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Padre Renato Chiera, missionario nell’inferno di Rio

Padre Renato Chiera nell’inferno di Rio

© Casa do Menor

Aleteia - pubblicato il 08/08/14

Sacerdote piemontese, con la sua Casa do menor strappa i ragazzi alla droga e alla delinquenza

Don Renato Chiesa è un prete piemontese di 72 anni che non si è mai rassegnato. Sì perché da ben 36 anni opera nella immensa e disperata periferia della Baixada Fluminense, a due passi dallo stadio del Maracanà a Rio de Janeiro, e porta avanti con spirito indomito la sua battaglia per il riscatto dei ragazzi. Per loro ha istituito, a Miguel Couto, sempre nella periferia di Rio de Janeiro, la Casa do menor: una realtà educativa a servizio dei ragazzi e adolescenti di strada.

“Ero parroco in un posto molto violento della diocesi di Nova Iguaçu – racconta a “Credere” (6 luglio) –. Un adolescente che avevo accolto fu assassinato sulla porta di casa mia. Un altro ragazzo, il cui nome era il primo sulla lista dei 'marcados para morrer' ('destinati all'uccisione' dagli squadroni della morte, ndr), venne a chiedermi aiuto. 'Io non voglio morire e nessuno fa niente'. Mi sono sentito chiamato a entrare, come Gesù, nel dramma di questi figli del Brasile. Così è nata, nel 1986, la Casa do menor, in un garage, con lo scopo di essere la presenza di Dio Padre e Madre per chi non si sente figlio”.

Oggi porta avanti una serie di realtà che hanno riscattato migliaia di bambini dalla strada, dalla prostituzione, dalla violenza, dalla droga e dato un lavoro a quasi 50 mila adolescenti e giovani. Il suo obiettivo è quindi quello di dare una famiglia sostitutiva a chi non ha più la possibilità di vivere nella propria, fornire appoggio alle famiglie povere e sopperire alla carenza di assistenza medico-ospedaliera. Nella Casa do menor – come si legge in “Dall'inferno un grido per amore” (Edizioni Paoline) – infatti operano scuole professionali di meccanica, informatica, elettronica e corsi per diventare cuochi e parrucchiere. Tra loro anche tanti ex ragazzi di strada che lo aiutano.

La Casa do menor porta avanti la sua missione ance in sedi istituzionali:  partecipa infatti al forum municipale e statale delle organizzazioni non riconosciute e al Consiglio di difesa dei diritti dei minori di Rio de Janeiro. 

Don Renato è anche uno dei pochi che osa varcare i confini invisibili che separano la “Cracolandia” dal resto della metropoli, un terra di nessuno, dove i tossici giacciono sui marciapiedi con gli occhi persi nel vuoto. E quando lo fa indossa la veste liturgica, perché vuole che la gente lo riconosca come prete.

“Ho assorbito, come una spugna, tante storie diverse, ma fondamentale uguali – ha detto a 'Credere': storie di abbandono, di violenza, di famiglie spezzate, di povertà e miseria, di mancanza di prospettive. Ho imparato ad ascoltare il grido che si alza da questi inferni, frutto di tante assenze: bisogno di essere figli e di essere amati, bisogno di visibilità e di protagonismo, di essere qualcuno in una società consumistica dove 'sei' solo se 'hai'”.

“Ho ascoltato grida per ritornare al Dio di Gesù Cristo, che è entrato nella tragica storia dell'uomo per riscattarla e divinizzarla – ha sottolineato don Renato –. Questo Dio-uomo ha il volto di ogni essere umano: non si può, allora, credere in Dio senza impegnarsi per la vita dell'uomo”.

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