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Le scuse del Papa ai pentecostali e la nostalgia dell’unità

General Audience with Pope Francis – it

© Mazur/catholicnews.org.uk

Massimo Introvigne - Aleteia - pubblicato il 29/07/14

Gli evangelici pentecostali tendono naturalmente alla ricerca dell'unità

Papa Francesco si è recato a Caserta (ieri 28 luglio) per la prevista visita privata alla nuova sede, in costruzione, della Chiesa Evangelica della Riconciliazione del pastore protestante pentecostale Giovanni Traettino, che conosce da diversi anni. «Lo Spirito Santo», ha detto il Papa ai pentecostali, «fa la diversità nella Chiesa e questa diversità è tanto ricca, tanto bella; ma poi, dopo, lo stesso Spirito Santo fa l’unità. E così la Chiesa è una nella diversità. E per usare una parola bella di un evangelico, che io amo tanto: una diversità riconciliata dallo Spirito Santo». L’espressione è del teologo luterano alsaziano Oscar Cullmann (1902-1999), che il cardinale Bergoglio e, prima di lui, il cardinale Ratzinger – hanno studiato e spesso citato, ma è molto nota anche ai pentecostali attraverso un libro del pastore John Pattison.

Il Pontefice ha voluto includere nella visita un gesto forte di riconciliazione della memoria: ha chiesto perdono per il sostegno che alcuni cattolici italiani diedero alle leggi contro i pentecostali degli anni 1930. Papa Francesco aveva già espresso questo concetto in precedenti incontri privati con esponenti pentecostali, non senza destare qualche perplessità. Il riferimento è alla circolare del 9 aprile 1935 del sottosegretario all’Interno Guido Buffarini-Guidi (1895-1945), oggetto frequente di polemiche protestanti per i suoi accenni a presunti pericoli per «l’integrità fisica e psichica della razza» del modo di pregare pentecostale. Lo stile non stupisce in Buffarini-Guidi, che sarà poi uno dei teorici del razzismo italiano. Ma stupisce, e la storiografia lo ha purtroppo messo in luce in modo inconfutabile, il sostegno alla circolare del 1935 di vescovi cattolici italiani, alcuni dei quali ebbero un ruolo anche nella sua genesi. Sono vicende che vanno certamente inquadrate nel contesto di un’epoca diversa dalla nostra, in cui altrove non pochi protestanti collaboravano a loro volta alla repressione e alla discriminazione dei cattolici. 

Tuttavia, la vicenda della circolare Buffarini-Guidi non è una pagina luminosa della storia della Chiesa italiana, e il gesto del Papa s’inquadra in quella ricerca di una memoria purificata dove la Chiesa, in persona del Pontefice, «implora il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli», inaugurata da san Giovanni Paolo II (1920-2005) con la bolla d’indizione dell’Anno Santo Incarnationis Mysterium del 1998. Proseguendo sulla strada indicata nell’incontro con il clero cattolico a Caserta, Papa Francesco è tornato sul delicato problema dell’armonia necessaria fra il rispetto delle diversità, come base di partenza del dialogo ecumenico, e la necessaria aspirazione all’unità come punto di arrivo.  «Lo Spirito Santo», ha detto, «fa due cose: fa le diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi»:  l’ecumenismo consiste nel fare sì che «questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e divenga unità».

Il Papa sa che la visita non è apprezzata da tutti: nel campo pentecostale, dove ancora molti rifiutano l’ecumenismo e considerano la Chiesa cattolica addirittura non biblica e non cristiana, e anche nel campo cattolico. «Qualcuno sarà stupito», ha detto Francesco, «: “ma, il Papa è andato dagli evangelici”. Ma è andato a trovare i fratelli!». Ma che cosa è successo, esattamente, a Caserta? Tutto il dialogo che esponenti cattolici hanno avviato negli anni 1980 con pastori pentecostali come Traettino, e con altri carismatici non cattolici, come il vescovo di una branca anglicana dissidente, Tony Palmer, morto lo scorso 20 luglio in un tragico incidente motociclistico, di cui Marco Respinti ha offerto un ritratto su La nuova Bussola quotidiana, è culminato ed è stato, per così dire, riassunto in questa visita del Papa. Benché si debba riconoscere che sono numerose le diocesi italiane che hanno cercato di includere i protestanti pentecostali nel dialogo ecumenico, molti commenti mostrano che non si è completamente compresa qual è la posta in gioco.  È vero: molti ora riconoscono che l’offerta di dialogo ecumenico va fatta anzitutto a chi c’è, e che in molte nazioni mentre antiche denominazioni protestanti sono in via di estinzione i pentecostali ci sono e crescono. Come abbiamo ricordato su queste colonne, i pentecostali protestanti sono seicento milioni, due terzi dei protestanti e un terzo dei cristiani nel mondo. Impossibile, o stolto, ignorarli.

Ma occorre andare oltre e porsi un’altra domanda, che ha fatto da sfondo alla storica visita del Papa a Traettino. Perché i protestanti pentecostali hanno tanto successo? Una ragione importante è che molti pentecostali conservano dottrine teologiche e morali abbastanza tradizionali che un buon numero di denominazioni protestanti storiche, completamente dominate da correnti progressiste, ha abbandonato. Ma c’è anche un altro motivo. Nella parte finale del ventesimo secolo, e ancora di più nel ventunesimo, uno dei più grandi movimenti sociali è la fuga, anche in campo religioso, dalle istituzioni e la diffidenza verso le organizzazioni di dimensioni più che locali. 

I sociologi hanno dato molti nomi a questo fenomeno: passaggio dalla religione alla spiritualità, de-istituzionalizzazione, soprattutto transizione dall’organizzazione al network. È questa la caratteristica dei due grandi fenomeni che in campo spirituale sono cresciuti di più nella seconda metà del secolo XX: la galassia pentecostale e il New Age. Del secondo, il New Age, non ha caso il Papa ha parlato, per criticarlo, nel suo dialogo con i sacerdoti di Caserta. La corrente pentecostale, però, è stata spesso presa in considerazione dai sociologi come elemento di paragone e di spiegazione per interpretare il New Age, nonostante l’antipatia che oppone al New Age i pentecostali, che in gran parte lo considerano un fenomeno di natura diabolica. Dal punto di vista dottrinale pentecostali e New Age non hanno in comune assolutamente nulla. Dal punto di vista sociologico, invece, i pentecostali e il New Age condividono la protesta contro le strutture organizzate e gerarchiche, che si esprime nella formazione non di istituzioni o denominazioni ma di network. Ed entrambi hanno avuto successo in un mondo postmoderno che preferisce i network alle istituzioni. 

Le ragioni per cui pentecostali e New Age teorizzano il primato del network sull’istituzione sono però opposte. Il New Age, inguaribilmente individualista, esalta la frammentazione caratteristica dell’epoca postmoderna e la considera un fenomeno sostanzialmente positivo. Al contrario, la protesta pentecostale contro le denominazioni non nasce da un’esaltazione della frammentazione, ma da una sua critica. Le denominazioni sono considerate responsabili della divisione del mondo cristiano in migliaia di frammenti. Proprio contestando le denominazioni – e sottolineando, sia pure all’interno di semplici network, quello che unisce piuttosto che quello che divide – le divisioni della cristianità, secondo il sogno pentecostale, potranno essere superate.

Il superamento, del resto, non avverrà secondo i pentecostali grazie agli uomini, ma grazie all’intervento miracoloso dello Spirito Santo. Il network del New Age nasce da una valutazione ampiamente positiva della frammentazione, mentre al contrario il n
etwork pentecostale nasce dalla nostalgia dell’unità. Normalmente i network non durano per sempre. Le dinamiche sociali rendono il network una tappa che una corrente religiosa o culturale attraversa, e che può condurre a due diversi esiti: o la sparizione o la trasformazione del network in istituzione. Il New Age sembra muoversi in direzione di un esito del primo tipo: è in crisi, e forse non durerà per sempre. Il pentecostalismo appare invece avviato verso un esito del secondo tipo, cioè verso la trasformazione da network in un insieme di istituzioni e di denominazioni più organizzate. Ogni nuova generazione pentecostale-carismatica può ritenere che il processo di istituzionalizzazione faccia perdere qualcosa alla spontaneità e alla freschezza originaria dell’incontro con lo Spirito Santo. 

D’altro canto, il graduale superamento della fase di mero network esprime anche quella nostalgia dell’unità dei credenti in Gesù Cristo in un solo corpo che, talora sopita dagli avvenimenti e dalle polemiche della storia, rimane comunque parte integrante di ogni genuina esperienza cristiana. E che, suggerisce Papa Francesco, con una gradualità scandita dal rispetto e dal dialogo e nei tempi e nei modi che solo il Signore conosce per ogni singolo, come per ogni comunità, potrà portare a un solo ovile sotto un solo pastore. Questa metà ultima non va mai dimenticata. La nostalgia dell’unità non è la meta, ma è un utile punto di partenza. Ed è un punto da cui far partire anche quelle centinaia di milioni di persone che si considerano religiose e anche cristiane ma diffidano, con un sentimento tipicamente postmoderno, delle istituzioni di dimensione più che locale: un’immensa «periferia esistenziale» cui Papa Francesco ha deciso di rivolgersi.

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