ethos partecipativo del Vaticano II con la storia e le tradizioni profonde della musica ecclesiale. È uno sviluppo incoraggiante dopo decenni di sperimentazione che hanno promosso musica di una banalità deprimente. Molti dei motivi nuovi sono “illetterati” a livello musicale, come se fossero stati scritti da adolescenti semiformati. Lo stile e pesante e sentimentale, bloccato a livello di tono e ritmo e melodicamente vuoto.
Che tipo di risposta ha ricevuto da cantanti, parrocchie e diocesi?
Finora la risposte sono state molto positive. I vescovi scozzesi hanno offerto il proprio sostegno, e infatti il vescovo diAberdeen, Hugh Gilbert, è diventato il nostro patrocinatore.
Penso che ci sia una sete reale di ciò che stiamo facendo dopo decenni di deriva e inevitabile confusione quando la Chiesa ha abbracciato le lingue volgari.
C’è grande resistenza nei confronti di questo tipo di musica?
Ai cattolici scozzesi va ricordato continuamente quando sia importante la questione della nostra liturgia. È una vergogna che la discussione a volte scada in un paragone tra il nuovo rito e la forma straordinaria.
Nessuno afferma che il nuovo rito dovrebbe essere sostituito, ma la ricomparsa dell’antico rito latino, per ora a livello marginale, non può non essere un elemento positivo a lungo termine per la Chiesa universale. La constatazione che ci sono queste considerazioni per quanto riguarda pratiche positive e negative, approcci autentici e non autentici, attributi di santità, bontà della forma e universalità è la svolta in cui molti di noi speravano. Queste considerazioni dovrebbero essere sempre in prima linea nella mente di chiunque sia responsabile della liturgia, clero o fedeli.
Qual è l’aspetto importante di tutto questo?
Credo che ci sia una questione più ampia che affrontiamo tutti noi. In questo Paese c’è sempre stata una spinta fortemente antiestetica verso il cattolicesimo scozzese. La domanda è: “Si può dimostrare la bellezza oggettiva nella liturgia della Chiesa nel XXI secolo?”
Sì, bellezza. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo ascoltato un’omelia sulla questione? Sentiamo parlare molto di verità, di bontà, ma la bellezza?
Il bello, il vero e il buono – sono questi i valori fondamentali riconosciuti fin dall’antichità come qualità intrinseche dalle quali derivano essenzialmente tutti i valori. Come dai tre colori primari può scaturire un milione di sfumature, così anche un milione di sfumature di qualità può essere ricondotto a questi tre valori primari.
Verità, bontà e bellezza formano una triade di termini che sono stati ampiamente discussi nella tradizione del pensiero occidentale. Sono stati definiti “trascendenti” sulla base del fatto che tutto ciò che esiste è in qualche misura o in qualche modo soggetto ad essere definito vero o falso, buono o cattivo, bello o brutto. Oltre ai filosofi, agli scienziati e ai politici, anche molti mistici e maestri spirituali hanno sostenuto l’idea di queste tre fondamentali “finestre sul divino”.
Cosa c’è, a suo avviso, di tipicamente scozzese in questo dibattito?
Per un uomo scozzese come me, cresciuto in una cultura machista e della working class ad Ayrshire, è difficile ricordare di aver mai sentito la parola “bellezza” negli anni della formazione. Penso che molti maschi della working class avrebbero una reale difficoltà anche a pronunciarla!
E tuttavia la bellezza è alla base della nostra fede cristiana. Dovrebbe essere di primaria importanza nella nostra attenzion
e quando approcciamo il Trono di ogni Bellezza per le nostre lodi divine. Lodi divine che in questo Paese nel corso degli anni sono state concepite prevalentemente da maschi machisti della working class scozzese.