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A volte credere è difficile: cosa fare quando la fede vacilla?

The big question / Faith or doubt – it

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Novena.it - pubblicato il 26/07/14

Come vivere la fede quando ci si sente soli e abbandonati?

Capita di sentirsi soli, abbandonati. Con quale spirito bisogna vivere la fede in quei momenti?  Sono un giovane di Prato: ho 28 anni e mezzo, laureato con un lavoro adesso a contratto a tempo determinato, anche se di questi tempi beato chi ha un po’ di lavoro e riesce a portarlo avanti, perché il lavoro crea dignità alla persona. Sono un ragazzo cresciuto con valori cattolici, fatti tutti i sacramenti ed impegnato nel mondo cattolico. A volte però la fede mette a dura prova, specie nei momenti più difficili in cui sembra di essere soli, abbandonati da tutti, compreso Gesù, anche se in realtà non è così, perché Gesù non ci abbandona mai, … anche se certi momenti di solitudine servono a riflettere e capire il vissuto della nostra vita: se abbiamo fatto le scelte giuste e quale senso dare loro. La domanda che voglio farle è questa: con quale spirito bisogna vivere la fede cattolica quando i vacillamenti avvengono ripetutamente, anziché saltuariamente? – Lettera Firmata

Risponde don Carlo Nardi, docente di Patristica alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

Caro Marco,
eccomi dopo varie riflessioni sul tuo biglietto, giratomi già da tempo dal direttore di Toscana Oggi per la rubrica «Risponde il teologo». Vengo subito al punto. Due volte parli di un Gesù lontano, del tuo sentirti abbandonato da lui, ed hai ragione di allarmarti, in definitiva perché Gesù ti preme.

Eppure quello che esperimenti, anche Gesù l’ha provato, se si prendono sul serio – e come si dovrebbero prendere? – le sue parole sulla croce Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,56) Certo, era una citazione dal Salmo 21 (22), ma Gesù non stava facendo letteratura, anche se quelle parole gli erano note dall’ebraico delle Scritture. Piuttosto stava vivendo pienamente la sua vita nell’imminenza della sua morte: lui che nella fede professiamo, vogliamo professare vero uomo come me e te, e vero Dio come il Padre e lo Spirito Santo. Ma allora ci vien da dire: Com’è possibile? Come sanno le cose? E, se ti dovessi o volessi dire che c’è una spiegazione che mi soddisfa, direi una bugia.

In quelle parole di Gesù c’è nello stesso tempo luce e buio. Così è tutta la nostra percezione della fede. La si vuole come luce, come comprendo da come tu ne parli: proprio quando ti senti vacillare, tu dici il tuo bisogno, il tuo desiderio di luce. Ma proprio in questo la fede è anche oscurità. Perché non è evidenza. Perché altrimenti non sarebbe fede. L’atto di fede non è una conclusione di un procedimento razionale, e non solo come due più due fa quattro, ma neppure come evidenza storica.

Ma allora come mai san Paolo dice culto ragionevole? (Rm 12,1) Non senza un perché nella versione latina si parla di ragionevolezza: ci sono aneliti nelle religioni e nel pensiero umano a un Dio vicino, umano, unico ma anche in varie personificazioni: si tratta di un desiderio di incarnazione, di un Dio che si fa uomo? e di trinità di un Dio che è uno ma non solitario? In rapporto alla vicenda di Cristo ci sono testimonianze storiche non solo cristiane, ma anche pagane, poche, ma significative. Però tutte queste premesse non fanno scattare automaticamente la fede. Nella ricerca storica tra l’altro, come in tribunale, vige il principio «fino a prova contraria». Non senza un perché Gesù dice a Pietro Non la carne e il sangue te l’hanno rivelato, che io sono il Messia, figlio di Dio, ma il Padre che è nei cieli, ossia non la tua umanità, compreso il razioncinio, ma la grazia di Dio (Mt 16,17): altrimenti non sarebbe fede ma conclusione di un ragionamento. E se la fede è un dono, la fede ci abbraccia, anche quando ci sentiamo al buio.

D’altra parte la ragionevolezza del cristianesimo è proprio nella sproporzione rispetto alle risorse della ragione umana: Dio che è quel bambino, quel tuo coetaneo, quel crocifisso e poi risorto ed ora vivo in quel pane e vino che non sono più pane né vino ma lui, tutto quanto: insomma, l’incarnazione di un Dio che grida a Dio: Perché mi hai abbandonato? (Mt 27,45). Nel mondo antico di parlava di manifestazioni, di metamorfosi e apoteosi divine, ma si provava un senso di raccapriccio per un Dio fattosi uomo e crocifisso. Proprio perché tutto questo è ineptum – diceva uno dei primi cristiani, Tertulliano nel suo libro La carne di Cristo (5,3) – ossia «inadatto», «disadatto» e quindi «improponibile», «impresentabile», mi va bene. Proprio perché il cristianesimo fa venire le vertigini con un Dio fatto bambino e condannato a morte – un cazzotto nello stomaco -, mi torna.

Di più, almeno in questa sede, non mi sento di dirti. Avere vacillamenti, momenti di oscurità, pensieri tormentosi che s’intrufolano, come tarli, nella mente a suggerire: «Com’è possibile?» non è uno stato straordinario nel cristiano. C’è da avvezzarci a questi momenti di buio. Può succedere già nella prima adolescenza, e poi nei vari passaggi, scansioni, svolte nella vita, in situazioni di vuoto, di delusioni interiori: può l’essere «ragazzo», come ti dici, e insieme uomo immerso in un lavoro precario, ma con tutte le responsabilità. Una tua coetanea, santa Teresa del Bambin Gesù, nella sua autobiografia parla di simili pensieri assillanti. Però questi oscuramenti non risparmiano nessuna età. Anche il Gentilissimo Signor Teologo, come con deferenza e un po’ troppe maiuscole tu chiami chi ora ti scrive, conosce e come momenti del genere! E non solo momenti.

E a quel punto che fare? Queste sono soltanto mie confidenze. A quel punto dire: «Eccomi», anche se quel pensiero ti suggerisce che non c’è nessuno ad ascoltarti. Eccomi è una breve parola nella quale c’è il dire e il fare, il mettersi a disposizione. Fu sulle labbra di Abramo, padre nella fede, e della Madonna. Fede è anche fidarsi, e comporta non solo la mente, ma anche il cuore, gli affetti, il corpo: riguarda me e te tutti interi. È in ballo anche la volontà, per cui: Signore, credo; voglio credere; vieni in aiuto alla mia mancanza di fede (Mc 9,23), Dio, vieni a salvarmi (Sal 69 [70], 2). Dunque, rischiare con la volontà. Risolutamente: Perché dormi, Signore? (Sal. 44 [43], 24).

I mezzi moccoli di Giobbe piacquero al Padreterno più delle ricette dei suoi amici che. venuti a consolare, finirono per rimbrottarlo, sicuri, com’erano, dei loro ragionamenti. Invece c’è da metterci, come siam buoni a farlo, nelle mani di quel Dio che non sembra neppure che ci sia, ma che forse mi sta dietro a proteggermi o accanto a camminare con me (Emmaus …) o davanti a chiamarmi a una nuova stagione, come tu lasci pensare nel tuo biglietto. Se la fede è dono di Dio: è un qualcosa che ci previene, ci sostiene, ci abbraccia.

E prima e dopo …? Quello di cui hai parlato. I «valori cattolici», ma non come una sfilza di principi e di regole: innanzitutto Gesù come persona con cui ci si ragiona. E anche la preghiera; la Bibbia non a bella mostra tra gli scaffali, ma sul comodino; anche la curiosità, anche lo studio. Tu parlavi dei sacramenti «fatti»: ma sono vivi, dal battesimo alla confessione. Sacramenti da vivere, ora e non «domani, domani, domani», come suggeriscono altri pensieri sono sempre pronti a insinuarsi per bloccare ed avvilire. Presente nel «mondo cattolico»: concretamente tra fratelli e sorelle in una comunità cristiana da fratello; e sia
mo anche figli di chi ci ha portato ai sacramenti e ce li amministra. E fratelli nel mondo così com’è – non solo espressamente cattolico – a «creare dignità», come tu dici, per quanto può dipendere da te, ventottenne in colloquio anche con te stesso, in una revisione e più di una revisione di vita, come ho inteso.

Per tutto questo Dio ti benedica, e lo penso proprio dalla tua lettera molto seria. Davvero Dio ti benedica.

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