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Le suore-eroine che assistevano i malati di ebola

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 05/08/14

Sei religiose di cui all’inizio di quest’anno si è chiuso il processo diocesano di beatificazione
In questi giorni i media internazionale stanno dando grande risalto all’epidemia di ebola che ha causato in Africa 887 morti e oltre 1.600 casi di contagio secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) (Ansa, 4 agosto).

Ci sono centinaia di volontari, medici, infermieri che in queste ore lottano accanto alle persone contagiate per alleviarne le sofferenze. Si combatte il virus, una sfida spesso impari, rischiando di contrarlo. Una sorte già toccata a due medici americani. E che in passato ha falciato la vita di sei eroine per le quali il 25 gennaio 2014 si è chiuso il processo diocesano di beatificazione. 

Stiamo parlando delle missionarie delle Poverelle di Bergamo. Quando la temuta ebola si insediò nel loro villaggio in Congo, le sei suore non fuggirono, abbandonando la popolazione, ma provarono a contrastarlo curando con i pochi mezzi a disposizione le persone contagiate. La loro storia l’ha raccontata padre Giulio Albanese su Avvenire (26 marzo 2014).

Il 15 marzo del 1995, un uomo tornò a casa febbricitante dopo una giornata di lavoro nei pressi di un villaggio a poca distanza dalla cittadina di Kikwit, nell’ex Zaire. Dieci giorni dopo morì, dissanguato da un male misterioso. Nella sua famiglia il contagio fu a catena: prima il fratello, poi gli altri membri della famiglia. Quindi la malattia giunse ad altri membri del villaggio tra cui suor Fioralba Rondi, che si ammalò, raccontarono le consorelle, mentre soccorreva un moribondo. Morì il 25 aprile del 1995.

Dopo Suor Fioralba, la febbre emorragica fu letale per suor Clarangela Ghilardi, suor Danielangela Sorti, suor Dinarosa Belle, suor Annelvira Ossoli. L’ultima ad essere contagiata fu suor Vitarosa Zorza che morì il 28 maggio. L’epidemia uccise 244 persone. Una delle cause della diffusione era l’usanza di toccare i morti durante i funerali, oltre che il contatto diretto con i malati come nel caso delle sei religiose, che pur consapevoli del morbo offrirono assistenza fino a quando la febbre non iniziò a sfibrare il loro corpo. 

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