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L’esperienza umana di Dio può essere una soluzione al suicidio?

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© SHUTTERSTOCK

Portaluz - pubblicato il 31/07/14

Le scienze sociali e i professionisti della salute mentale, laici, cercano un alleato nella fede cattolica

Il suicidio è un fatto sconcertante, devastante. Nell’impegno per perfezionare il modo in cui prevenirlo, sorprenderà più di qualcuno sapere che le scienze sociali e i professionisti della salute mentale, laici, guardano alla fede cattolica come a un alleato.

Il magistero della Chiesa, i maestri di spiritualità nella storia della Chiesa, i professionisti della salute mentale e delle scienze sociali concordano nell’affermare che il suicidio non è un atto libero. La persona che si suicida presupponendo che porrà fine alle proprie sofferenze non ha dominio sulla propria volontà, né piena coscienza di sé né ragionamento lucido nel processo e al momento di concretizzare l’atto suicida. (Riferimenti: Anales de Psicología, Medline, Federación Española Psiquiatría, Catechismo della Chiesa Cattolica Nº 2282, Evangelium Vitae N° 66, Papa Francesco 17.06.2013).

Padre Fernando Teseyra, viceprovinciale della Società di San Paolo, in un contributo pubblicato su questo periodico sul tema, riflette: “Il suicidio è un flagello che avanza ed erode la società. Per questo bisogna fare una proposta all’integralità della vita, in cui si promuova in vari ambiti il valore della vita, unendo all’aspetto sociale, politico ed educativo il senso spirituale della persona umana, la cui vita dipende da Dio, come forma valida di prevenzione del suicidio”.

Non è errata l’idea di come prevenire il suicidio su cui riflette Teseyra. Studi sociologici su centinaia di casi clinici concreti apportati da professionisti della salute mentale in luoghi e culture diversi rivelano che la fede religiosa e l’attività religiosa del credente sono un fattore che riducono il suicidio.

Senso della vita. Una testimone scelta da Lui
In base alle statistiche, alcolismo, tossicodipendenza, crisi per situazioni inaspettate della vita che la persona non tollera e disoccupazione prolungata sono alcuni dei fattori che promuovono la condotta suicida. Ma non tutti coloro che passano per queste esperienze hanno idee o condotte suicide. Il fattore comune, indica il famoso ricercatore e psicologo Victor Frankl, è l’assenza di senso. Nel mese di ottobre 2013, papa Francesco ha pregato “perché quanti si sentono schiacciati dal peso della vita, sino a desiderare la fine, possano avvertire la vicinanza dell’amore di Dio”.

Questa verità identificata da Frankl e proclamata da papa Francesco l’ha raccontata Teresa María Pérez, che l’ha vissuta in gioventù: “L’esperienza di vuoto era molto forte. In alcune circostanze è diventata così forte che sono arrivata a pormi freddamente la possibilità del suicidio (…). Non era solitudine. Lo chiamerei vuoto di senso, che è diverso. Non sono arrivata a parlare del tema del suicidio con le compagne di classe, con le amiche con cui uscivo, ma di questo senso di vuoto sì. Ma non riuscivano a darmi una risposta, perché non avevano Dio. In casa non l’ho detto a mia madre. Le voglio molto bene e ho sempre avuto grande fiducia in lei, ma sono anche molto introversa e in genere tengo le cose per me, ancor di più se sono sofferenze. Tendo a tenerle dentro, a non esteriorizzarle”.

Teresa, accompagnata da persone adeguate, è riuscita ad abbandonare le idee suicide, ha trovato il senso e oggi è una religiosa delle Serve del Focolare della Madre.

Guarda in questo video la sua testimonianza completa:

La fede salva vite
Nel 1897 il sociologo Emile Durkheim pubblicò le conclusioni di uno studio sul suicidio sviluppato anche da Max Weber e Karl Marx.

Analizzando dati sul censo e statistiche di organismi pubblici, i ricercatori scoprirono che “le regioni protestanti presentavano tassi di suicidio superiori a quelli delle regioni cattoliche”. Durkheim pensò che la causa di questa differenza fosse che il cattolicesimo favoriva lo sviluppo di società più integrate rispetto al protestantesimo, questione che nei decenni successivi sarebbe stata oggetto di critiche e dibattito. 

Che la fede e la pratica religiosa – in particolare quella cattolica – siano fattori che riducono il rischio di suicidio è una verità corroborata anche da nuovi studi.

Uno di questi è stato realizzato in Svizzera dall’epidemiologo e accademico Matthias Egger, con il sostegno dell’Università di Berna. Egger ha analizzato dati censuari statistici degli anni tra il 2000 e il 2005 su 1.700.000 cattolici, 1.500.000 protestanti e più di 400.000 individui senza alcuna affiliazione religiosa, paragonandoli ai registri di mortalità per suicidio.

Considerando fattori sociologici come l’età, lo stato civile, l’educazione, la lingua o il grado di urbanizzazione degli individui analizzati, si è constatato che tra le persone religiose, i cattolici presentavano un tasso più basso di suicidi, ma anche che le persone non religiose avevano un tasso di suicidio più alto di quelle religiose.

Un sostegno ai risultati indicati da Egger sono le conclusioni pubblicate nel 2010 da Merike Sisak e dai suoi collaboratori dell’Istituto di Salute Mentale e Suicidologia Estone-Svizzero.

Sisak, per evitare critiche, ha utilizzato anche dati e rapporti dell’OMS, chiamati SUPRE-MISS. Con la sua équipe ha distribuito lo stesso questionario a persone scelte in modo aleatorio di vari Paesi, diversi credo religiosi e non credenti, con intenti suicidi e senza. I risultati hanno permesso di concludere che le persone con pratica religiosa di fede monteista presentano un rischio minore di suicidarsi.

Nelle società in cui lo Stato, i mezzi di comunicazione, la pubblicità e l’ideologizzazione nelle scuole premono per delegittimare la fede religiosa, le conseguenze iniziano ad essere disastrose.

L’OMS segnala che ogni anno si suicida quasi un milione di persone.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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