi.

2. Mi è capitato meno di una settimana fa di essere stato chiamato al capezzale di un morente. Da quattro giorni era sedato, non parlava più, non apriva gli occhi, non muoveva un arto. Era sera e mi avevano detto che non avrebbe passato la notte. Un parente venne a dirmi che gli avrei fatto piacere se fossi andato a dare una benedizione. Ebbene durante la benedizione (recitavo la benedizione di San Vincenzo Ferreri che non è proprio brevissima)  ha aperto gli occhi, cosa che non aveva più fatto da quattro giorni, per richiuderli subito dopo. Io non me ne sono accorto perché stavo leggendo la formula e il passo evangelico. Me l’hanno riferito subito i parenti, stupiti e meravigliati. Allora ho detto: “Recitiamo alcune preghiere”. Abbiamo detto un Padre nostro, un Ave Maria, un gloria al Padre e un Angelo di Dio.  Poi rivolgendomi al morente, gli ho detto: “Adesso le do il perdono dei peccati” e ho recitato la formula di assoluzione. Questa volta al termine dell’assoluzione il morente non solo ha aperto gli occhi per più di qualche qualche secondo, ma ha innalzato il braccio fino alla fronte per farsi il segno della croce. Puoi immaginarti lo stupore e la consolazione. Sembrava che non aspettasse altro. Questo significa che sentiva tutto, anche se era incapace di interloquire.

3. Ma un altro motivo, più squisitamente teologico, mi fa ricordare il valore della preghiera presso un morente. Dice il Concilio di Trento: “Il nostro clementissimo Redentore, il quale volle che fosse sempre provveduto ai suoi servi con rimedi salutari contro tutti gli assalti di tutti i nemici, come ha disposto gli aiuti efficaci negli altri sacramenti con cui i cristiani mentre vivono possono garantirsi contro i più gravi mali spirituali, così col sacramento dell’estrema Unzione ha voluto munire la fine della vita con una fortissima difesa. Quantunque, infatti, il nostro avversario cerchi ed afferri ogni occasione per divorare le nostre anime in qualsiasi modo in tutta la vita (cf 1Pt 5,8), non vi è tempo, però, in cui egli impieghi con maggiore veemenza tutta la sua astuzia per perderci completamente e allontanarci anche, se possibile, dalla fiducia della divina misericordia, di quando egli vede che è imminente la fine della vita” (DS 1694). Allora si vede bene come la preghiera sia utile al capezzale di un malato grave e tanto più al capezzale di un moribondo per portargli quella quiete che il comune avversario cerca di portar via. Come vedi, non c’è solo il sollievo psicologico, ma qualcosa d’altro che opera in maggiore profondità. Il sollievo psicologico ne è una manifestazione.

4. Venendo adesso alle tue esplicite domande: Se esiste una preghiera apposita da recitare insieme  ad un ammalato prossimo alla morte? Non c’è di meglio in assoluto che recitare la preghiera insegnataci da Gesù, il Padre nostro, che non si recita mai – dice san Tommaso – senza riceverne qualche beneficio. Poi c’è l’Ave Maria.  Fu chiesto a Santa Teresa d’Avila ch
e dal paradiso era apparsa ad una monaca se avrebbe desiderato tornare un attimo sulla terra. Ebbene, la Santa rispose che avrebbe desiderato tornare solo per poter acquisire i meriti che guadagnano recitando un Ave Maria.  Inoltre in questa preghiera vi è esplicita la menzione della morte: “Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”. Del Gloria al Padre si è da sempre conosciuto la potenza di questa preghiera nell’allontanare i demoni.

5. Circa la coroncina della Divina misericordia: sappiamo quanto il Signore per mezzo di Santa Faustina Kowalska l’abbia raccomandata accanto ad un morente. Se la persona è appena deceduta, persuasi che l’anima non si distacca subito dal corpo con l’ultimo battito cardiaco, si può recitare come supplica anche appena esalato l’ultimo respiro. Se invece sono passate alcune ore, la si può recitare in suffragio, ma non più per interporre la presenza del Signore come mediatore di salvezza, perché ormai il giudizio dlel’anima è guà avvenuto. Se non è possibile la presenza materiale, si può recitare la coroncina anche a distanza dal morente.

6. Il tuo pregare per il malato, dal momento che sei lì come psicologa, dovrebbe rimanere un fatto privato. Nulla vieta però che come qualsiasi altra persona tu possa recitare una preghiera anche con i parenti se vedi che il terreno è ben disposto. Ugualmente visitare i morti nella camera mortuaria, anche solo da un punto di vista psicologico, rimane un atto di vicinanza verso la persona che si è accompagnata. E perché questo atto non sia solo un gesto materiale, puoi accompagnarlo con una preghiera per conto tuo, concluso con un  segno di croce. Non va dimenticato che il segno di croce è il segno trionfale della vittoria di Cristo contro i demoni. Non può che giovare all’anima del defunto. Per questo istintivamente tanti, anche se non sono praticanti, quando compare la bara con il defunto, si segnano col segno della croce. Il sacerdote invece benedice.

Ti ringrazio della testimonianza che ci hai dato e del quesito che mi hai posto.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

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