La riforma progettata dal pontefice è più ampia e più profondamente radicata di quanto si immagini
All’inizio di quest’anno, papa Francesco ha incontrato un vecchio conoscente di nome Tony Palmer. Palmer, morto tragicamente in un incidente di moto la scorsa settimana, era un sudafricano che viveva in Inghilterra. Sposato con un’italiana cattolica, ha conosciuto il papa quando era missionario in Argentina.
Palmer si definiva “vescovo anglicano” ma non era un vescovo della Chiesa d’Inghilterra. È più giusto dire che era un vescovo della “tradizione anglicana”. Parte di un nuovo movimento ecclesiale evangelico che tiene in grande considerazione la tradizione, l’adorazione carismatica e lo zelo evangelico, Palmer era un buon rappresentante di un movimento cristiano a volte chiamato “chiesa emergente”.
La “chiesa emergente” può essere descritta correttamente come un’associazione paraecclesiale evangelica, carismatica e cattolica. In altre parole, abbraccia e promuove il meglio di queste tre tradizioni cristiane. Senza una struttura organizzata o una burocrazia, i membri della chiesa emergente si muovono entro confini denominazionali, nazionali e tradizionali. Unendosi in modo non troppo stretto e formando alleanze tra cristiani simpatetici di molte denominazioni, sono spesso illuminati, zelanti, positivi e proattivi nel loro ministero cristiano.
Pongono enfasi su un messaggio evangelico semplice e apprezzano l’adorazione liturgica, la pratica dei doni dello Spirito Santo e un amore profondo per le Sacre Scritture. I cristiani della chiesa emergente non vogliono legarsi alle denominazioni stabilite di qualsiasi tipo e mirano a predicare e a vivere un cristianesimo di base e radicale.
Se vogliamo comprendere papa Francesco come riformatore, è il suo apprezzamento di questo nuovo tipo di evangelici che può gettare luce su di lui come persona e sugli obiettivi del suo pontificato. È interessante osservare che il papa ha mantenuto rapporti cordiali con i leader delle denominazioni protestanti stabilite come Justin Welby, arcivescovo di Canterbury, ma quando incontra i suoi amici evangelici li invita per la colazione o per il pranzo e siede con loro ridendo, parlando e godendo per ore della loro amicizia.
Quelli che ritengono papa Francesco un riformatore dovrebbero vedere nei suoi rapporti con gli evangelici quale sia il cuore della sua riforma. Non è semplicemente un tentativo di ripulire la banca vaticana o di spazzare via dalla Chiesa i pedofili. Non è semplicemente il simbolismo di vivere nella Casa Santa Marta, mangiare nella caffetteria e andare in giro su una macchina modesta. La riforma che ha progettato è ben più radicale. Vuole che i cattolici seguano Gesù Cristo in modo gioioso, radicale e dirompente.
L’apprezzamento di Francesco per gli evangelici è quindi più di un tentativo cordiale di raggiungere cristiani che sono sempre stati emarginati dalla Chiesa cattolica e che, a dire la verità, sono stati in genere profondamente anticattolici. Il suo apprezzamento per gli evangelici è più di un tentativo di arginare la marea di cattolici che si rivolgono alle Chiese carismatiche in tutto il globo. Li ammira in modo autentico e in molti modi vuole che i cattolici siano più simili a loro.
Ciò vuol dire che i cattolici devono essere più esuberanti nell’adorazione, parlare lingue e abbracciare un calvinismo smorzato e utilitaristico? Francesco vuole protestantizzare la Chiesa cattolica? Assolutamente no. Penso che voglia che i cattolici siano non più protestanti, ma più cattolici. In altre parole, vuole che i cattolici tornino allo zelo e alla passione dei santi e dei martiri. Vuole che i cattolici reimparino la vita semplice degli apostoli e godano dei livelli più elementari della fede – una vita piena dello Spirito Santo in un rapporto quotidiano con Gesù Cristo.