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Cristiani in Iraq: è veramente la fine?

Alexandre del Valle – it

AFP PHOTO DAMIEN MEYER

FRANCE, Paris : Photo prise le 28 octobre 2002 à Paris de Alexandre del Valle, chercheur en géopolitique à l'Ecole doctorale de Sciences politiques de l'Université de Paris II, et spécialiste des questions internationales et stratégiques. Il a rédigé de nombreux articles ou reportages dans des revues de géopolitique (Hérodote, Stratégique, Quaderni Geopolitici), ou d'actualité politique (Figaro Magazine, Spectacle du Monde, Figaro, etc), ayant tous pour toile de fond les questions des Balkans, de la Sécurité européenne ou de l'Islamisme radical. Il est notamment l'auteur de Islamisme et Etats-Unis (préf. PM Gallois, L'Age d'Homme ; 1997, rééd. 1999) et Guerres contre l'Europe, Bosnie, Kosovo, Tchétchénie (éditions des Syrtes ; 2001). AFP PHOTO DAMIEN MEYER

Solène Tadié - Aleteia - pubblicato il 01/08/14

Mentre ci s'interroga sulle sorti della comunità cristiana in Iraq, Alexandre de Valle spiega ad Aleteia le origini di tale crisi

Nei giorni scorsi gli islamici del nuovo califfato hanno lanciato un ultimatum contro i cristiani di Mosul invitandoli a partire altrimenti avrebbero trovato la morte. Secondo lei è veramente la fine per i cristiani in Iraq? E’ quindi solo una questione di tempo?

Sono più di 15 anni che spiego che la situazione dei cristiani nei paesi islamici è molto critica. Questo movimento non è nuovo in quanto è cominciato negli anni 50, prima che i movimenti nazionalisti arabi si convertissero in movimenti islamisti. In Turchia ed Egitto, pur essendo laici, i governi nazionalisti hanno cacciato i cristiani a migliaia e anche nei decenni successivi il fenomeno è continuato: negli anni 80 in Egitto sono cominciati progrom e atti di odio contro i cristiani coopti, e sccessivamene – negli anni 90-2000 –  con il movimento salafista Al-Qaeda così come di altri movimenti. Questo fenomeno di nuova “soluzione finale”, uso questo termine molto forte, come in passato ci fu per gli ebrei, oggi c’è per i cristiani da parte degli islamisti, promosso non solo dai movimenti islamici radicali, ma in parte anche dai governi islamici che ne sono complici. Le faccio un esempio: nel nord africa, Marocco, Tunisia, Algeria, dove la situazione sembra meno critica dell’Iraq, i cristiani sono stati nuovamente perseguitati anche se non ci sono comunità forti perché lì il cristianesimo è sparito già nel XIV secolo. I cristiani convertiti di questi Paesi adesso sono ancora più castigati per legge: ci sono leggi che proibiscono ogni forma di proselitismo e impediscono a un musulmano di diventare cristiano, ci sono movimenti che portano avanti massacri di cristiani, quindi il fenomeno è sicuramente generalizzato. Prima di tutto è veicolato da movimenti islamici radicali che utilizzano la forza, in secondo luogo essi sono direttamente appoggiati da strumenti legislativi che impediscono la libertà religiosa. Quindi i cristiani sono perseguitati spiritualmente, fisicamente sia attraverso legislazioni anti-libertà.

Nel caso dell’Iraq, Stati Uniti e occidente avrebbero potuto impedire questo esito tragico?

L’errore geopolitico, la colpa degli USA, è aver lanciato la guerra del Golfo nel ‘90 la quale ha portato il regime di Saddam Hussein a radicalizzarsi e islamizzarsi. Questo è successo in reazione alla prima guerra del Golfo perché ha aiutato l’ascesa dei movimenti islamisti in Iraq e lo stesso regime pseudo-laico di Saddam Hussein si è molto islamizzato. Saddam Hussein stesso ha cominciato a parlare di Jihad islamica negli anni ‘90. Poi nel 2003, con la seconda guerra in Iraq, il processo di islamizzaizone del paese e di caos generalizzato della società sono stati accelerati dalla strategia USA volta ad eliminare il regime laico a favore dei movimenti sunniti e sciiti anche radicali.

La responsabilità degli USA è chiara, ma non si può dire invece che il movimento Slafista sia stato creato dagli americani. E’ vero che l’hanno aiutato e addestrato durante la guerra fredda, perché hanno appoggiato in Afghanistan quello che diventerà Al-Qaeda, ma le radici del movimento salafista, che ha come scopo di eliminare tutta la cristianità del prossimo oriente dopo i giudei, non risalgono né alla guerra del Golfo, né alla creazione di Israele. Risalgono invece al 1850 quando si creò come reazione alla laicizzazione dell’Impero Ottomano: islamici da una parne e nazionalisti turchi dall’altra, hanno cominciato a dire che la colpa di tutto era delle minoranze giudaiche e cristiane. Questo fu anche alla base del genocidio dei cristiani in Turchia. Anche durante l’Egitto di Nasser ci fu la volontà di eliminare le minoranze cristiane considerate quinte colonne dell’occidente. Quindi la volontà di eliminare i cristiani d’oriente non è solamente il frutto di un islamismo che sarebbe stato addestrato, aiutato, favorito dagli errori degli USA, ma è la conseguenza di un ritorno all’islam, di un ritorno di questi Paesi a leggi e tradizioni in reazione al colonialismo.  Tutto ciò è molto più vecchio degli errori degli USA, risale ad un secolo prima. Il processo di islamizzaizone sarebbe comunque sfociato in questa “soluzione finale” dei cristiani.

Padre Anis Hanna, prete caldeo di Bagdad, ha recentemente esortato tutti i cristiani a migrare verso l’occidente. Secondo lei ha ragione e quali sarebbero le conseguenze sia in occidente che in oriente di tale migrazione di massa?

In questi Paesi dove c’è un’ascesa dei movimenti islamisti non c’è spazio per i cristiani considerati quinte colonne dell’occidente, e gli islamici fanno credere che i cristiani siano quinte colonne anche di Israele. Il cristiano è comunque accusato di tutto, di essere un traditore, quindi, anche se io sono sempre stato contro la migrazione, l’unica soluzione in effetti è migrare. Se in Egitto la base demografica gli permette ancora di stare e difendersi, in una situazione come l’Iraq  non si può chiedere a tutti di essere martiri e suicidi collettivamente.

Riguardo alla situazione a Gaza, pensa sia ancora possibile placare il conflitto? E quali potranno essere gli esiti futuri?

Non vedo la possibilità di una pace a  breve-media scadenza.  Il problema di Gaza non è solo Hamas, ma anche che dentro al movimento c’è una parte che potrebbe negoziare sia con l’autorità palestinese sia con israele, ma ogni volta che c’è tale volontà ci sono sempre parti di Hamas e altri movimenti estremisti che vogliono rompere tutte le possibilità di pace. Movimenti come Jihad Islamica non hanno nessun interesse alla pace. Nelle ultime settimane  c’erano stati segnali di apertura e pacificazione, ma i duri di Hamas e Jihad Islamica hanno impedito il loro sviluppo perché vivono della guerra. Come accadeva con Arafat: lui trovava sempre il modo per impedire i negoziati, come nel 2000, perché loro vivono di terrorismo, la guerra per loro è esistenziale. Da un lato quindi Hamas ritiene Israele un’entità atroce con la quale non è possibile negoziare e, dall’altra,  gli israeliani pensano che i palestinesi siano sempre terroristi. Anche nel caos del Libano del sud, quando gli israeliani hanno restituito questi territori, c’è stato subito un attacco terrorista. Quindi da ambedue le parti c’è una visione dell’altro totalmente nera e hanno un rifiuto totale di negoziare. Per questo sono abbastanza pessimista se le grandi potenze non le obbligano a fare delle concessioni.


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