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Fecondazione eterologa, giuristi e medici perplessi sulle linee guide

Fecondation – it

Instituto Bernabeu / Flickr / CC

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 30/07/14

Assenza di norme, problemi bioetici: ecco dove non funziona il provvedimento che vuole Lorenzin

Troppe incertezze di carattere medico e normativo. Percorso in salita per la fecondazione eterologa che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin vuol far partire a tutti i costi prima della pausa estiva. Di fronte alla delicatezza della questione e ai nodi irrisolti, la risposta del governo è di ingranare la marcia più alta per partorire il decreto legge entro Ferragosto. 

Eppure sono stati gli stessi esperti del ministero, che hanno stilato le linee guida illustrate il 29 luglio alla Camera da Lorenzin, ad ammettere le difficoltà: «Il documento ha un ruolo informale e consuntivo», hanno scritto nelle linee guide come riporta Repubblica (27 luglio). 
Lo stesso ministro se da una parte vuol correre, dall'altra ha alzato bandiera bianca su uno dei punti più spinosi: l'anonimato dei donatori. E' giusto che il figlio nato da fecondazione eterologa conosca chi è genitore biologico? Difficilmente la questione si scioglierà nei tempi stretti indicati nel cronoprogramma del ministro, che peraltro ha annunciato, in merito, «un'ampia discussione parlamentare». (Ansa, 29 luglio). 

IL VUOTO DI NORME PER L'ANONIMATO DEL DONATORE
Perplessità condivise ad Aleteia dal professore Alberto Gambino, docente di diritto privato nell'Università Europea di Roma. «Nella decisione della Corte costituzionale che ha legittimato l'eterologa, come noto, si sostiene che la stessa sentenza pone rimedio ‘per gran parte’ ai problemi sollevati nei ricorsi. Dire che ‘per gran parte’ non esistono vuoti normativi – precisa il giurista – non significa tuttavia affermare che non esistano in assoluto. Alcuni nodi rimangono. Primo fra tutti il problema del cosiddetto anonimato del donatore». 

La sentenza afferma che con riferimento ai gameti si applica la normativa in materia di donazione di tessuti e cellule, che prevede espressamente l’anonimato del donatore, «ma poche righe dopo, sostiene l’esistenza di un diritto del nascituro a conoscere le proprie origini biologiche e ricorda che, con riferimento al parto in anonimato, la stessa Corte ha stabilito il suo diritto inalienabile a conoscere queste origini, diritto che va contemperato con l’interesse della donna a partorire in sicurezza pur non rivelando la propria identità». 

Questo fa comprendere, prosegue Gambino, «che non è corretto applicare anche alle cosiddette cellule riproduttive la normativa vigente sulla donazione dei tessuti trattando il gamete alla stregua di un tessuto inanimato; con l’eterologa la donazione è infatti riferita ad un patrimonio insostituibile, legato al Dna, con l’intento di riprodurre un altro essere umano». Questo passaggio merita un intervento «addirittura legislativo, non solo regolamentare». È qui il «vuoto normativo, e non si può fare finta di non vederlo. Su questo punto si rende necessario un intervento del legislatore». 

Solo il legislatore, ragiona il docente di diritto privato, può affrontare un discorso ampio e complesso come quello dell’anonimato. «Se al compimento del diciottesimo anno di età i nati per eterologa volessero conoscere le proprie origini biologiche, verrebbe applicata la normativa sulla donazione dei tessuti (anonimato assoluto del donatore), o quanto affermato dalla Consulta nel caso di parto in anonimato (diritto inalienabile del nascituro di identità genetica)?». 

Gambino "avverte" i tecnici del ministero della Salute: «Non possiamo ritenere che bastino delle linee guida di carattere amministrativo e non legislativo per dirimere questa vicenda. In tutti gli ordinamenti europei che hanno introdotto l’eterologa, è una legge a disciplinare la questione dell’anonimato senza demandarla a linee guida né tantomeno, a decisioni della giurisprudenza». Inoltre, anche nei Paesi in cui è previsto, l’anonimato «non è mai assoluto e viene ammessa la possibilità di risalire ai propri dati sanitari. Non può essere dunque un organo amministrativo come un ministero a dettare norme riguardanti diritti soggettivi che possono essere disciplinati solo da una legge dello Stato».

NON SI GARANTISCE IL DIRITTO ALLA SALUTE DEI FRATELLI
Vittorio Occorsio, giurista e direttore del Centro Italiano di Sanità Digitale, sulla questione dell'anonimato del donatore prova a sviscerare una soluzione. «La sentenza della Corte Costituzionale richiama la normativa dell'adozione speciale contenuta nella legge del 1983». In questa legge è previsto all'articolo 28, commi 4 e 5, che l'adottato ha diritto ad accedere alle informazioni che riguardano la sua origine, l'identità dei propri genitori biologici all'età di 25 anni o all'età di 18 ma solo in caso di sussistenza di gravi motivi legati alla sua salute. Anche i genitori adottivi o una struttura sanitaria possono risalire alla medesima identità, sempre ed esclusivamente per gravi e comprovati motivi di salute di quella persona, e, in entrambi i casi è necessaria un'indicazione del tribunale.

Questa normativa, secondo Occorsio «potrebbe applicarsi per via analogica, in mancanza di norme specifiche, anche per i figli nata da fecondazione eterologa. Bisognerebbe però tener conto del diritto alla riservatezza dei vari soggetti coinvolti».

Un altro limite da colmare prima di formulare il decreto, riguarda il diritto alla salute dei "fratelli biologici". «Non sono perplesso tanto sul numero delle donazioni, che esse siano 10 o 25 non cambia granché – sottolinea il giurista – quanto sul come garantire in primis la salute di questi "fratelli", che tra loro potrebbero avere rapporti di diverso tipo senza conoscere la loro identità biologica, anche se non giuridica. La loro salute rischia di non essere adeguatamente tutelata dall'applicazione di quelle norme citate in tema di adozione, poiché esse prendono in considerazione nuclei di persone numericamente inferiori». 

In secondo luogo occorre prevedere «quale rapporto giuridico si instauri tra i vari "fratelli": la legge 40 prevede che il donatore di gameti non acquisisce alcun rapporto di donazione parentale con il nato, ma nulla è detto riguardo ai fratelli, tra i quali potrebbe sussistere un rapporto morale, patrimoniale, e successorio, senza che le esigenze e gli obiettivi della legge 40 vengano meno». 

LEGAME BIOLOGICO E PROBLEMI PSICOLOGICI
Ma non sono solo giuridici i vuoti che sta trascinando con sé il provvedimento sulla fecondazione eterologa elaborato dal ministro Lorenzin. Da un punto di vista medico e bioetico, la possibilità che un donatore possa contribuire alla generazione anche di 10 figli, cioè che possano esistere 10 fratelli ignari dell’esistenza l’uno dell’altro, evidenzia un grosso problema: quello della "responsabilità" del donatore stesso

«Ricordo un servizio sulla fecondazione eterologa negli Usa – spiega il professore Bruno Mozzanega, ginecologo e docente presso l'Università di Padova – dove un numero smisurato di figli genetici dello stesso donatore si erano messi alla ricerca l’uno dell’altro e ritrovati. Non è un problema da poco, quello dei fratelli genetici. Al centro della procreazione, di qualunque tipo sia, deve rimanere il figlio con i suoi diritti inalienabili, fra i quali certamente quello di poter conoscere le proprie origini biologiche, ma anche di conoscere eventuali fratelli genetici come suggerirebbero il senso comune e quanto avvenuto negli Usa».

Mozzanega, che è anche membro del direttivo del Movimento per la Vita, evidenzia che le cellule germinali, i gameti non sono «globuli rossi e piastrine». «Attraverso le cellule germinali si trasmette la vita ai figli e si costituisce il loro patrimonio genetico, unico e irripetibile, il loro essere nella sua interezza». Pertanto il donatore ha una sua «grande, centrale, ineludibile responsabilità in questa generazione e non può sottrarvisi. Anche se poi non crescerà questi figli, trasmette loro i propri geni». E come i genitori che crescono il figlio hanno dei «doveri» nei suoi confronti, allo stesso modo dovrà averne il donatore dei gameti.

«Capisco che attribuire responsabilità ai donatori – prosegue Mozzanega – possa scoraggiare chiunque dal donare i propri gameti, ma mettere i propri gameti a disposizione di altri per creare fratelli genetici in serie, che peraltro potrebbero rimanere ignoti anche ai figli stessi del donatore, non è una scelta eticamente indifferente. Credo che anche figli e moglie del donatore, antecedenti o successivi alla donazione che siano, abbiano il diritto di conoscere questi “collaterali”».

Alla questione dei "10 fratelli generici", si aggiunge un ulteriore problema di carattere psicologico per chi accetta la prassi della eterologa. «Se entrambi i gameti sono estranei alla coppia – sentenzia Mozzanega – l’esperienza è assimilabile alla adozione di un embrione congelato, anzi: si tratta proprio dell’adozione di un embrione, con equidistanza genetica dei due genitori rispetto al figlio. 

Se invece solo un gamete è estraneo alla coppia, soprattutto credo se lo spermatozoo viene da un maschio estraneo, «è possibile che la figura di questo ignoto donatore possa in qualche modo incombere a livello inconscio. Un uomo potrebbe sentirsi frustrato per la sua incapacità di dare un figlio alla moglie ed essere spinto, per compensare, ad accettare una fecondazione eterologa». Non è detto, però, che questa accettazione sia realmente una scelta attiva, «la scelta che si farebbe anche in situazioni di non emergenza e frutto quindi di un consenso reale». Nel tempo, poi, secondo l'esponente del Movimento per la Vita, il problema «potrebbe porsi». «Credo quindi – conclude Mozzanega – che nell'interesse della coppia sarebbe utile una consulenza psicologica non sbrigativa e formale prima di decidere di avviare la fecondazione eterologa». 

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