La sua missione: preparare i formatori al sacerdozio e alla vita consacrata
Il Consiglio Direttivo dell’Università ha accolto la proposta del P. Jaime Emilio González Magaña, S.I. di mutare il nome del CIFS in Centro “San Pietro Favre” per i Formatori al Sacerdozio e alla Vita Consacrata. «Pietro Favre – ci spiega P. González Magaña – fu il primo compagno di Ignazio di Loyola ed è l’esempio più chiaro di un sacerdote che si lascia formare. Ignazio di Loyola si impegnò per ben quattro anni nell’accompagnamento diligente e ravvicinato del suo amico e compagno di stanza. Insieme, all’inizio del 1534, realizzarono gli Esercizi Spirituali nelle vicinanze di Saint Jacques (Parigi). Da allora, Favre penetrò come nessun altro nella conoscenza interna di questo metodo di conversazione tra il Creatore e la creatura, con un dono speciale nel condividere questa conoscenza con il prossimo».
Direttore del Centro dal 2005, P. González Magaña concluderà il suo mandato il 31 agosto prossimo; nuovo Direttore, a decorrere dal 1° settembre 2014, sarà P. Stanisław Morgalla, S.I. Abbiamo voluto incontrare P. González Magaña per tracciare un bilancio di questi anni di impegno al servizio del Centro.
Cosa rende san Pietro Favre “ispiratore” per la vostra missione?
«Il carisma di Favre, dà contenuto – sin dalle origini della Compagnia – alla nostra vocazione contemporanea di presenza nelle frontiere e come ponti di riconciliazione. È una vocazione alla cura e all’attenzione al Corpo della Compagnia di Gesù e della Chiesa; vocazione al dialogo e all’apertura incondizionata, alla disponibilità ubbidiente e piena di fiducia».
Da più parti si sottolinea la necessità di selezionare i candidati in ordine alla qualità, più che alla quantità.
«Sono innanzitutto i formatori che devono avere chiara questa situazione, altrimenti saranno loro stessi a cercare la quantità e non la santità dei candidati. Il rischio per i consacrati è di lasciarsi assorbire totalmente dall’azione pastorale in attesa di frutti che spesso scarseggiano o che non raggiungono i risultati sperati, generando non poche delusioni e frustrazioni. Si tralascia la cura della vita interiore con la conseguenza d’inevitabili indebolimenti e svuotamenti della vita consacrata, che così diventa superficiale».
Quali criteri deve tenere presente il formatore?
«La formazione al sacerdozio e alla vita consacrata è una missione che la Chiesa affida ad alcuni sacerdoti. Nessuno si autocandida per questo servizio gravoso, anzi: quando arriva la chiamata a svolgerlo, il formatore si vede coinvolto in una realtà nuova e più grande di lui, ma allo stesso tempo affascinante e complessa. Nell’insieme dei sentimenti che suscita una chiamata del genere, spicca subito la paura dell’inadeguatezza e la consapevolezza dei propri limiti. Altrettanto forte, però, scatta l’invito a fidarsi di Colui che chiama e della Chiesa che ti invia. Senza un’autentica e profonda vita spirituale sarà difficile e faticoso farci compagni di strada dei giovani candidati e coinvolgerli in un autentico cammino di sequela. Ecco perché la cura della vita spirituale è l’anima del ministero di ogni formatore».