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Perché un sacerdote deve obbedire al suo vescovo?

Abrazo a obispo – it

© Obispado de Urgel

Padre Henry Vargas Holguín - Aleteia - pubblicato il 07/08/14

Perché devono esserci comunione, fedeltà e un camminare nello stesso senso nella Chiesa, anche se bisogna farlo con criterio e responsabilità

L’essere umano ha sempre preteso o voluto essere l’artefice del suo destino, ha ambito ad essere autonomo nella gestione della sua vita e delle sue responsabilità morali, respingendo qualsiasi intromissione nella sua vita; in fondo questa è stata la risposta o l’atteggiamento di fronte alla grande tentazione che ha dato origine al primo peccato, il peccato originale.

Detto in altri termini, l’essere umano crede di non essere creatura di nessuno e non vuole aspettare la sua salvezza da altri, ma da se stesso. Ma questo è un grande errore.

È un errore per due ragioni: da quando nasce, l’essere umano avrà sempre bisogno dell’accoglienza, dell’aiuto e dell’attenzione degli altri.

L’essere umano, inoltre, nasce, cresce e si sviluppa in un contesto in cui ci sono norme, leggi, condizioni che bisogna rispettare, osservare e compiere; in definitiva, a cui bisogna obbedire se si vuole essere parte integrante e costruttiva di una società e, nel caso del cristiano, della Chiesa.

La vita umana scorre tra l’ordine divino, l’ordine sociale e quello razionale. E da sempre, da quando ci sono uomini e angeli, l’obbedienza è stata contestata, e la redenzione ha avuto questo motivo: ristabilire l’obbedienza.

È per questo che le circostanze del momento attuale obbligano il credente a interrogarsi sul significato e sull’attualità della sua obbedienza a Dio nel contesto ecclesiale; a verificare il senso e il valore di quell’obbedienza della quale è imbevuta la sua fede, quella che si chiama l’obbedienza della fede.

Sia nella società che nella Chiesa c’è un ordine istituzionale in cui, per logica, è la persona e solo questa che deve compiere lo sforzo, mediante l’obbedienza, di adattarsi e assimilarsi a favore di una sana vita e di una sana convivenza.

Tutti dobbiamo obbedire: dal papa all’ultimo battezzato, da un Capo di Stato all’ultimo dei cittadini.

L’obbedienza di Gesù
Nelle Sacre Scritture, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ci sono molti riferimenti all’obbedienza, ma il nostro grande punto di riferimento è l’obbedienza di Gesù.

Il Vangelo racconta come Egli, pur se filialmente sottomesso ai genitori (Lc 2,51), fosse totalmente dedito alle cose di suo Padre. Gesù ha mostrato se stesso come esempio di totale obbedienza al Padre: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Jn 6,38).

Ed Egli, a sua volta, è nelle condizioni di salvare chi gli obbedisce: “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”(Heb 5, 8-9).

L’obbedienza alla fede (Rm 1,5) e l’adesione a Cristo (1 Pt 1,2) sono ciò che salva dalle conseguenze della disobbedienza universale che colpisce l’umanità.

Qualsiasi riflessione sul significato dell’obbedienza, sia nell’ambito umano che in quello cristiano, deve partire dalla Kenosis e dall’obbedienza fino alla morte di Cristo:

il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8).

La Kenosis è quindi lo svuotamento della propria volontà per arrivare ad essere totalmente ricettivi nei confronti della volontà di Dio. Egli ci redime obbedendo (LG 3), e noi riceviamo gli effetti della redenzione obbedendogli.

A Dio che rivela è dovuta « l’obbedienza della fede», con la quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestandogli « il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà »
”(DV 5).

Nella comunità ecclesiale (segno prefigurativo del Regno) si sa già che l’obbedienza, così come l’autorità, che sono funzioni diverse dell’unico Spirito (lo Spirito dell’agape), è al servizio dell’edificazione della Chiesa come corpo di Cristo.

Cos’è l’agape? I primi cristiani hanno impiegato questa espressione greca per riferirsi all’amore di Dio nei confronti dell’essere umano, all’amore speciale per Dio e anche a un amore sacrificato o oblativo che ogni persona doveva provare per gli altri.

L’obbedienza sacerdotale
Come si diceva poco fa, tutti dobbiamo obbedire, e i sacerdoti a maggior ragione. Perché? Perché noi sacerdoti siamo i primi a dover imitare Gesù Cristo povero, casto e obbediente, attraverso i consigli evangelici della povertà, della castità e dell’obbedienza; tra le altre cose, perché il sacerdote è alter Christus, altro Cristo.

Il Concilio Vaticano II, pur senza usare esattamente l’espressione alter Christus, tiene ben presente l’affermazione dell’identificazione del sacerdote con Cristo:

«Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è proprio, tiene il posto di Cristo in persona, fruisce anche di una grazia speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e di tutto il popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di colui del quale è rappresentante, e la debolezza dell’umana natura trova sostegno nella santità di lui, il quale è diventato per noi il pontefice « santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori» (Eb 7,26) (PO, 12)».

Il sacerdote secolare (a differenza del clero regolare) non fa voto di povertà, ma una promessa di obbedienza; l’obbedienza è però di importanza fondamentale per la Chiesa.

Ci si potrebbe immaginare un sacerdozio o un sacerdote in molti modi, modi leciti di vivere e ordinare giuridicamente il ministero sacerdotale, ma ciò che non si immagina è un sacerdozio o un sacerdote senza obbedienza.

All’interno della Chiesa ci sono forze che senza dubbio sono in sé positive ma che abbandonate a se stesse, senza alcun fattore che le incanali o le moderi, finirebbero per trasformarsi in causa di distruzione.

Da ciò deriva il fatto che l’obbedienza non è una possibilità o qualcosa di accessorio o opzionale, ma una grande necessità non solo per questioni organizzative o di coordinamento (motivi molto normali in qualsiasi organizzazione umana), ma perché ci devono essere comunione, fedeltà e un camminare nello stesso senso guardando a Dio e costruendo il suo regno.

Senza obbedienza, la Chiesa salterebbe in aria in mille pezzi per forze che si scontrerebbero (senza essere negative) dal suo interno. Qualsiasi virtù può essere portata al di là del giusto; qualsiasi valore si può tergiversare con buone intenzioni perché ciascuno crede di essere certo di avere tutta la ragione (ciascuno è certo che sia l’altro a sbagliarsi), e da ciò deriva l’importanza dell’autorità e dell’obbedienza.

Ma è chiaro che l’obbedienza bisogna saperla comprendere e mettere in pratica, perché non è mai assoluta; ciò vuol dire che non è al di sopra della testimonianza coraggiosa della verità e dell’obbedienza a Dio nella fede: “Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Atti 5,29).

Bisogna obbedire con criterio e con responsabilità: con criterio perch&ea
cute; Cristo stesso, che ha istituito l’obbedienza nella Chiesa, sapeva che conferendo l’autorità non implicava sempre il retto uso della stessa; ciò significa che esiste la possibilità (anche se molto, molto remota) che chi comanda non lo faccia seguendo la volontà di Dio.

E obbedire con responsabilità, perché se qualche azione fallisce non è per la direzione dell’autorità, ma per l’incompetenza di chi obbedisce. E nella responsabilità si racchiudono altri atteggiamenti, come la diligenza, l’allegria, la corresponsabilità e il mettere in azione carismi e atteggiamenti.

Bisogna ricordare che i sacerdoti devono essere collaboratori della verità (PO 8). Una cosa è chiara: la virtù dell’obbedienza è volontà di Cristo; anzi, Gesù si è fatto obbediente al Padre e ha obbedito fino alla morte.

Sì, il Sacerdote per antonomasia ci ha insegnato questa virtù sacra, perché l’obbedienza fa tutto per amore. Per amore non nei confronti del superiore, ma di Dio.

Come si diceva in precedenza, è la virtù più necessaria e, in fin dei conti, la più difficile da esercitare perché si tratta di sottomettere il proprio giudizio, di essere umili.

Papa Francesco ha ricordato ai sacerdoti la necessità delle “sorelle” povertà, fedeltà e obbedienza per conservare la “gioia del sacerdote” durante l’omelia della Messa Crismale del Giovedì Santo (17 aprile 2014), celebrata nella basilica di San Pietro.

Nel suo intervento, ha parlato della “gioia del sacerdote” e ha spiegato che questa aiuta anche “nei momenti di tristezza”, “quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale”. Momenti che ha passato anche il pontefice, come egli stesso ha rivelato.

Il papa ha spiegato che “la gioia del sacerdote è un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto il popolo fedele di Dio”.

In che momento il sacerdote promette obbedienza?
Il vescovo chiede all’ordinando: “Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e e obbedienza?”, e l’ordinando risponde: “Sì, lo prometto” (dal Rito dell’Ordinazione).

Il diacono che verrà ordinato sacerdote promette obbedienza proprio negli istanti precedenti al rito di ordinazione sacerdotale propriamente detto, ovvero prima del “rito essenziale del sacramento dell’Ordine”, “costituito, per i tre gradi, dall’imposizione delle mani, da parte del Vescovo, sul capo dell’ordinando come pure dalla specifica preghiera consacratoria che domanda a Dio l’effusione dello Spirito Santo e dei suoi doni adatti al ministero per il quale il candidato viene ordinato” (cfr. Pio XII, costituzione apostolica Sacramentum Ordinis, DS 3858) (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1573).

Con l’ordinazione sacerdotale, il sacerdote riceve dal vescovo la potestà sacramentale e l’autorizzazione gerarchica per collaborare al ministero episcopale, ovvero “non si dà ministero sacerdotale se non nella comunione con il sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi il filiale rispetto e l’obbedienza” (esortazione apostolica post-sinodale Pastores Dabo Vobis, 28).

L’impegno preso il giorno dell’ordinazione sacerdotale non si deve considerare tanto un vincolo giuridico, quanto una comunione gerarchica voluta da Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, nel rapporto del presbitero con il proprio vescovo.

In questo modo, il sacerdote si sente partecipe ontologicamente del sacerdozio e del ministero di Cristo.

E la comunione gerarchica si basa sulla carità soprannaturale. “Le relazioni tra il vescovo e i sacerdoti diocesani devono poggiare principalmente sulla base di una carità soprannaturale, affinché l’unità di intenti tra i sacerdoti e il vescovo renda più fruttuosa la loro azione pastorale” (decreto Christus Dominus, 28).

Sei obbedienze
A proposito dell’obbedienza, ecco sei semplici storie anche se non sono propriamente sacerdotali:

1.- Abramo, sottoposto alla prova, “
ebbe fede in Dio” (Rm 4,3) e obbedì sempre alla sua chiamata; per questo divenne padre di tutti i credenti (Rm, 4, 11.18).

2.- Quale migliore esempio di obbedienza a Dio di quello che abbiamo in Maria? Ella dà senso alla sua vita ascoltando la parola di Dio e realizzando con la sua libertà l’obbedienza della fede.

Non solo disse “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38), ma si donò come nessuno, e per questo Gesù risponde alle lodi a sua madre dicendo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11, 28).

3.- San Giuseppe obbedì al decreto dell’imperatore, che lo obbligava ad andare a Betlemme nel bel mezzo del freddo invernale, con gravi difficoltà per Maria. Ma è soprattutto nella fuga in Egitto che Giuseppe ci offre l’esempio dell’obbedienza più eroica e perfetta.

4.- San Pietro obbedì al Signore: “Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti’”(Lc 5, 5).

5.- Si racconta che un giorno San Domenico Savio disse al suo confessore che quando andava a fare il bagno a un pozzo particolare ascoltava brutte conversazioni. Il sacerdote gli disse che non poteva tornarci. Domenico obbedì anche se gli costava grande sacrificio, perché faceva molto caldo e a casa sua non aveva una vasca. E San Giovanni Bosco aggiunge raccontando questo fatto: “Se questo ragazzo non avesse obbedito al suo confessore e avesse continuato ad andare in quel luogo non sarebbe diventato santo. L’obbedienza lo ha salvato”.

6.- “Santa Bernadette Soubirous salì e quando era vicino alla roccia cercò con lo sguardo la fonte non trovandola, e volendo obbedire guardò la Vergine. A un nuovo segnale, Bernadette si chinò e spostando la terra con la mano vi trovò un buco.

All’improvviso il fondo di quella piccola cavità si inumidì, e proveniente da profondità sconosciute attraverso le rocce apparve dell’acqua che presto riempì il foro, che poteva contenere un bicchiere d’acqua.

Mescolata con la terra, Bernadette la avvicinò tre volte alle labbra, non risolvendosi a berla. Ma vincendo la sua ripugnanza per l’acqua sporca la bevve e si bagnò anche il viso.

Tutti iniziarono a deriderla e a dire che ora sì che era diventata pazza. Ma… misteriosi disegni di Dio! Con la sua debole mano, Bernadette aveva appena aperto, senza saperlo, la fonte delle guarigioni e dei miracoli più grandi che hanno commosso l’umanità” (sull’apparizione di Lourdes).

La lezione del cane obbediente
In un seminario un direttore spirituale, grande esperto di cani, portò il seminarista che guidava nel luogo in cui teneva il suo cane per insegnargli la virtù dell’obbedienza.

Il sacerdote aveva insegnato al suo cane a obbedire, e di fronte al seminarista mise alla prova l’animale. Gli mise davanti un succulento pezzo di carne e gli diede verbalmente e con gesti quest’ordine: “Tatoo, non mangiare la carne”.

Il cane, che doveva avere una gran voglia di mangiarsela, era tra l’incudine e il martello, dovendo scegliere se obbedire o disobbedire all’ordine del suo padrone.

Il cane, però, non guardava mai la carne. Cosa faceva? Non staccava gli occhi dal suo padrone. Sembrava pensare
che se avesse smesso di farlo sarebbe caduto facilmente nella tentazione di mangiare la carne, di disobbedire.

Il sacerdote formatore disse al seminarista: “Da questo si può trarre questa lezione spirituale per te e per me:

Di fronte alla tentazione della disobbedienza, guarda sempre il volto del Maestro, il volto del tuo padrone. Dio non ci tenterà mai a fare del male. Ci troveremo davanti a molte tentazioni a disobbedire nella vita, ma se manteniamo lo sguardo fisso sul nostro Signore potremo uscirne fuori con successo”.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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