Fondamentalismo violento e intollerante da una parte e fiducia umana e religiosa che incoraggia la convivenza dall’altra. E noi da che parte stiamo?di Christian Albini
Le notizie da Mosul sulle persecuzioni contro i cristiani suscitano giusta indignazione e sollecitano l’attiva vicinanza di cittadini e istituzioni, anche se queste ultime sembrano purtroppo latitanti.
Giuseppe Dossetti lo aveva anticipato con lucida sapienza nel 1990, all’alba della prima Guerra del Golfo: l’intervento militare occidentale, appoggiato acriticamente anche da molti cattolici, avrebbe alimentato il fondamentalismo islamico negli anni a venire e messo a rischio l’esistenza del cristianesimo mediorientale.
Ma dobbiamo anche guardare ai segni di speranza, che pure esistono in mezzo alle tragedie, come semi gettati. Ci sono i musulmani iracheni che hanno dimostrato la loro solidarietà attraverso lo slogan "Sono iracheno, sono cristiano". Uno di loro, il docente universitario di Mosul Mahmoud Al ‘Asali, è stato ucciso per la sua aperta opposizione ai terroristi: un credente dell’islam che ha dato la vita per i cristiani. Il quotidiano La Stampa ha segnalato le diverse istituzioni musulmane asiatiche che hanno respinto gli atti di persecuzione del califfato come contrari all’islam. Una condanna ferma venuta anche dal rettore della grande moschea di Lione, il quale ha dichiarato che per la propria fede la tutela del culto di tutte le religioni è una missione e un dovere.
Non è in atto una guerra tra religioni o uno scontro di civiltà. Ricordiamo che il califfato non si sta accanendo solo contro i cristiani, ma colpisce anche i pacifici sufi e i musulmani sciiti, distruggendo persino moschee. Siamo a un bivio antropologico: il fondamentalismo violento e intollerante da una parte e la fiducia umana e religiosa che incoraggia la convivenza. E noi da che parte stiamo?
Nella diocesi a cui appartengo, essere per la libertà religiosa, uno dei diritti fondamentali, significa solidarietà con i cristiani perseguitati, ma anche sostegno ai musulmani cremaschi che desiderano poter avere un proprio luogo di culto. Gli stessi che hanno invitato, con spirito di ospitalità, il sindaco e il vescovo alla chiusura del Ramadan. Sono facce diverse della medesima fraternità evangelica che si esprime anche nell’esortazione a fare all’altro quel che vorremmo venisse fatto a noi (cfr. Mt 7,12).
Vuol dire dare corpo nella nostra realtà alla cultura dell’incontro insegnata da papa Francesco e testimoniata da uomini come Paolo Dall’Oglio, la quale non è che un nome della prossimità insegnata e praticata da Gesù.