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Con i familiari di padre Paolo

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Vinonuovo.it - pubblicato il 29/07/14
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Il videomessaggio della famiglia Dall’Oglio ai rapitori: l’appello alla dignità, la preghiera per tutti i rapiti
I familiari dei missionari, ogni volta che li abbracciano in aeroporto per una partenza, sanno che quello potrebbe essere l’ultimo saluto. Mettono in conto che la missione comporta per i loro parenti anche il rischio di un incidente o di una malattia, comprende la loro disponibilità al martirio.

Facile a scriversi, ma quando arrivano in casa notizie angoscianti si fanno sentire i profondi legami affettivi, di sangue, e quella complicità con la scelta missionaria che rende acuta la condivisione della sofferenza.
Il fratello e la sorella di padre Paolo Dall’Oglio, rapito il 29 luglio di un anno fa in Siria, ci hanno dato ieri – nella semplicità di un video casalingo, senza sfondo – una luminosa testimonianza: così è possibile vivere nella fede il rapimento di un proprio caro.

E’ davvero edificante il videomessaggio diffuso in inglese su You Yube e rilanciato all’alba dai primi notiziari italiani. In primo luogo perché è molto breve – troppe parole non servono quando c’è una vita in sospeso – e va dritto al cuore delle persone e del problema: la richiesta di "sapere qualcosa della sua sorte". Dopo mesi e mesi, dodici mesi, l’attesa di un segnale di vita del proprio caro – una parola, una foto – diventa logorante per un genitore anziano e per i fratelli, segnati da quest’assenza e dal rincorrersi di ipotesi, di speranze e di smentite.

"Vorremmo riabbracciarlo, ma siamo anche pronti a piangerlo", aggiungono con realismo i Dall’Oglio a proposito di padre Paolo, affermando una consapevolezza matura, una "preparazione" partita da lontano e, insieme, una speranza non ancora del tutto piegata. Una speranza che non nasconde il perdurare del dramma umanitario di quella regione ("E’ passato tanto, troppo tempo anche per un luogo di guerra e di sofferenza infinita come la Siria") ma non chiama in causa amici e nemici, vinti e vincitori, ragioni e torti. Va a interpellare nel profondo della loro umanità "i responsabili della scomparsa di un uomo buono, di un uomo di fede, di un uomo di pace", in quanto chiede loro almeno "di avere la dignità di farci sapere qualcosa della sua sorte".

Forse è vero che, anche senza volerlo, un missionario porta con sé in missione la sua famiglia, perché in questo messaggio dei fratelli si rispecchia l’umanità di padre Paolo, la sua capacità di lettura (già evidenziata qui da Maria Teresa Pontara Pederiva) e la sua fede coraggiosa. Che si riverbera nella richiesta dei suoi familiari di riunirsi in preghiera insieme a lui sì, ma anche "a tutti i rapiti (in Siria vi sono due vescovi e altri due sacerdoti, n.d.r.), agli ingiustamente imprigionati e alle tante persone che soffrono a causa di questa guerra".

Qui l’originale